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15 Settembre, 2002
La Carta dei Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori
La Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori rappresenta un importante risultato della elaborazione programmatica dell’Ulivo

La Carta dei Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori presentata dall’Ulivo La Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori rappresenta un importante risultato della elaborazione programmatica dell’Ulivo ed è stata presentata a Roma il 22 maggio scorso. Alla conferenza stampa erano presenti Giuliano Amato, Willer Bordon, Piero Fassino, Natale Ripamonti, Marco Rizzo, Francesco Rutelli, Tiziano Treu, Roberto Villetti, in rappresentanza dei partiti del centrosinistra. Nelle prossime settimane i Democratici di Sinistra avvieranno una consultazione in tutte le regioni per illustrare e discutere questa proposta i cui contenuti sono oggi al centro dello scontro politico e sociale e che negli ultimi mesi hanno visto la mobilitazione di milioni di lavoratori. Questo confronto coinvolgerà il sindacato e le associazioni di categoria. La consultazione avverrà, oltre che sui documenti qui allegati, sulla bozza di articolato di legge che sarà prossimamente distribuita. ------------------------------------------------ Presentazione L’Ulivo considera centrale nella sua azione politica l’impegno per il lavoro, per una piena e buona occupazione. Ha espresso questo impegno nel contrastare con fermezza le iniziative del governo Berlusconi, contrarie agli interessi dei lavoratori, ma altrettanto nell’avanzare, in positivo proposte concrete per promuovere il lavoro, tutti i lavori e modernizzare il mercato del lavoro. Negli ultimi mesi siamo stati impegnati in Senato, sulla delega del governo riguardante il mercato del lavoro. Ci siamo opposti, e ci opporremo, alla intenzione del governo di cambiare l’art. 18 dello statuto dei lavoratori, riducendo le tutele contro il licenziamento. Questa opposizione si è svolta in sede parlamentare e si è manifestata in una grande mobilitazione sociale. Inoltre abbiamo elaborato una proposta complessiva di riforma del mercato del lavoro che si contrappone al Libro Bianco di Maroni. Siamo convinti che per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e alzare il tasso di occupazione la flessibilità era necessaria. L’abbiamo dimostrato con le riforme attuate nella scorsa legislatura – in particolare attraverso la cosiddetta legge Treu (legge n. 196/1997) – che hanno contribuito a riattivare l’occupazione con risultati notevoli (oltre 1.500.000 di nuovi occupati dalla fine 97). Ma la flessibilità va regolata e, soprattutto per riattivare l’occupazione, occorrono interventi strutturali finalizzati allo sviluppo economico, al sostegno alla domanda, specie nei servizi, agli investimenti in infrastrutture, alla riduzione della pressione contributiva sulle imprese. Occorre finalizzare tutte le azioni al sostegno della occupabilità. Riteniamo importante promuovere tutti i lavori anche nelle forme nuove, flessibili e autonome; ma vogliamo che la flessibilità non sia pagata con precarietà e con le intollerabili insicurezze di oggi. Questo vale per tutti i lavoratori; non solo per quelli subordinati ma anche e soprattutto per i lavoratori più esposti e precari. Su 22 milioni circa di occupati in Italia, non sono più di 10 milioni quelli che godono delle garanzie tipiche della legislazione del lavoro e dello Statuto dei lavoratori. Vogliamo occuparci di tutti i lavoratori, gli autonomi, i subordinati, ma anche dei milioni di lavoratori economicamente dipendenti, dei cosiddetti parasubordinati e collaboratori di varia natura. Questo è l’obiettivo della Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. La Carta non sostituisce ma integra lo statuto dei lavoratori del 1970. Delinea un sistema di tutele per tutte le forme di lavoro, modulato secondo le caratteristiche e il loro bisogno di protezione. In particolare è prevista una rete comune di tutele di base per tutti i tipi di lavoro, compreso quello autonomo; mentre tutele specifiche sono previste per i lavori economicamente dipendenti, in particolare per le collaborazioni coordinate e continuative, e per il lavoro subordinato . Le tutele non sono più solo quelle nel rapporto di lavoro, che riguardano il “posto” di lavoro, ma anche quelle che proteggono i lavoratori nel mercato del lavoro, nelle attività diversificate e mobili che sono sempre più comuni. Per questo nella proposta di ‘Carta dei diritti’ hanno importanza centrale sia la formazione lungo l’intero arco della vita lavorativa, sia le forme di tutele attive del reddito cioè forme di ammortizzatori sociali adatte alle caratteristiche dei nuovi lavori. Un’altra area d’intervento da riorganizzare riguarda i servizi e gli incentivi per l’occupazione. Occorre prevedere l’accesso a informazioni puntuali circa le opportunità di lavoro sul territorio e stabilire incentivi adeguati per sostenere i lavori. Questo tipo di tutele va amministrato sul territorio, ad opera soprattutto di regioni ed enti locali, con integrazioni con gli operatori privati autorizzati. Va collegato con la formazione continua e con gli ammortizzatori, perché queste non diventino mera “assistenza”. Da ultimo, anche la tutela della salute e della sicurezza va estesa e adattata ai lavori autonomi e parasubordinati. Questi lavori si svolgono in luoghi di lavoro diversi da quelli tradizionali ma non per questo potenzialmente meno pericolosi. Queste aree – formazione continua, tutela attiva del reddito e sicurezza sociale, servizi e incentivi all’occupazione, sicurezza e salute – costituiscono altrettanti terreni di impegno per dare a tutti i lavori tutele e sostegno per essere presenti sul mercato in modo attivo e socialmente accettabile. Su questi temi solleciteremo il governo a confrontarsi. Il testo allegato costituisce una bozza di proposta che l’Ulivo sottopone a una vasta consultazione nel paese con i cittadini, i lavoratori, i sindacati, le categorie produttive, i partiti e le associazioni. Dalla consultazione saranno tratti suggerimenti e integrazioni per presentare, entro l’estate, un progetto di legge definitivo. Roma, 22 maggio 2002 La Carta dei Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori 1. Principi La diversificazione in atto fra i lavori ha da tempo messo in crisi l’impostazione tradizionale, incentrata sul rapporto di lavoro subordinato come modello unico. I tentativi di far rientrare in questo unico modello la miriade di forme di attività espresse dall’attuale organizzazione economica - estendendo a loro, in tutto o in parte, le regole proprie del lavoro subordinato - sono risultati sempre meno convincenti e, allo stesso tempo, hanno contribuito ad alimentare i fenomeni di illegalità diffusa nel mercato del lavoro. Questa tendenza è stata via via corretta con adattamenti parziali, in particolare prevedendo rapporti di lavoro detti atipici, cioè regolati diversamente, di solito con minori tutele rispetto a quelle tradizionali, con maggiore flessibilità e con minori costi, specie previdenziali (tipico il c.d. lavoro parasubordinato). Questi adattamenti sono risultati efficaci sul piano occupazionale (l’elevamento del tasso di occupazione e la rilevante riduzione del tasso di disoccupazione negli ultimi due anni sono in buona parte dovuti alle nuove forme di lavoro), ma è ora urgente non lasciarli a se stessi e fare un passo ulteriore. In questo modo, infatti, si è introdotta una flessibilità di cui c'era bisogno, ma rimanendo ferma la preesistente cornice (che non includeva le forme flessibili) c'è il rischio che prendano piede tendenze destabilizzanti: sia sul piano della conformazione del rapporto di lavoro e dei diritti che in esso si devono radicare, sia perché i rapporti atipici sono affiancati da istituti di sicurezza sociale assolutamente frammentari e incerti. Essi quindi sono soggetti ad una corrosione surrettizia e non controllata delle tutele, che punta poi anche ad altri rapporti e che può pericolosamente destrutturare il mercato. Scopo della nostra iniziativa è dunque quello di recuperare le forme di flessibilità introdotte in questi anni ad un quadro generale di principi e di diritti, che corrisponda, senza alcun ritorno all'indietro, al nuovo mondo del lavoro. In esso l'azione collettiva non può prescindere dalla intervenuta personalizzazione del lavoro e deve quindi essere riqualificata, ma non può essere cancellata, senza che ne risultino danneggiate, oltre alle ragioni dei lavoratori, quelle della stessa efficienza. Mentre la flessibilità collegata all'individualizzazione contribuisce alla competitività complessiva dell'economia se ed in quanto possa mettere a disposizione delle imprese un lavoro meno rigido, ma anche più qualificato e permanentemente qualificato in funzione di una concorrenza interna e internazionale che si gioca sul terreno dell'innovazione e della qualità non meno che sul terreno dei costi. La nostra proposta perciò è finalizzata: - alla ridefinizione lungo una scala continua delle diversificate forme di lavoro oggi esistenti, partendo da una disciplina e da tutele di base comuni a tutti i tipi di lavoro, per procedere poi gradualmente verso normative e tutele differenziate e ulteriori; - alla valorizzazione in ciascuna di queste forme del capitale umano del Paese, riconoscendo un ruolo centrale alla formazione, lungo tutto l’arco della vita lavorativa; - al riordinamento delle tutele facenti capo oggi agli ammortizzatori sociali in funzione delle nuove caratteristiche del mercato del lavoro; - alla riqualificazione dei momenti di azione e di autonomia collettiva nell’ambito di una rinnovata cornice legislativa. Al di sopra delle regole fondamentali che dovranno valere per tutti, la modulazione si dovrà realizzare in modo a sua volta diversificato, sia quanto alle materie, sia quanto alle fonti; cioè non solo in via legislativa ma anche attraverso il chiaro riconoscimento del valore della autonomia collettiva nonché, per certi aspetti e per gruppi di soggetti in grado di farlo, anche attraverso la contrattazione individuale. Essa, inoltre, dovrà essere orientata da un principio guida, che in prima approssimazione può individuarsi nel principio di proporzionalità delle regole al bisogno di tutela e di regolazione desumibile dall’art. 35 cost. c. 1 (la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme). Nel suo insieme, la nuova disciplina dovrà riferirsi a tutte quelle forme di lavoro che in sede europea si è preso a definire “lavoro economicamente dipendente”, formula più pregnante e più intelligibile del nostro “lavoro parasubordinato”. Il lavoro economicamente dipendente è riconoscibile sulla base di una pluralità di indici, non tutti necessari in ciascuna fattispecie, che vanno dall’assenza di collaboratori, alla corrispondenza qualitativa al lavoro salariato, a lavorare per conto di un solo datore di lavoro, alla mancanza per i propri prodotti o servizi di un vero mercato. 2. La formazione professionale continua e le politiche attive del lavoro Si può ormai ritenere acquisita l’idea che, per migliorare le performance occupazionali del nostro Paese, non solo occorra migliorare il livello di preparazione di base dei giovani che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro, ma sia altresì necessario fare della formazione per l’intero arco della vita una risorsa, volta a consentire l’aggiornamento continuo del personale già occupato contro i rischi di obsolescenza professionale, possibilità di riconversione e riqualificazione professionale nelle fasi di mutamento organizzativo, riorientamento e diversificazione professionale, di crescita e miglioramento continuo. Pertanto, oltre al diritto di ciascuno, alla conclusione del ciclo della scuola dell'obbligo e fino al compimento del 18° anno di età, di accedere a percorsi di istruzione superiore o di formazione professionale iniziale o di apprendistato ai fini del conseguimento di un idoneo titolo di studio o certificato formativo o di una qualifica professionale, si deve garantire anche un diritto alla formazione per l'intero arco della vita mirante ad assicurare continuità alla traiettoria lavorativa dell'individuo nelle fasi di transizione, di perdita dell'impiego, di sospensione o di interruzione dell'attività lavorativa. Esso costituisce parimenti sia un investimento dell'individuo sia certamente un interesse per la collettività stessa. Ciò comporta: a) il diritto di accesso gratuito alle informazioni riguardanti le offerte di lavoro e formative a livello territoriale, nazionale ed europeo, ai servizi per l'impiego generali e/o specifici nei primi sei mesi di inoccupazione e, nei dodici mesi successivi alla perdita di un impiego, il diritto di ricevere una proposta formativa, di riqualificazione o di lavoro e di usufruire di servizi per l'analisi individuale dei fabbisogni professionali e di bilanci delle competenze, al fine di valutare e di riorientare i propri percorsi professionali; b) il diritto di accesso, anche tramite appositi assegni individuali formativi, ai finanziamenti pubblici e privati e ai benefici economici destinati a promuovere la formazione come investimento sociale; c) il diritto alla promozione di misure e modalità formative specifiche atte ad assicurare pari opportunità alle donne, soprattutto in ragione della rimozione di ostacoli attinenti al ruolo riproduttivo e al lavoro di cura; d) il diritto di scelta di percorsi formativi individuali anche attraverso l’utilizzo di congedi formativi, periodi sabbatici, orari flessibili, conti-ore, prestazioni con orario ridotto, moduli formativi in alternanza, al fine di seguire percorsi formativi liberamente scelti ovvero concordati nell'ambito di accordi aziendali o territoriali, di patti formativi locali o di iniziative assunte dai servizi locali per l'impiego; e) il diritto di veder certificati i percorsi formativi realizzati e i risultati conseguiti; f) il diritto delle rappresentanze dei lavoratori all’informazione e alla consultazione periodica a tutti i livelli, anche territoriali, per prevenire fenomeni di obsolescenza professionale e squilibri di genere nella composizione della forza lavoro. Occorre prevedere adeguate forme di finanziamento per l’attività di formazione così come configurata: a) tramite contributi delle parti sociali, eventualmente integrati da risorse pubbliche, ad un apposito fondo, i cui prelievi dovranno essere regolati secondo procedure concordate collettivamente; b) tramite agevolazioni fiscali per spese di formazione a carattere integrativo da parte dell’impresa e dei singoli lavoratori secondo regole da definire in via regolamentare previa concertazione con le parti sociali. 3. Gli ammortizzatori sociali e la tutela attiva del reddito In un mercato del lavoro in cui la mobilità lavorativa si caratterizza ormai come un aspetto fisiologico e non come un’evenienza eccezionale e traumatica, non si può continuare a concepire gli ammortizzatori sociali esclusivamente in funzione di eventi a carattere eccezionale. Ciò richiede che il funzionamento dei nuovi ammortizzatori sia strettamente integrato con i servizi all’impiego e con la formazione continua. Ha altresì implicazioni sul finanziamento dei nuovi ammortizzatori che dovrà essere fondato su tre direttrici: - utilizzo della spesa pubblica per alimentare soprattutto gli ammortizzatori di base; - rinnovata finalizzazione della contribuzione, per concorrere al finanziamento degli ammortizzatori specifici; - allargamento dello spazio per forme mutualistiche basate su fondi. Più specificamente si propone di riorganizzare le provvidenze su due livelli fondamentali, che rispondono a funzioni e richiedono interventi diversi: 1) Ammortizzatori sociali di base. a) La prima esigenza è quella di armonizzare i trattamenti, ora differenziati in forme che rasentano l’illegittimità costituzionale, per configurare un livello di trattamento comune per tutte le integrazioni al reddito in caso di perdita della precedente occupazione. Ciò comporta unificare progressivamente le attuali indennità ordinarie e speciali di disoccupazione e la indennità di mobilità (mentre i prepensionamenti vanno definitivamente superati potenziando le opportunità di occupazione e di riconversione dei lavoratori anziani, anche col part time). Questi ammortizzatori di base andranno applicati a tutti i lavoratori, compresi quelli pubblici e gradualmente ai lavoratori temporanei ed economicamente dipendenti modificando i requisiti per la loro fruizione, che ora sono pensati per i lavoratori dipendenti stabili (e quindi troppo lunghi perché ne possano godere i lavoratori temporanei). b) La seconda esigenza è di ampliare il contenuto di queste provvidenze sociali di base, perché permettano la continuità di quel nocciolo di reddito che rappresenta la vita di ciascun lavoratore. Tenendo conto della gradualità dell’armonizzazione per i lavoratori temporanei ed economicamente dipendenti, bisognerà rafforzare da subito e preliminarmente alcune provvidenze: sia forme limitate di copertura relative alla continuità dei versamenti previdenziali, al rateo mutuo casa, alle tasse scolastiche, alla maternità, ecc… sia il trattamento di disoccupazione con requisiti ridotti (quelli dei cosiddetti settantottisti; cinquantunisti nel settore agricolo). Una forma efficace di organizzazione di queste provvidenze è di ricondurle a un conto di sicurezza individuale regolamentando in modo appropriato i limiti di prelievo ai diversi fini. c) La riorganizzazione di queste provvidenze di base impone di ripensare anche le forme del loro finanziamento. Il finanziamento dovrà essere misto: sostenuto in parte dalla fiscalità generale e in parte dai contributi delle categorie interessate; e differenziato a seconda del tipo di lavori. Occorre pensare a una modulazione dell’entità di contributo in capo alle imprese con riferimento alla tipologia del rapporto di lavoro del quale sono parte (si tratterebbe, cioè, di farle pagare di meno per rapporti di lavoro a tempo indeterminato e di più per rapporti di lavoro a termine). Ciò incentiverebbe le imprese a privilegiare forme più stabili di relazioni lavorative e a farle partecipare in maniera più equa ai costi del sistema: è giusto che l’impresa che produce “clienti” del sistema della disoccupazione contribuisca in misura maggiore ai costi di quest’ultimo. Un minimo di contribuzione andrà richiesto anche ai lavoratori: perché ciò può contribuire a responsabilizzarli circa l’uso del sistema, in ordine a una mobilità sempre più fisiologica nel mercato del lavoro. L’applicazione di questi trattamenti, specie quelli di disoccupazione con requisiti ridotti, si presta ad abusi, anche per la mancanza di servizi all’impiego capaci di controllare l’effettività dello stato di disoccupazione. Il controllo per prevenire simili abusi può essere efficacemente attuato su base associativa in tutti i casi in cui forme di sostegno al reddito siano gestite dalle associazioni bilateralmente nel caso di lavoratori dipendenti o, nel caso di lavoratori autonomi o economicamente dipendenti, da singole associazioni. Inoltre, per scoraggiare comportamenti opportunistici sarà utile ancorare la fruizione del sostegno da parte di lavoratori non associati alla costituzione da parte loro di forme associative, che possano farsi garanti del buon uso e sulle quali possa ricadere, in forma di contribuzione maggiorata, la sanzione di eventuali abusi. Ragionamenti analoghi – relativi ai pericoli di comportamenti opportunistici – dovrebbero essere compiuti per i trattamenti erogati nel campo del lavoro agricolo e di quello dell’edilizia. 2) Trattamenti in caso di sospensione temporanea del lavoro. L’obiettivo generale e di finalizzare questi istituti non solo all’obbiettivo di composizione dei conflitti, ma di una efficiente allocazione della risorsa lavoro a fronte delle riorganizzazioni aziendali, in specie nel caso di eccedenza di personale. A tal fine anche l’uso di questi ammortizzatori andrà coordinato strettamente con l’attività dei servizi all’impiego e con la formazione continua. Va sottolineato che la maggiore flessibilità di cui può godere l’impresa (in termini di tipi contrattuali, di orari, ecc.) unita a una maggiore capacità del sistema di sostenere con formazione e servizi all’impiego l’occupabilità dei lavoratori, dovrebbe ridurre la drammaticità del problema delle eccedenze e delle riconversioni aziendali. La riorganizzazione, va perseguita in tre direzioni anche tenendo conto della delega approvata nel 1999. a) Anzitutto armonizzare le attuali forme di cassa integrazione compreso l’utilizzo dei contratti di solidarietà e superare progressivamente le discipline particolaristiche (normalmente assunte in deroga). b) In secondo luogo estendere gli istituti di integrazione salariale a tutte le categorie escluse. c) Infine, definire in modo rigoroso la durata della integrazione (entro limiti massimi anche fissati entro un intervallo predefinito di tempo) e prevedere tassi di copertura decrescenti nel tempo. Questi ammortizzatori, data la loro caratteristica, dovranno finanziarsi essenzialmente su base assicurativa, cioè con contributi dei soggetti beneficiari; e le prestazioni dovranno essere correlate, almeno entro un certo limite, all’onere contributivo. Anche qui occorre responsabilizzare le parti all’uso delle provvidenze. Si può pensare, ad esempio, a subordinare l’accesso al trattamento alla previsione dei contratti collettivi (ed alla effettiva utilizzazione) di clausole che prevedano la flessibilità dell’orario su base annuale, in modo tale da ricorrere alla risorsa solo dopo che sul piano aziendale si sia già cominciato ad assorbire le eventuali varianze negative del fabbisogno occupazionale. Più in generale è necessario incentivare le aziende a farsi carico attivamente della sorte dei dipendenti in caso di crisi, secondo il modello del piano sociale già adottato in alcune esperienze europee. Specie ai fini dell’estensione delle integrazioni salariali a tutte le categorie ora prive, va valorizzato il modello del fondo categoriale o intercategoriale bilateralmente costruito, nonché l’utilizzo congiunto di risorse del fondo con risorse pubbliche ed esperienze interessanti come quelle della ‘banca ore’: un interessante modello esiste nel comparto artigiano. Su queste aree fondamentali (formazione professionale continua e politiche attive nel lavoro; ammortizzatori sociali) la rimodulazione va definita legislativamente (e attuata nella pratica applicativa) tenendo conto anche delle nuove competenze regionali in materia di lavoro e previa concertazione con le parti. Roma, 22 maggio 2002 * * * Schema I. Applicando schematicamente quanto evidenziato in precedenza e considerando la suddivisione in tre tipologie di lavoratori (autonomi; economicamente dipendenti; subordinato;) si può ritenere che le normative di base applicabili a tutte le forme di lavoro - comprese quelle autonome, i soci di cooperative, i lavori di pubblica utilità, nonché di volontariato e di tirocinio – comprendano un minimo comun denominatore fondato su: TIT. I LAVORO AUTONOMO. Riguarda le normative di base applicabili a tutte le forme di lavoro – in particolare quelle autonome: a) I diritti di libertà politiche, civili e sindacali (mantenendo qui le norme fondamentali dello statuto dei lavoratori, riguardanti anche la libertà, la libertà sindacale, di negoziazione collettiva, il diritto all’autotutela collettiva, con in più diritti nuovi come il diritto alla riservatezza; alla tutela contro le molestie sessuali; gli standard protettivi fondamentali per la tutela della salute e la sicurezza del lavoro in quanto svolte in ambienti di lavoro organizzati dal datore di lavoro o dal committente; forme di prevenzione e protezione dei rischi relativi; una tutela minima della continuità del rapporto (preavviso); diritto ad un equo compenso, a un equo trattamento pensionistico e alla tutela attiva del reddito). b) Il diritto all’apprendimento sia nella fase di transizione dalla scuola al lavoro sia nel corso della vita attiva, compresi i congedi, in rapporto alle caratteristiche dell’attività svolta e al fine di promozione della occupabilità anche in lavori diversi. Il diritto è individuale ma esercitabile anche su basi collettive. La norma statale si limita a stabilire il principio affidando la disciplina e la gestione ai livelli regionali e subregionali. c) Il diritto di utilizzare gratuitamente i servizi all’impiego pubblici e privati e di beneficiare di incentivi all’occupazione definiti su base regionale. d) Diritto alla maternità, alla paternità, alla cura personale, alla conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro (congedi familiari, assegni per la famiglia, etc.). e) Misure di sostegno all’occupabilità. TIT. II. LAVORO ECONOMICAMENTE DIPENDENTE. Comprende norme ulteriori che integrano e migliorano quelle del TIT. I, e si applicano in particolare al lavoro economicamente dipendente, cioè alle attività consistenti in un’opera continua e coordinata, prevalentemente personali, senza subordinazione giuridica, dietro corrispettivo: - diritto di organizzazione, di attività sindacale e diritto di sciopero; - diritto alla parità e alla non discriminazione; - un compenso proporzionale alla qualità e quantità del lavoro, stabilito da accordi collettivi o con riferimento agli usi, da corrispondere in tempi certi e ragionevolmente brevi; - diritto a periodi di riposo; - trattamenti economici in caso di malattia, infortunio e maternità (da adattare ai vari tipi); - tutela risarcitoria in caso di recesso senza causa; - diritto di informazione secondo le normative contrattuali; - diritti per apporti originali e per le invenzioni; - forme di tutela attive volte a predisporre una rete di sicurezza per i casi prolungati di inattività (non volontaria) con finanziamento in parte pubblico in parte contributivo degli interessati (norma base integrabile con disciplina regionale); - diritto all’apprendimento continuo per il cui finanziamento è previsto un contributo a carico del datore di lavoro/committente (da definire in sede regionale); - diritti di sicurezza sociale e tutela del reddito. TIT. III. LAVORO SUBORDINATO. Comprende norme che integrano e migliorano quelle dei titoli precedenti e si applicano ai lavoratori subordinati. - diritti sindacali; - diritti di informazione e forme partecipative secondo le direttive europee; - diritto all’apprendimento continuo attraverso la definizione di modalità di anticipazione dei cambiamenti e di prevenzione dei loro effetti, definizione di percorsi di carriera, investimenti formativi a carico dell’impresa e dei lavoratori, certificazione competenze acquisite e loro riconoscimento a fini di crescita professionale; - Procedure di conciliazione e di arbitrato incentivate (secondo il precedente degli accordi CISPEL, ARAN, CONFAPI); - sostegno della previdenza complementare e devoluzione del TFR; - politiche attive per il sostegno all’occupabilità (da articolare su base regionale); - tutela attiva del reddito in caso di disoccupazione (con particolare riferimento ai lavoratori temporanei). Roma, 22 maggio 2002 LAVORO Ordini del giorno, note, comunicati, dichiarazioni, articoli e interviste sui problemi del lavoro SOMMARIO NUMERI PRECEDENTI Numero 1 – dicembre 2001 · Odg approvato dalla Direzione Nazionale DS il 4/12/2001 contro l’attacco all’art.18 · Dichiarazioni su FIAT e Ilva · Viaggio nel lavoro Numero 2 – gennaio 2002 · Amianto · Articolo 18 · Pensioni · Odg approvato dalla Direzione Nazionale DS il 28/01/02 su Lavoro, Welfare e qualità dello sviluppo · Delega al governo sul mercato del lavoro · Viaggio nel lavoro Numero 3 - marzo 2002 · Articoli, interviste e dichiarazioni di Cesare Damiano · Articolo di Pietro Gasperoni su “La riforma della rappresentanza e rappresentatività sindacale” · Dichiarazioni su Amianto, Blu, Gela · Programma attività Dipartimento Lavoro · Estratti delle tesi congressuali della Sinistra Giovanile · Viaggio nel lavoro Numero 4 – aprile 2002 numero speciale dei Dipartimenti Lavoro e Welfare · Nota sulla delega previdenziale Numero 5 – maggio 2002 · Proposte di Legge sui lavori atipici dei gruppi consiliari DS della Regione Lazio e della Regione Liguria · Programma di attività maggio-luglio del Dipartimento Lavoro · “Verso la Conferenza Programmatica dei DS” · Calendario delle iniziative sui temi del lavoro · Petizione popolare I numeri già pubblicati sono disponibili presso la segreteria del Dipartimento Lavoro Tel. 06/6711450  


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