15 Settembre, 2002
Gaza, porte aperte alla speranza
Il carico di aiuti umanitari Viva Palestina giunto a destinazione, il racconto dalla Striscia
Gaza, porte aperte alla speranza
Il cittadino cremonese Sig. Renzo è tornato
in città
Il carico di aiuti umanitari Viva Palestina
giunto a destinazione, il racconto dalla
Striscia
Cosa fa di una prigione un luogo più vivibile?
Non certo tinteggiare le sbarre, come è stato
fino ad oggi con questo finto allentamento
dell'assedio da parte israeliana che ha consentito
l'accesso nella Striscia di Gaza ad alcune
merci fra le più inutili sul mercato.
Semmai in grado di risollevare il morale
ad un milione e mezzo di reclusi è una prospettiva
di fuga, di liberazione, una vaga idea di
come è il mondo fuori dalle sbarre.
Oltre a 145 veicoli carichi di aiuti umanitari
hanno portato questa speranza a Gaza i 380
attivisti provenienti da oltre trenta paesi
di Viva Palestina che giovedì hanno rotto
l'assedio.
Sono ritornati nei rispettivi paesi di provenienza
ieri, dopo avere trascorso una notte rinchiusi
dalle autorità egiziane in un'ala dell'aeroporto
del Cairo.
Ognuno porta a casa un ricordo particolare
di questo viaggio lungo un mese, come l'inglese
Richard: "Un accoglienza indescrivibile
lungo tutte le tappe del nostro tragitto
da Londra a Istanbul. In Siria non riuscivamo
a fare compere perché i negozianti una volta
intesa la nostra missione si rifiutavano
di farsi pagare. Dentro Gaza poi la meraviglia
di migliaia di palestinesi festanti, per
la maggior parte bambini, che rischiavano
di farsi investire pur di riuscire a toccarci,
a salutarci. Dopo 2 giorni ho compreso che
per alcuni dietro la calda accoglienza c'era
qualcos'altro, la speranza di essere portati
via al ritorno. Via da quella prigione".
"Quando la libertà si restringe in un
posto del mondo, la libertà di tutto il mondo
un poco si restringe, per questo ho deciso
di unirmi al convoglio." Mi ha spiegato Graham, anche lui dall'Inghilterra,
concludendo: "Vedere decine di ragazzi
venire fino a Gaza come decine, centinaia
di migliaia di loro coetanei nel recente
passato hanno manifestato contro la guerra
in Iraq per la Palestina è confortante. Una
sorta di palestra dei diritti umani per questi
giovani che non si faranno sottrarre i diritti
civili nei loro paesi senza lottare come
ora lottano ora per la libertà loro fratelli
palestinesi".
Alfredo Tradardi, rappresentante dell'International
Solidarity Movement Italia e responsabile
del convoglio italiano era stremato ma felice
quando l'ho incontrato dinnanzi al porto
di Gaza: "Le città che abbiamo toccato
sono state come tappe di un pellegrinaggio,
per alcuni religioso, per noi laico. Il momento
più intenso in Turchia nel villaggio di Kayseri,
dinnanzi alla tomba di Furkan Dogan, il giovane
attivista ucciso dal commando israeliano
durante l'assalto alla Mavi Marmara. Considero
Furkan un emulo di Rachel Corrie, e come
Rachel deve essere ricordato nel profondo
dei nostri cuori. Nel campo profughi di Latakia,
simbolo delle sofferenze dei palestinesi
che attendono di ritornare nella loro terra,
come è nel pieno dei loro diritti, ricordo
l'ospitalità di famiglie povere ma dignitose.
Emozioni forti anche durante la commemorazione
delle vittime della Freedom Flotilla, quando
sul traghetto che ci ha portato dalla Siria all'Egitto
abbiamo navigato proprio sullo stesso tratto
di mare protagonista del massacro di maggio".
Tradardi, in procinto di promuovere in Italia
una serie di incontri con la celebre scrittrice
palestinese Ghada Karmi, a Gaza si è recato
dinnanzi alle macerie del parlamento distrutto
durante i bombardamenti israeliani del gennaio
2009, "per ricordare al mondo la necessità di rilanciare il movimento Boicottaggio,
Disinvestimento e Sanzioni (BDS), la campagna
di boicottaggio a Israele. Una strategia
che se in passato si è dimostrata vincente
liberando Mandela e un popolo dall'oppressione
dell'apartheid, confidiamo riuscirà a liberare
anche Gaza dal suo assedio".
Un messaggio, quello del boicottaggio, che
ha viaggiato con gli italiani per migliaia
di chilometri, ben impresso in decalcomanie
sulle carrozzerie dei loro mezzi. Samer,
libanese di 52 anni, si è mostrato il più
commosso di tutto il convoglio entrando nella
Striscia. La sua storia ci spiega i motivi.
Si trovava in Canada nel luglio del 2006
e stava tentando di ottenere un visto per
farsi raggiungere dalla moglie e dai quattro
figli.
Quando sono iniziati i massicci bombardamenti
aerei israeliani nel sud del Libano ha cercato
immediatamente di contattare il suo villaggio per avere
notizie dei familiari. Solo dopo alcuni giorni
dal fratello ha ricevuto la notizia del bombe
sulla sua abitazione, e dei corpi esamini
dei suoi figli e di sua moglie estratti dalle
macerie.
"Non mi sono mai interessato di politica,
tantomeno facevo parte della resistenza.
Non ho mai avuto nulla a che vedere con gli
Hezbollah, ero solo un muratore emigrato
che voleva riunire la sua famiglia".
Vittorio Arrigoni
da Gaza city per PeaceReporter
Per leggere tutto l'articolo clicca qui
( http://it.peacereporter.net/articolo/24941/Gaza%2C+porte+aperte+alla+speranza )
26 ottobre 2010
 
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