15 Settembre, 2002
Forza Italia partito anomalo
dal magazine di www.dsinline.it
Forza Italia partito anomalo
di Enzo Roggi dal magazine di www.dsonline.it
“Non il leader politico, ma l’uomo d’affari andrebbe in parlamento direttamente a proprie spese, mentre per la soluzione di questioni politiche secondo criteri politici una siffatta ‘rappresentanza popolare’ (il parlamento appunto) sarebbe veramente la sede meno adatta”.
Questa proposizione è nel 1922 e appartiene al massimo esponente della sociologia dei partiti, Max Weber, il quale nella sua opera maggiore “Economia e società” paventava il rischio della riduzione della democrazia politica a dominio diretto degli interessi corporativi, in sostanza dei ricchi.
E ricordava che ci sono due tipi di partito: quello il cui fine “è unicamente quello di insediare il loro capo nella carica direttiva”, e quello che si fonda invece “su una intuizione del mondo e sull’impegno a servire l’attuazione di ideali di contenuto politico”.
Ottanta anni orsono il grande analista aveva previsto il fenomeno Berlusconi come conseguenza della crisi dell’assetto democratico fondato sui partiti, proprio quel che è successo in Italia a cavallo degli anni ‘90.
Ma, trovandoci ormai alla terza legislatura segnata dalla presenza di Berlusconi, non è più sufficiente pensare a tale presenza come ad una risposta casuale e male intenzionata alla crisi della prima repubblica. E sarà saggio applicare la lezione di Weber ad una situazione abbastanza consolidata.
Il tema torna ad essere: quale dei due tipi di partito ha creato il cavaliere? Esiste in Forza Italia una “intuizione del mondo” che risponda ad un ideale politico? Può essere considerato tale il vago liberal-conservatorismo di un Dell’Utri, il clerico-reazionarismo di un Baget Bozzo, il populismo aziendalista dello stesso leader-padrone? Insomma, esiste un “berlusconismo” inteso come apparato non di obiettivi utilitari ma di idealità a valere per la società nazionale?
Weber direbbe: esiste un forte senso del potere, una fondazione carismatica del meccanismo di decisione, un disprezzo autoritario per i contrappesi istituzionali, ma non esiste un partito, un corpo collettivo di elaborazione e mediazione politica.
Stando così le cose mi sembra limitativo considerare le tensioni nella coalizione di governo (ormai ridotta a “monocolore”, per dirla con Storace) come pura guerriglia di poltrone. Fi non è la Dc degli anni ’50 che prevaricava sugli alleati minori. Fi è il non-partito che tutto domina ma senza l’apparato ideale-politico di una grande forza storica come era, appunto, la Dc.
Così la questione principale non è se ci sarà nella Cdl un novello Craxi sfasciatutto o se ci sarà un novello La Malfa anti-monopolista.
La questione principale, sotto il profilo della salute democratica della politica e delle istituzioni, è il consolidarsi di un potere personale che salva le apparenze dell’ordinaria procedura democratica ma che la corrode e vanifica fino a renderla una caricatura esposta al ludibrio dei democratici veri e all’indifferenza sprezzante della massa dei guicciardiniani.
Un non-partito (nel senso affermato da Weber poiché non basta avere sedi, soldi, giornali, organigrammi per meritarsi il nome di partito) che monopolizza presidenza del Consiglio, Esteri, Interni, Economia, Difesa e che si avvale di cinque ministri “tecnici” amici è ben più di un monocolore di fatto: è una nuova forma di governo ignota nel mondo a democrazia rappresentativa, bipolare o no. Il consenso può legittimarla ma non depurarla dal marchio dell’anomalia.
 
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