15 Settembre, 2002
Collocamento / Via libera al riordino del servizio pubblico
Parte il nuovo collocamento
Collocamento / Via libera al riordino del servizio pubblico
Parte il nuovo collocamento
Ecco lo Stato più distratto e severo
Parte il nuovo collocamento. E' stato approvato dopo il parere positivo del Parlamento il decreto legge per «agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro» (n. 127 del 2002) che diverrà operativo dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il nuovo decreto, emanato come il precedente in base alla delega contenuta nell' art. 45 della legge n. 144 del 1999, interverrà sul riordino delle politiche di collocamento, integrando e completando il decreto 469 del 97 che istituì i nuovi servizi per l'impiego e modificando il dl 181 del 2000 che ne individuò i criteri operativi.
Si tratta di una piccola rivoluzione per l'intero settore, con diverse luci e soprattutto - come segnala la Cgil - molte ombre. Rispetto al decreto 181, che indicava le tipologie dei soggetti a cui i nuovi servizi e le nuove politiche per l'impiego si dovevano rivolgere e le modalità da osservare per le nuove strutture sorte dalle ceneri del collocamento pubblico, quel che maggiormente colpisce del nuovo decreto è una concezione maggiormente punitiva verso i disoccupati (sono previsti criteri molto più discrezionali per definire lo status di disoccupazione), e una vera e propria anticipazione della filosofia e delle nuove disposizioni contenute nel disegno di legge delega sulla riforma del mercato del lavoro (il famigerato atto Senato 848, oggi 3193 alla Camera).
La riforma prevista dal dl 127, infatti, porta a compimento la ridefinizione del collocamento nella cornice delineata dalle proposte contenute nel Libro Bianco di Maroni, con una riduzione della funzione di controllo del pubblico e una discrezionalità da parte degli stessi soggetti locali che solo in minima parte è attribuibile all'esigenza di adattare la normativa al nuovo titolo V della costituzione in materia di federalismo.
Il decreto 127 stravolge prima di tutto (art. 1 comma 2 lettera f) le impostazioni del vecchio decreto 181 che riconosceva come «servizi competenti» per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro i soli centri per l'impiego. Con la nuova normativa questi sono messi sullo stesso piano di «altri organismi accreditati o autorizzati a svolgere le previste funzioni», senza specificare però quali siano le modalità di accreditamento per i nuovi soggetti privati. Non si prefigura solo la possibilità di avere sistemi di accreditamento diversi da regione a regione, ma come fanno notare gli stessi deputati dell'Ulivo - si autorizza una possibile sottrazione, da parte dell'ente locale, di risorse pubbliche verso soggetti terzi.
Il decreto inoltre (articolo 5, comma c) prevede un peggioramento rispetto al decreto 181 in merito al mantenimento dello stato di disoccupato. Infatti il disoccupato perderà il proprio status in caso di mancato rispetto di una convocazione da parte dei servizi per l'impiego senza «giustificato motivo», ma la normativa non indica cosa si intende con la parola «giustificato». Si perderà lo status di disoccupato (e non solo l'anzianità di disoccupazione, come prima previsto) e quindi la possibilità di ricorrere ai diversi servizi per trovare lavoro, anche in caso di mancata risposta ad una «congrua offerta di lavoro». Ancora una volta il decreto non definisce esattamente cosa si intende con il termine «congrua» (tipologia di contratto, distanza del luogo di lavoro dal domicilio, ecc.) e non riconosce la possibilità (come invece era previsto dalla 181) che a definire la congrua offerta possano essere la commissioni tripartite (istituite come di cabine di regia dalla 469 del 1997).
Altre novità che saranno introdotte sono inoltre: la definizione di adolescente (art. 1 comma 2 lettera a) all'interno delle diverse tipologie di soggetti a cui i servizi per l'impiego dovranno rivolgersi, senza riferimento alcuno all'assolvimento dell'obbligo formativo; scompare la tipologia degli inoccupati (art. 1 comma 2 lettera c), accorpando disoccupati di lunga durata e inoccupati, e cioè coloro che non hanno mai svolto un lavoro, all'interno della stessa categoria (anche se le due tipologie sono assai diverse per requisiti anagrafici, professionali e formativi - e su questo la stessa maggioranza ha fatto rilevare la gravità della scelta); si sopprimono ( art. 2 comma 3) le liste di collocamento ordinarie e speciali (con eccezione dei lavoratori dello spettacolo, i disabili, i lavoratori in mobilità e marittimi) mentre rimane in vigore la lista legata all'art. 16 della legge 56/87, quella per le assunzioni nella pubbliche amministrazioni fino al 4° livello (da più parti indicata però come la vera zavorra che permane sul nuovo collocamento); si sopprime il termine generico di «datore di lavoro» previsto dal decreto 181 in merito alle modalità di comunicazione delle assunzioni, indicando però le specifiche tipologie di rapporto di lavoro per cui la comunicazione è obbligatoria (compresi i tirocini, art. 6 coma 4), e in questo elenco mancano i contratti di apprendistato (come ha fatto osservare il parere della minoranza parlamentare); vi è la riduzione da 12 mesi a 6 del diritto di precedenza riconosciuto a lavoratori licenziati in caso di nuove assunzioni da parte della stessa impresa e infine il decreto, nell'indicare le diverse tipologie di servizi (art. 4 comma 1 lett. a) presenta i servizi di formazione o integrazione professionale come alternativi ad altre misure mirate per la promozione dell'inclusione (contrariamente a quella strategia complessa di intervento a tutto campo indicata anche dalle linee comunitarie per la lotta alla disoccupazione), con grande danno verso quelle categorie più svantaggiate come ex carcerati o tossicodipendenti. Il decreto introdurrà anche alcune novità positive (in gran parte sollecitate dalla stessa Cgil) come l'obbligo (art. 6) di comunicare contestualmente (20 giorni per le agenzie interinali) a Inail e Inps le nuove assunzioni (nel decreto 181 vi erano 5 giorni per farlo, a discapito della stabilità del rapporto di lavoro in caso di infortuni), la riduzione dei tempi entro i quali i servizi competenti devono offrire un colloquio alle persone in cerca di occupazione (si passa da 6 mesi a 3, art. 4 comma 1), il mantenimento dello status di disoccupato (che il decreto comunque conserva per i lavoratori socialmente utili) se non si percepiscono redditi annuali superiori a quelli minimi sottoposti a imposizione.
Alla luce di tutto ciò le preoccupazioni non mancano soprattutto se si
considera che - come dice la Cgil - le attuali riforme si inseriranno nel
quadro di precarizzazione e darwinismo sociale che la riforma del mercato del lavoro proposta dal Governo auspica per il nostro paese
di Alessandro Genovesi
fonte: www.rassegna.it
 
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