15 Settembre, 2002
La sanità in Lombardia non sta in ottima salute
di Giuseppe Vanacore – Segretario regionale CGIL Lombardia
La sanità in Lombardia non sta in ottima salute.
di Giuseppe Vanacore – Segretario regionale CGIL Lombardia
La sanità in Lombardia non sta in ottima salute, questo è il parere della CGIL regionale consolidatosi nel corso degli ultimi anni, dopo aver valutato in concreto le conseguenze delle politiche di Formigoni sul bilancio e sugli utenti.
Un giudizio severo il nostro perché abbiamo dovuto assistere al declino di molte strutture pubbliche, mentre l'alternativa privata non ha portato nella generalità dei casi alcun significativo vantaggio.
Non vi sono stati vantaggi dal punto di vista economico. Oggi la sanità in Lombardia costa sensibilmente di più ai cittadini: è stata aumentata l'irpef per 700 miliardi di vecchie lire per il 2002 ( una misura transitoria che in questi giorni con l'approvazione del bilancio della regione da parte del Consiglio regionale per il 2003 diventerà definitiva); circa 100 farmaci sono stati spostati dalla fascia gratuita a totale carico dei cittadini; vengono introdotti i ticket - da poco aboliti - sui farmaci e sulle prestazioni del pronto soccorso; sulle visite mediche specialistiche e sugli esami diagnostici, si è passati - in particolare per gli esami - dalla prospettiva di un abolizione ad un ulteriore significativo rincaro (2 euro in più per esame, 35 euro per visita al pronto soccorso non urgente, 50 euro per visita con esami).
A questo punto, se guardiamo ai due cardini fondamentali della riforma di Formigoni, e cioè alla libertà di scelta del cittadino dove curarsi e alla libertà di erogazione delle prestazioni da parte di tutte le strutture pubbliche e private accreditate, possiamo affermare che su entrambi i versanti vi è in atto una vera e propria crisi di prospettiva.
Da una politica di espansione indiscriminata dell'offerta, a prescindere (ricordate Toto?) da qualsiasi valutazione dell'appropriatezza, siamo passati con gli ultimi provvedimenti della giunta ad una fase apertamente recessiva: blocco generalizzato degli accreditamenti, compresa l'area dell'alta specialità; blocco generalizzato degli organici, a fronte di una consistente riduzione del personale nel corso del 2002 e del permanere dell'emergenza infermieristica; revisione della rete dell'emergenza-urgenza aggravando le strutture pubbliche e sgravando contemporaneamente quelle private dall'obbligo di tenere attivato il pronto soccorso; aumento esponenziale della spesa ambulatoriale, senza significativi risultati sulle liste di attesa (i tempi ufficiali non corrispondono mai alla realtà, né nel pubblico né nel privato); chiusura di posti letto in molti ospedali: per mancanza di personale, mancanza di attrezzature, per dismissioni striscianti o privatizzazioni; assenza di un serio piano di riordino della rete ospedaliera di tutta la Lombardia e del contestuale sviluppo di una rete territoriale di servizi capaci di prendersi in carico i malati dimessi dopo la fase acuta (il sistema attuale mette fuori dell'ospedale i malati in tempi sempre più brevi).
In compenso il deficit sanitario è schizzato negli ultimi anni progressivamente sempre più su: i dati ufficiali della regione indicano un disavanzo a fine 2001 di ottomila miliardi di vecchie lire e la previsione della chiusura del 2002 avvicinerà il deficit ai novemila miliardi. Non serve dire che anche in altre regioni si è accumulato un deficit, come spesso gli uomini di Formigoni affermano: in sanità è facile occultare la verità e in molti casi manca la necessaria trasparenza, ma non si può negare che esistono altri modelli organizzativi - come ad esempio quello della Toscana - che hanno dimostrato di saper rispondere meglio alle sfide che sono frapposte ai sistemi di tipo universalistico (ad esempio, su questo versante occorrerebbe che i manager avessero più coraggio e più autonomia, perché alcuni di loro hanno operato per evitare la deriva del sistema pubblico. Ma non c'è da sperare che tale impegno sia stato valutato positivamente da Formigoni, e molti dirigenti lo sanno.). Ma purtroppo si sa che ciò che è in discussione in Lombardia è appunto il carattere universale del sistema sanitario, la sua gratuità e il fatto che garantisce le prestazioni a tutti i cittadini. Formigoni quando ha lanciato lo slogan della libera scelta, ha affermato che la sua intenzione era quella di consentire anche ai cittadini poveri di curarsi nelle cliniche private. La CGIL d’altro canto ha sempre considerato positivo che anche i ricchi - come ancora oggi avviene - trovassero utile scegliere di curarsi nelle strutture pubbliche per la loro insostituibile qualità.
Si parla spesso di fallimenti dello Stato, ma mai come nel campo della salute assistiamo inesorabilmente ai fallimenti del mercato: maggiori costi, discriminazioni delle persone in base al reddito, progressiva riduzione della qualità, esaltazione della cura e dei punti di eccellenza e contestuale impoverimento della prevenzione e dei servizi territoriali.
Per certi versi è incomprensibile perché non si elevi ancora e adeguatamente un moto di sdegno decisivo e non si avvii un forte e duraturo movimento teso a fare definitivamente chiarezza, con la pretesa di arrivare a conoscere fino in fondo qual è la realtà di questa regione: dei conti, dei servizi, dei programmi. Ponendo così le basi per un cambiamento di rotta, per l’affermazione di una scelta di cure appropriate, per qualificare, ma anche salvaguardare questo patrimonio di esperienze, professionalità e alta qualità a disposizione di tutti i cittadini, rappresentato dal sistema sanitario pubblico.
In occasione del piano socio sanitario si era determinata una convergenza con altri soggetti che operano in campo sociale come la Caritas e con le organizzazioni sindacali dei medici e dei dirigenti sanitari. L’impegno di ricostruire una visione comune per tutti coloro che hanno a cuore il sistema pubblico, che non sono contro l’intervento privato, ma contro la privatizzazione e il superamento di un sistema di tipo universale sarà nel prossimo anno un terreno da coltivare, per accrescere conoscenza, capacità di iniziativa e di mobilitazione. Le battaglie che sicuramente siamo destinati a perdere sono quelle che decidiamo di non combattere.
Giuseppe Vanacore – Segretario regionale CGIL Lombardia
 
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