15 Settembre, 2002
Dolci: ‘No al lavoro usa e getta’
Il segretario della Cgil chiede alle nuove amministrazioni il tavolo di confronto sullo sviluppo
Il segretario della Cgil chiede alle nuove
amministrazioni il tavolo di confronto sullo
sviluppo
Dolci: ‘No al lavoro usa e getta’
‘Il valore umano viene prima delle infrastrutture’
Massimiliano Dolci, ‘Mimmo il duro’, il segretario
generale della Cgil proveniente dalla Fiom,
eletto alla guida del sindacato di via Mantova
contro le indicazioni dei vertici regionali,
poco più di un anno dopo può vantare un bilancio
di segno opposto: nella Cgil il confronto
è tornato ai livelli fisiologici, fra le
tre confederazioni è ripreso un percorso
unitario, ancora fragile, ma perseguito con
tenacia. Merito delle mutate condizioni nazionali,
della sua lunga consuetudine e amicizia con
Mario Daina della Cisl, che dura dai tempi
in cui entrambi erano segretari dei metalmeccanici,
dell’interpretazione del suo nuovo ruolo,
della collegialità che ha saputo instaurare
nella direzione della Cgil. Mimmo non è più
duro? Certamente resta molto esplicito nei
suoi giudizi, “Ma - dice - io vengo dalla
fabbrica, e ho imparato che i lavoratori
divisi perdono”. Non rinuncia alle sue posizioni,
ma sa cercare gli elementi che uniscono.
E rispondendo alle domande sui temi sindacali
dice sempre “Cgil, Cisl e Uil”.
Fiorenzo Gnesi
CREMONA - In questi giorni stanno entrando
in carica le due nuove amministrazioni locali.
Non ci si può esimere da un giudizio sulla
tornata elettorale.
“I numeri si commentano da soli - esordisce
Massimiliano Dolci - Città e provincia hanno
dimostrato di scegliere su due grandi elementi:
da un lato la credibilità e l’affidabilità
di persone e programmi, dall’altro alcune
discriminanti politiche. Certamente è stato
sconfitto chi ha fatto crociate contro redditi
e diritti e ha tagliato anche i più elementari
rapporti con le parti sociali”.
Dica la verità: è contento del risultato.
“E’ un bel segnale: viene sconfitta l’antipolitica,
sia a livello locale che nazionale, l’idea
che il rapporto non sia con i cittadini e
i loro bisogni, ma con dei consumatori indistinti
cui propinare una proposta di marketing.
Hanno invece vinto le persone, i programmi:
la democrazia. Nel nostro caso, poi, sono
state elette persone preparate e serie, che
faranno bene. E ci sono anche novità importanti”.
Quali?
“Con Gigi Rossetti entra in consiglio comunale
una figura nuova per Cremona, il cosiddetto
‘movimento dei movimenti’ con cui la Cgil
ha avuto un rapporto molto stretto”.
Ritorna l’anima movimentista?
“A Cremona il lavoro del Forum sociale e
del Tavolo contro la guerra in Iraq sono
spesso passati sotto silenzio. Invece si
è costruito un soggetto politico che ha saputo
crescere e recuperare consensi su temi fondamentali
per la Cgil come la pace e i diritti globali.
E il movimento di Cremona si è particolarmente
distinto per la maturità dimostrata”.
Veniamo a temi più sindacali. Cgil, Cisl
e Uil chiedono da tempo un tavolo di confronto
a tutto campo, che porti a un ‘Patto per
lo sviluppo’. Un impegno recepito nei programmi
elettorali.
“Ora le amministrazioni dovranno essere protagoniste,
insieme agli altri soggetti istituzionali,
economici e sociali, di quel tavolo che definisca
intese su obiettivi e priorità per il territorio.
Cgil, Cisl e Uil porteranno la loro esperienza
e tutti i punti che abbiamo definito nel
documento unitario che abbiamo completato
prima delle elezioni e che pone al centro
dello sviluppo del territorio la qualità
del lavoro, la sua valorizzazione, la crescita
della professionalità”
E se dovesse limitare le prospettive ai prossimi
mesi?
“Oggi ci interessa avviare il confronto con
tutte le forze istituzionali e sociali, e
nello stesso tempo dare continuità al lavoro
unitario con le altre confederazioni. In
generale si può dire che tutto ciò che valorizza
il lavoro come fattore di qualità e sviluppo
è per noi prioritario. Questo significherà
ad esempio assumere la lotta al lavoro nero
come un valore condiviso e comune, favorire
l’integrazione sociale degli immigrati come
prospettiva di crescita, rapporti di lavoro
che puntino all’aumento della professionalità
e non a diventare un supermarket della precarietà”.
Non ha parlato, finora, di infrastrutture,
pure presenti nel documento unitario. Forse
perché i punti di vista fra i tre sindacati
non sono così univoci?
“Credo sia stato trovato un buon punto di
equilibrio. Noi diremo che alcune scelte
infrastrutturali molto impegnative per il
territorio (la centrale, le autostrade...)
dovranno essere subordinate a vincoli ambientali
molto attenti e a impegni precisi su investimenti
e occupazione. Diremo che occorre ridurre
il gap del trasporto ferroviario rispetto
a quello su gomma. Ma mi sembrano esigenze
condivisibili e condivise, non solo da parte
sindacale. Vorrei però aggiungere una cosa,
per cambiare l’angolo di visuale”.
Prego.
“Se noi continueremo a prospettare ai giovani
posti di lavoro dequalificati e precari,
nessuna prospettiva di crescita professionale
o addirittura salari d’ingresso, non ci sono
infrastrutture che tengano. Avremo un territorio
magari ben infrastrutturato, ma non competitivo,
perché avremo formato una generazione incapace
di cogliere la sfida della qualità che lanciano
i mercati”.
Proprio a questo proposito, il sottosegretario
Sacconi, a Cremona per la campagna elettorale,
ha sostenuto che la politica del governo
è andata proprio in quella direzione, con
le misure sulla formazione, la riforma della
scuola, quella del mercato del lavoro, e
che la Cgil, per sua propria responsabilità,
si è chiamata fuori da tutto questo.
“Basta vedere che cosa ha comportato davvero
la politica governativa: rapporti di lavoro
sempre più precari, attacco frontale ai salari,
dequalificazione, perdita di competitività,
tagli ai servizi sociali, nessuna certezza
sul futuro. Non è così che ci si può agganciare
alla ripresa economica, ammesso che ci sia.
Non è tentando di ridurre costi e umiliare
il lavoro e il sindacato che si può competere
con le economie emergenti”.
Torniamo sul territorio. Anche qui rileva
un atteggiamento di questo tipo?
“In questi giorni so di aziende, poche per
fortuna, che pongono sul tavolo della trattativa
la questione di salari più bassi per chi
entra al lavoro. Si tratta di un’impuntatura
politica che produce, tra l’altro, risparmi
limitatissimi per l’azienda stessa. Mi auguro
si tratti solo di qualche ‘giapponese’ cui
non è ancora arrivata la notizia che la guerra
aperta da D’Amato contro la Cgil è finita
ed è stata persa. Ecco, Sacconi è quel tipo
di ‘giapponese’, che ha quel tipo di impostazione
sconfitta non solo dalle battaglie della
Cgil e dall’esito elettorale, che ha punito
di più le forze che più l’avevano sostenuta,
ma anche dal cambio in Confindustria, che
ha detto stop agli accordi separati, ha rivendicato
la ripresa del dialogo con tutti e l’aggressione
della crisi con parole d’ordine molto simili
a quelle lanciate dalla Cgil due anni fa:
innovazione, ricerca, formazione contro il
declino”.
E gli industriali cremonesi come hanno accolto
questa svolta?
“Direi che sono in una fase schizofrenica.
Persistono pratiche contrattuali nella logica
pre Montezemolo, che puntano alla compressione
dei costi, allo scambio tra investimenti
e peggiori condizioni di lavoro. E’ inaccettabile
che ci si chieda un percorso concertativo
e poi nella quotidianità si discuta ancora
nei termini dell’usa e getta di Sacconi.
E’ chiaro che se persisterà questa impostazione
ideologica ci si avvia a una fase di scontro.
Se invece ci sarà apertura anche rispetto
a reddito, condizioni di lavoro, orari, formazione,
allora si potrà aprire una fase nuova e positiva
per il territorio”.
E ci sono segnali in questa direzione?
“Sì. La Bosch, l’azienda più grande della
provincia, dice che quando un’impresa ragiona
in termini di investimenti, innovazione,
sviluppo, trova anche un equilibrio contrattuale
con le esigenze dei lavoratori economiche
e non solo. Anche all’Isp, che è il gruppo
più grande, si è vicini a un accordo che
va in questa direzione”.
Abbiamo parlato di contratti, cioè di aziende
comunque vitali. Sono aperti però parecchi
punti di crisi, e la situazione in provincia
non è rosea.
“No, non è rosea. Direi che i punti di crisi
aperti da mesi restano tali, con qualche
miglioramento ma anche qualche peggioramento.
Il problema è che, a parte alcune eccezioni,
non si vedono investimenti all’orizzonte.
Per questo puntiamo tanto sul tavolo territoriale
e sul ruolo da protagonista delle istituzioni,
quelle politiche ma anche quelle economiche
come la Camera di commercio”.
E i sindacati che contributo daranno?
“Il nostro documento unitario enfatizza il
concetto della qualità e della centralità
del lavoro. Questo è il punto centrale dello
sviluppo: la valorizzazione delle persone.
Non ha senso discutere di infrastrutture
se poi nelle aziende si deve litigare per
cento lire. Vuol dire che si è smarrito il
senso del valore umano”.
fonte: Cgil Cremona
intervista pubblicata su il giornale "
la Voce".
 
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