15 Settembre, 2002
Il welfare sta male e rischia di peggiorare il suo stato di salute di G.Carlo Storti
Cooperazione e volontariato come risorse economiche e sociali
Cooperazione e volontariato come risorse
economiche e sociali
Il welfare sta male e rischia di peggiorare
il suo stato di salute non tanto e solo per
la diminuzione di risorse ( che fra l’altro
in Italia sono inferiori alla media europea)
ma soprattutto per il degrado della qualità
dei rapporti umani, per l’ aumento dei processi
di esclusione e per la disgregazione progressiva
dei processi di solidarietà.
Si tratta di sintomi di malattia molto gravi,
che a lungo andare rischiano di compromettere
il senso stesso della comunità e di polverizzare
i legami di solidarietà e di coesione sociale
che sono alla base della nostra società.
Aumentano e si perpetuano i processi di esclusione
e di emarginazione sociale, la dove la polverizzazione
dei rapporti umani e il radicamento degli
stili di vita esclusivamente orientati "all’
avere" e "al potere", stanno
corrodendo il senso stesso di appartenenza
a una comunità.
Questo è il punto da cui partire per rilanciare
il welfare community.
Oggi si parla di welfare solo per sottolineare
in maniera negativa i costi eccessivi, come
sta avvenendo appunto nell’impostazione data
alla riforma dello stato sociale; così come
riferirsi a welfare solo per indicare quel
comparto di interventi che riguardano le
fasce più deboli della nostra società, appare
estremamente riduttivo otre che improprio.
Per welfare è necessario invece intendere
secondo la traduzione letterale il "benessere"
dell’ intera popolazione e non soltanto gli
interventi che tendono a garantire diritti
e condizioni di vita minimali per i gruppi
sociali che vivono ai margini della società.
Welfare vuol dire benessere sociale, e il
benessere sociale si misura in termini di
qualità della vita e della convivenza sociale
di tutte le componenti di una comunità di
persone.
In questi anni si è parlato di società dei
due terzi; Jacques Delors ha lanciato l’allarme
del progressivo degrado della qualità delle
relazioni umane e del tessuto sociale, indicando
questo problema come la sfida più grave per
il futuro dell’Unione Europea.
Il riferimento ai problemi del welfare era
corretto si è messo giustamente in evidenza
un processo di lacerazione della qualità
dei rapporti all’interno della popolazione
che rischiava di compromettere il futuro
delle comunità, intesa come insieme di persone
unite tra loro da legami di solidarietà e
di coesione sociale.
Anche l’insistenza con cui si parla oggi
di esclusione sociale, sostituendo la vecchia
definizione di povertà con quella degli esclusi
per indicarne le fasce più deboli della popolazione,
è un sintomo importante di maturazione nell’analisi
del welfare e dei meccanismi che sono alla
base della realizzazione dell’obiettivo di
un maggiore benessere di tutta la popolazione.
Sono altri, allora, i parametri e le trasformazioni
sociali a partire dai quali oggi dobbiamo
prendere coscienza di una grave crisi del
welfare e preoccuparci seriamente del suo
futuro.
Il welfare non si “ rilancia” solo con l’immissione
di risorse “ statali” ma con l’individuazione
di percorsi complementari e per alcuni versi
alternativi.
Di risorse aggiuntive non ve ne sono più.
Va quindi perseguito l’obiettivo di aumentare
la nostra “ produttività sociale”
Vi è la necessità di nuovi modelli comunitari,
di una più ricca e vasta “ autorganizzazione”
della società.
Il vecchio modello statalista è in crisi
e la destra europea, in questa fase di acuta
crisi economica, lo sa solo smantellare.
I nuovi modelli di “ autorganizzazione” non
possono non passare che da un massiccio rilancio
della cooperazione sociale e dal volontariato.
Pensiamo soltanto all’importanza delle attività
di cura e di educazione, ai flussi relazionali
ed affettivi che vengono garantiti dalla
famiglia; alla solidarietà diffusa sul territorio,
al vicinato, all’impiego capillare e determinante
del volontariato in alcune gravi situazioni
di emarginazione sociale e di sofferenza.
Queste risorse umane sono l’ ossatura principale
del nostro welfare.
Intorno alla famiglia si è andata strutturando
una vera e propria costellazione di aree
di fragilità e di disagio che rischiano,
alla lunga, di compromettere la vitalità
e la carica esistenziale.
In particolare va segnalata la situazione
di abbandono in cui è lasciata la donna-madre
sia nel mancato riconoscimento del valore
sociale della maternità e del lavoro in famiglia,
sia nel graduale processo di inserimento
lavorativo esterno: senza sufficienti supporti
in termini di servizi sociali e soprattutto
senza la promozione di una politica di lavoro
"sequenziale", in grado cioè di
favorire il part-time e la flessibilità nelle
politiche del lavoro, al fine di proteggere
la maternità anche attraverso una maggiore
garanzia di entrata e di uscita nell'attività
lavorativa; al disagio giovanile, derivante
da una mancata valorizzazione della risorsa
giovani da parte della società, che da almeno
30 anni con preoccupante progressione rappresenta
un grave fattore di rischio della qualità
delle relazioni e degli affetti all'interno
della famiglia, senza che ci sia stata ancora
una risposta adeguata in termini di strategia
di struttura societaria, di politica sociale
ed economica.
Alla disoccupazione e sottoccupazione crescenti
che colpiscono spesso i lavoratori in età
media, nella fase di maggior carico familiare
per la formazione dei figli e l'assistenza
ai genitori; alla politica fiscale che non
tiene in considerazione il pesante carico
economico che pesa sui membri delle famiglie
con i figli, anziani, portatori di handicap.
Non è possibile però continuare a chiedere
alla famiglia italiana ( fra l’altro sempre
più corta) di colmare i vuoti di uno stato
sociale incompiuto e di garantire al tempo
stesso processi esistenziali esterni alla
famiglia che diano senso e significatività
alla domanda di protagonismo, di autoaffermazione
e di integrazione che attraversa i diversi
segmenti che ruotano intorno alla famiglia:
dai minori, ai giovani, alle donne, agli
anziani.
Ecco questo contesto richiede più “stato”
, ma non come l’abbiamo inteso nel ‘900 e
come troppo continuiamo a difendere.
Vanno inserite dinamiche nuove, soggetti
nuovi.
La cooperazione ed il volontariato sono quindi
strumenti fondamentali per il rilancio di
questa coesione sociale che sta venendo sempre
meno.
Va quindi stimolata l’autorganizzazione dei
servizi sia in forma cooperativa che con
strutture di volontariato.
Lo Stato con la “ S” maiuscola deve operare
una scelta di accompagnamento e non di surroga
o sostituzione.
La destra vuole una società competitiva che
si regola sulla legge del più forte.
La sinistra, in senso lato, deve invece valorizzare
forme di aggregazione sociale che possono
avere sempre di più una valenza economica
come la cooperazione ed il volontariato.
Questo creerà contraddizioni,ci costringerà
a riflettere e rimettere in discussione le
nostre solide certezze ma sicuramente contribuirà
a delineare un mondo diverso che vede nel
modello aggregativo il modello vincente .
Gian Carlo Storti
storti@welfareitalia.it
Luglio 2010
 
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