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15 Settembre, 2002
Si studia troppo e si studia male - di G. Barbiellini Amidei
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Paradossi di un sistema educativo in crisi

SI STUDIA TROPPO E SI STUDIA MALE
di Gaspare Barbiellini Amidei
dal "Corriere della Sera" del 2 dicembre 2002


C’è un bilancio in deficit che riguarda dieci milioni di italiani. Rimettere le cifre a posto avrebbe costo zero. Il time-budget dei giovani è segnato da scarsità di senso. Mentre si avvicinano le vacanze di Natale, si può riaprire il discorso sull’eccessivo carico dell’orario scolastico. È il più pesante d’Europa.
Si studia troppo e si apprende troppo poco, se le indagini internazionali - l’ultima è dell’altro ieri - ci pongono agli ultimi posti nelle competenze linguistiche e matematiche.
Tutto il tempo dei giovani ha scompensi irrazionali, fra sovrabbondanza di lezioni a scuola e consumo elettronico a casa, tv e Internet. Resta alle nuove generazioni scarso spazio per parlare e pensare, per definire un personale ritmo nei gesti e nei sentimenti.
Quasi 40 ore in aula per settimana sono troppe. In un anno di scuola media un ragazzo italiano rimane in classe 1.100 ore contro le 900 del resto d’Europa. Quando torna a casa lo aspettano tre ore di televisione, una di videogiochi o di collegamenti online, interrotte solo dal trillo del cellulare, posseduto dal 60 per cento degli undicenni.
Questo schema è carente di logica. La pedagogia moderna suggerirebbe invece addensamenti meno massicci di orario scolastico e più frequenti interruzioni intelligenti. Le pause sono efficaci per la salute e per rigenerare la voglia di imparare. Le poche vacanze non estive offerte dal sistema italiano vengono in modo ripetitivo gestite dalle settimane bianche e dalle gite scolastiche. Nel resto d’Europa c’è una variegata strategia dello stop and go , una settimana a novembre, una a Carnevale, un’altra fra maggio e giugno. A Pasqua le aule sono chiuse per due settimane in Francia e Gran Bretagna, per dodici giorni in Germania. Specificità italiana è prolungare le ferie estive da metà giugno a metà settembre, nessun altro Paese lascia i ragazzi fuori dalla scuola per 14 settimane.
Ci sono stratificati motivi in questa stravaganza pedagogica, la macchina turistica ha bisogno di utenti, e poi ci sono l’accaldata meteorologia, la forza dell’abitudine e l’aspirazione di non pochi insegnanti.
Aiutare i giovani a recuperare un uso intelligente del tempo non è questione marginale. L’alternanza fra insegnamento in aula e crescita individuale negli altri impieghi del tempo favorisce un modello di gioventù che sia titolare di diritti maturi. Uno studente che entra ed esce dalla scuola secondo la logica della salute e dell’apprendimento diventa un soggetto responsabile.
Capisce meglio il mondo, anche fuori da quel microcosmo dell’aula governato da uno spirito che è femminile al 90 per cento. Ormai quasi solo donne sono gli insegnanti, questa è una «chance» preziosa per sensibilità e intelligenza, ma non sempre questa pedagogia proposta da un solo sesso riesce a essere equilibrata. Fuori, in qualche modo, i ruoli si compensano, riappare anche la figura del padre, per suo conto evanescente pure in casa.
Alleggerito dalle troppe ore e frammentato da mini-ferie, un nuovo calendario scolastico potrebbe creare problemi alle famiglie dove entrambi i coniugi lavorano. Ma a loro vantaggio si potrebbero inventare stanze di compensazione, luoghi scolastici di vacanza-non vacanza attrezzati a una elastica educazione per un uso corretto dell’armamentario elettronico, oggi così invadente.
Da Novi Ligure a Leno, le tragedie della cronaca recente avevano a che fare con un disordinato rapporto dei giovani con il loro modo di vivere i giorni. Finiscono per ammazzare il tempo (e qualche sciagurato fra loro non solo il tempo).

 


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