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 Economia

15 Settembre, 2002
Il governo non comprende il dramma dell'economia
Intervista a Giuliano Poletti, Presidente Lega Coop

Il governo non comprende il dramma dell'economia
Intervista a Giuliano Poletti, Presidente Lega Coopda www.unita.it

C’è un problema di fondo, che condiziona la politica economica del governo e, quindi, anche la Finanziaria 2003: la mancata presa d’atto delle reali condizioni dell’economia. Nazionale e mondiale. È da qui che, secondo il neo presidente di Legacoop, Giuliano Poletti, si deve partire per imboccare la strada giusta. «Finchè questa presa d’atto non ci sarà - dice - sarà difficile dare ai cittadini l’impressione che la situazione è sotto controllo». E sarà difficile ricostruire quella fiducia che è condizione essenziale per ogni possibilità di ripresa.

Presidente, la Finanziaria 2003 è in dirittura d’arrivo, che giudizio dà del testo in fase di approvazione?
«Il nostro giudizio è stato critico sin dall’inizio. Perchè non affrontava i problemi dell’economia, nè quelli strutturali, né quelli congiunturali. In questi mesi, è vero, sono stati apportati molti cambiamenti, ma la Finanziaria mantiene i suoi limiti, evidenti».

Qual è la critica principale che muovete a governo e maggioranza?
«La mancata presa d’atto dello stato reale dell’economia, mondiale e nazionale. Il quadro è caratterizzato da grande incertezza, c’è una forte crisi di fiducia e l’Italia non fa eccezione. Finché questa presa d’atto non ci sarà, sarà difficile cambiare rotta e dare ai cittadini l’impressione di una situazione sotto controllo. In questo clima anche le decisioni prese rischiano di non produrre i risultati che potrebbero essere raggiunti».

Dunque?
«Bisogna dare ai cittadini il senso di una comprensione esatta della situazione del Paese. E fare scelte, dal punto di vista economico, conseguenti».

Basta?
«È anche necessario riattivare le condizioni, e i tavoli, del confronto e della concertazione. Servono politiche difficili, che richiedono sacrifici e fiducia. Per questo sono indispensabili rapporti positivi tra i diversi soggetti, economici e sociali, e le istituzioni».

Voi siete tra i firmatari del Patto per l’Italia. Con le scelte della Finanziaria, il governo lo sta demolendo. Cosa chiedete a Palazzo Chigi?
«Il Patto è stato sottoscritto da molti soggetti. Ciascun soggetto, con la firma, si è impegnato a garantirne l’attuazione per la parte di sua competenza. Penso che il governo vada misurato su questo. Il quadro della finanza pubblica è difficile, nonostante ciò sono stati affrontati problemi delicati, come quello dei 15mila Lsu impegnati nelle pulizie delle scuole che rischiavano di perdere il posto. Ma non basta. Se si cambiano termini e condizioni è necessario che si richiamino gli interlocutori e che si riapra il confronto. Non ci possono essere atti unilaterali. Altrimenti il Patto viene svuotato dei suoi contenuti».

Nella sua configurazione definitiva la Finanziaria si caratterizza per una raffica di condoni. Che giudizio ne dà?
«I condoni non sono un buon segnale al Paese. Sanciscono nei fatti una disparità tra cittadini e imprese, tra i cittadini tra loro. Pensiamo ad esempio ai lavoratori dipendenti che vengono tassati alla fonte. Ma non è solo una questione morale. Come tutti i provvedimenti una tantum, il condono, una volta attuato, finisce col lasciare inalterati i problemi di prospettiva. Problemi che per la finanza pubblica sono pesanti».

Si era parlato molto di provvedimenti finalizzati al rilancio dei consumi, invece non ce n’è traccia. È un male?
«Il vero problema è la fiducia. Gli eventuali microinterventi possono avere un respiro solo congiunturale. Quello che serve, ripeto, è la fiducia dei cittadini. Costa di meno, produce di più. Ma politicamente è anche l’obiettivo più difficile da raggiungere».

Criticata l’impostazione di fondo e bocciati i condoni, quali sono gli altri punti di maggior negatività che vedete in Finanziaria?
«Penso al tema della conoscenza. Quello della ricerca, come quello dell’istruzione, è una campo nel quale non si possono lesinare le risorse. Farlo, è un segnale sbagliato. Insieme alla fiducia è un elemento di interesse generale: è qui che si afferma o meno la competitività del Paese. Ma per far ciò è necessario che si guardi alla realtà per quello che è. Cosa che invece non si è fatta».

 


       Commentowww.unita.it



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