15 Settembre, 2002
L’elefante dell’imperatore (di Gian Carlo Corada*)
Quando Federico II *mercanteggiò* Gerusalemme con il Sultano
Cremona ebbe un ruolo
importante nella preparazione
della VI Crociata,
come del resto in tutte le
vicende di Federico II, il
grande imperatore di cui la
nostra città fu, nel Nord Italia,
la più fedele alleata.
Per il marzo del 1226 (l’anno,
fra l’altro, della morte di San
Francesco) l’imperatore convocò
a Cremona una Dieta
(cioè una riunione ai massimi
livelli con poteri deliberativi:
un misto, tanto per capirci,
fra Parlamenti odierni ed
incontri di Capi di Stato) dei
Principi e dei Comuni di Lombardia
e Toscana. Lo scopo
principale era davvero — gli
storici concordano — quello
dichiarato: organizzare la partenza
per la Crociata, partenza
promessa al papa Onorio
III entro l’agosto dell’anno
successivo. La Dieta fu un
mezzo fallimento! Non certo
per responsabilità di Cremona,
che aveva preparato tutto
per bene e per tempo. E che
fatica! Non dimentichiamo infatti
che incontri di tale portata
erano costosi ed impegnativi,
anche se portavano prestigio
alle città che li ospitavano.
Un po’ come, del resto, avviene
ancora oggi per i G8 ed
i principali incontri internazionali.
Perché dunque un fallimento?
La Dieta andò praticamente
deserta o quasi: furono
presenti solo Como, Pisa,
Parma, Modena ed il Principe
di Este. Città tutte tradizionalmente
alleate all’impero.
Le altre, quelle che Federico
voleva coinvolgere, assenti.
Addirittura, Milano,
Brescia, Bologna e Mantova
si riunirono a Mantova e rifondarono
quella Lega Lombarda
che aveva sconfitto il
nonno di Federico II, Federico
I Barbarossa. Alla Lega
aderirono subito Alessandria,
Lodi, Verona, Faenza, il
Monferrato e poi altre città.
Uno scorno per Federico II!
Ma perché queste città, alleate
del Papa, neppure sul tema
della Crociata, tanto voluta
dal Papa, riuscirono a mettersi
d’accordo? Oltre alle storiche
ostilità fra le città italiane,
ci fu anche la convinzione
che Federico II volesse approfittare
dell’occasione, magari
con l’aiuto e le pressioni
dei padroni di casa, per imporre,
dopo l’argomento della
Crociata, la «reformatio
status imperii», che nei fatti
portava a ribadire la superiorità
nel governo della «città
terrena» del potere imperiale
su quello papale e soprattutto
l’unione del Regno di Sicilia
con l’impero e la sottomissione
dei Comuni del centro-
nord Italia all’imperatore.
Il sospetto nei confronti di Federico
II fu aggravato dalle
sue ripetute affermazioni
contro gli eretici: molti catari,
perseguitati al sud della
Francia si erano rifugiati in
Italia, soprattutto nella ‘papalina’
Milano. Anche a Cremona,
è vero, c’erano catari. Ma
è contro Milano, la grande nemica,
che Federico, non certo
campione dell’ortodossia religiosa,
indirizza i suoi strali.
Paradosso della storia! Volesse
o no l’imperatore, approfittando
della Crociata, parlare
d’altro, fu costretto dalle assenze
a rimanere in tema. E
così nella Dieta di Cremona
si preparò davvero e solo la
Crociata, con Onorio III mediatore
nei confronti di Milano
e della Lega Lombarda.
La Crociata effettivamente
ci fu e ad essa parteciparono
dei cremonesi. Nell’estate
del 1227 l’imperatore raccolse
in Puglia un notevole esercito,
formato sia da volontari
che da mercenari. Tanta gente
in piccoli spazi, condizioni
igieniche precarie, il caldo,
fecero insorgere una epidemia
di colera che decimò
l’esercito. Lo stesso imperatore
si ammalò in forma non grave.
Decise allora di mandare
avanti parte della flotta e di
rinviare la partenza all’anno
successivo. Gregorio IX, nel
frattempo succeduto ad Onorio
III, lo scomunicò per la
mancata promessa e per non
aver rispettato i privilegi fiscali
del clero in Sicilia (il problema
vero era che il Papa
considerava feudo della Chiesa
il Regno di Sicilia).
Federico II si difese, scrisse
ai regnanti d’Europa, accusò
il Papa di simonia, di usura,
di tradire il Vangelo... comunque
partì per la Palestina, il
28 giugno del 1228. Alla Crociata
Federico ci credeva davvero,
era intriso della cultura
del tempo ed organizzarla, anche
se scomunicato dal Papa,
era un modo per affermare la
sua «plenitudo potestatis»,
la assolutezza del suo potere,
che veniva direttamente da
Dio e non dal Papa. Ma Federico
II era anche un grande
stratega, un vero ‘uomo di
Stato’ diremmo oggi, che capiva
che la diplomazia era quasi
sempre l’arma migliore. E
infatti l’unico periodo in cui
Gerusalemme tornò in mani
cristiane fu questo, ad opera
di Federico II e grazie ad un
accordo. Federico conosceva
le divisioni fra i nemici. Il Sultano
d’Egitto al-Kamil, colui
che aveva ospitato San Francesco
e discusso con lui, gli
propose la consegna di Gerusalemme
in cambio del sostegno
contro il fratello
al-Mu’azzan, suo rivale.
Federico accettò e i due si
scambiarono doni: Federico
ricevette un elefante, un planetario,
un liuto indiano ed
uno straordinario albero d’argento
con uccellini cinguettanti;
al-Kamil un orso bianco
e un pavone dalle piume bianche.
Credo che l’elefante sia
lo stesso che Federico farà entrare
a Cremona, sormontato
da una torre con le insegne
imperiali, a trainare lo sconfitto
Carroccio milanese, dopo
la battaglia di Cortenuova,
nel 1237, neanche dieci
anni dopo le imprese orientali.
Ancora una volta il destino
sembrò prendersi gioco di Federico
II. Il fratello di al-Kamil
morì improvvisamente
ed il Sultano sembrò quindi
non avere più bisogno del sostegno
imperiale. Ma il Sultano
tenne fede ai patti, anche
perché i sostenitori del defunto
fratello non volevano saperne
di sottomettersi. E così
si giunse al Trattato di Giaffa.
Gerusalemme venne ‘restituita’,
con alcune limitazioni,
alla Cristianità. Certo, era in
condizioni disastrose, con le
mura in gran parte distrutte
e pochi abitanti. Certo, ai musulmani
rimanevano la spianata
del Tempio e la Rocca,
luoghi santi per l’Islam. Ma
insomma, quello di Federico
avrebbe dovuto essere visto
dall’Occidente come un successo.
Tanto più che ai cristiani
erano date anche Betlemme e Nazareth,
rese accessibili
attraverso percorsi sicuri
in territori ostili. Invece le
critiche furono feroci. Non
tanto per l’esclusione dal controllo
cristiano di alcuni luoghi
santi dell’Islam, quanto
proprio per aver ottenuto la
città non con l’onore delle armi
ma con la trattativa, come
un mercante. Se può consolare,
al-Kamil ricevette analoghe
critiche sull’altro versante.
E ben presto il ‘concordato’
fallì e Gerusalemme, Betlemme
e Nazareth tornarono
al Sultano. Ed Cristiani ad organizzare
altre Crociate.
Quanto è grande la capacità,
quanto diffusa la voglia, tra
gli esseri umani, di farsi del
male!
E Cremona? A differenza di
altre città, rimase fedele a Federico
ed anche per l’impresa
di Gerusalemme non c’è
notizia di critiche da parte
dei maggiorenti della città.
(*sindaco di Cremona) 
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