15 Settembre, 2002
Don Primo Mazzolari, biografia
Nato a Boschetto (Cremona) il 13 gennaio 1890, deceduto all’ospedale di Cremona il 12 aprile 1959, sacerdote e scrittore.
Don PRIMO MAZZOLARI
Biografia
*nasce a Cremona , frazione Boschetto, il
13 gennaio 1890 e muore a Cremona il 12 aprile
1959*
Don Primo Mazzolari nacque il 13 gennaio
1890 al Boschetto (frazione di Cremona) da
una famiglia di piccoli fittabili.
Entrò nel seminario di Cremona a 12 anni
e fu ordinato sacerdote il 25 agosto 1912.
Scrisse diverse opere: La più bella avventura
(1934); Impegno con Cristo (1943); Tempo
di credere (1941); Anch’io voglio bene al
Papa (1942).
Nel dopoguerra come momento di evangelizzazione
dei poveri fondò il quindicinale Adesso (1949).
Il 12 aprile 1959 morì a Cremona.
Gli scritti di Mazzolari si basano sulle
teorie del modernismo italiano e le condizioni
del periodo preconciliare.
Nelle sue opere si notano riferimenti, partecipazioni
al piccolo mondo della pieve rurale, cioè
all'atteggiamento cristiano tenuto dal popolo
contadino.
Mazzolari agisce spesso in contrasto con
la gerarchia ecclesiastica preoccupandosi,
nel corso del suo sacerdozio,di tutte le
persone lontane da Dio.
Mazzolari cerca di limitare il divario politico
tra cristianesimo e comunismo, perchè valuta
le idee, gli atteggiamenti comunisti sugli
ideali di pace suscitando perciò le critiche
anche aspre di molti ambienti cattolici.
Il tema dell'obbedienza in Mazzolari deve
essere considerato entro una linea di innovazione,
lo sviluppo cioè della sottomissione preliminare
e assoluta alla coscienza rispettosa, ma
obiettante.
Mazzolari riusciva quindi a rispettare le
regole, ma nello stesso tempo a obbiettare
e fu per questo, che venne definito un "disturbatore
della quiete ecclesiastica".
Il pensiero di Mazzolari fu oggetto di critiche
da parte della gerarchia ecclesiastica alle
quali seguirono anche provvedimenti ed ammonizioni.
Nella dottrina cristiana cercò sempre più
di esaltare e rafforzare la comunicazione
immediata con Dio e con ciascuno di noi;
il discorso evangelico nel dialogo quotidiano
secondo Mazzolari, deve essere un dono e
un'arte capace di scuotere le coscienze dei
peccatori.
In questo il vescovo Bonomelli fu maestro
di don Primo Mazzolari per i suoi atteggiamenti
di apertura nei confronti della società.
Nel 1905 Mazzolari liceale cominciò a scrivere
il Diario nel quale si rilevano momenti emotivi
che spingono Mazzolari alla pietà filiale
nei confronti del popolo ed una ispirazione
rivolta alla sincerità, alla franchezza,
allo spirito di sacrificio fedele al credo
cristiano; tutto questo per dare sostegno
ai sentimenti, alla dignità, ma soprattutto
per formare il carattere degli uomini e di
ogni persona.
Il periodo modernistico, quindi, apre il
rapporto tra società religiosa e società
civile; nasce una nuova cultura critica,
un nuovo spirito ecumenico verso la confessione
cristiana.
Bonomelli, in questo periodo, avanza con
molto coraggio e fermezza, come anche don
Mazzolari, la proposta di separazione tra
Stato e Chiesa, perchè in questo modo ci
sarebbe stato un risvolto di una riconciliazione
della vita futura ecclesiale d'Italia.
Questa visione, questa fermezza di per potere
effettuare la separazione tra Stato e Chiesa
si ritrova fortemente nella sensibilità pastorale
del vescovo.
Don Primo Mazzolari scrisse sul quindicinale
Adesso una lettera ai vescovi della Val Padana,
specificandone le condizioni di vita dei
braccianti e salariati.
Don Mazzolari cerca di scuotere l'animo dei
vescovi con questa lettera che inizia con
una breve premessa, affinchè i vescovi possano
proporre dei cambiamenti, per cercare di
migliorare la vita dei contadini che sta
sempre più peggiorando.
La lettera cita diversi fatti e numerose
considerazioni che dimostrano la pessima
vita dei contadini nelle campagne.
Una domanda che si può porre è: perchè la
lettera venne scritta ai vescovi della Val
Padana e non al governo?
La risposta, secondo Mazzolari, è estremamente
facile perchè, il Governo è sempre troppo
impegnato per occuparsi del popolo, mentre
il vescovo, essendo "padre del popolo"
, riesce sempre a trovare spiegazioni, cercare
aiuti per la gente più bisognosa proprio
come farebbe il Padre eterno.
Molto significativo, secondo me, è stato
un breve articolo scritto sul quindicinale
Adesso del 15-12-1957 nel quale, a mio avviso
anticipa alcuni temi moderni relativi alla
trasformazione dell’ambiente rurale e alla
sua scomparsa in relazione all’ambiente ecclesiale:
UNA SITUAZIONE VERAMENTE GRAVE
" Mai la fiducia del mondo contadino
padano nelle istituzioni sindacali, politiche,
spirituali è stata così scossa.
Gli anziani sono dei rassegnati: i giovani
disertano, nonostante le case nuove, la radio,
la televisione: nonostante il trattore e
la motoretta...
Sino a pochi anni fa, non v'era pace nei
campi, perchè il mondo contadino camminava
verso la propria redenzione: oggi, non succede
niente, perchè quel mondo si va spegnendo
sotto piccole concessioni, che gli tolgono
di guardare avanti.
Il mondo salariale e bracciantile, non ha
orizzonti nè respiro, e la sua rassegnazione
è per divenire angoscia, e finirà, senza
crederci, a stabilirsi dall'altra parte,
per disperazione...
E avremo il diserto intorno alle nostre Chiese
rurali, e la minaccia di una rivolta, nutrita
di segreti rancori e di insensate umiliazioni
" .
(da " Adesso " del 15-12-1957)
Questo articolo è sicuramente molto veritiero
perché, se dovessimo analizzare molto attentamente
gli ultimi sessanta - settant'anni, possiamo
confermare quanto citato nella lettera precedente.
Questo fenomeno di emigrazione dalle campagne
verso la città si sta verificando tutt'ora,
le aziende agricole diventano sempre più
meccanizzate, il lavoro si riduce moltissimo
e c'è un flusso verso altre attività.
Questo può essere un fatto positivo perché
c'è interesse verso altri settori, ma, è
preoccupante pensare che molte persone non
hanno mai visto la campagna, la natura....
Possiamo, di conseguenza, tracciare una linea
fondamentale sulla vita di don Primo Mazzolari;
egli é riuscito a fare moltissime cose belle,
utili e ammirevoli per aiutare i più bisognosi,
occupandosene di persona; inoltre, grazie
alle sue conoscenze e alla sua intelligenza,
è riuscito ad aiutare i più bisognosi.
Mazzolari negli ultimi quindici anni della
sua vita, e precisamente dal 1942 al 1958,
ebbe un ottimo rapporto con Piero Malvestiti,
il quale nel 1946 fino al 1958 divenne deputato
della Democrazia Cristiana.
Mazzolari e il deputato Malvestiti furono
grandi amici e compagni solidali per il bene
del Paese; questo implica un eccellente rapporto
tra i due anche quando le idee erano molto
disparate.
Leggendo le numerose lettere che Mazzolari
e Malvestiti si scrissero si riesce ad intuire
un rapporto bellissimo ed inoltre in numerosi
testi vi sono concetti estremamente importanti.
Lo scrivere di Mazzolari e di Malvestiti,
aveva come obbiettivo il diffondere delle
idee vive, chiuse nella conoscenza e soprattutto
aliene alla consuetudine di piegarsi al potente.
Mazzolari, negli ultimi quindici anni della
sua vita, e precisamente dal 1942 al 1958,
ebbe un ottimo rapporto con Piero Malvestiti,
il quale nel 1946 fino al 1958 divenne deputato
della Democrazia Cristiana.
Nel carteggio tra i due si riesce ad intuire
un rapporto umano molto profondo e l’obbiettivo
di diffondere idee vive, fertili e soprattutto
estranee alla consuetudine di piegarsi al
potente.
fonte : http://www.monasterovirtuale.it/
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Dicono di lui
Nato a Boschetto (Cremona) il 12 novembre
1890, deceduto all’ospedale di Cremona il
12 aprile 1959, sacerdote e scrittore.
Di famiglia contadina, Primo Mazzolari fu
consacrato sacerdote nell’agosto del 1914.
Dopo una breve esperienza pastorale, come
coadiutore dei parroci di Spinadesco e Boschetto,
allo scoppio della Prima guerra mondiale,
fu mobilitato come soldato di Sanità. All’ospedale
militare di Cremona rimase poco perché, su
sua richiesta, fu mandato in prima linea
come cappellano. Tornò nel Cremonese soltanto
nel 1921, dopo aver seguito, in conseguenza
dell’armistizio, il Corpo di spedizione italiano
in Alta Slesia.
Tra la poverissima popolazione bracciantile
della riva sinistra del Po, don Primo si
prese cura d’anime (in gran parte socialiste),
a Bozzolo e poi a Cicognara. Ebbe così modo
di assistere alle scorribande squadristiche
delle bande fasciste di Roberto Farinacci
e divenne, ben presto, quello che è stato
definito "un prete scomodo": rifiutò
di esporre il tricolore in occasione della
marcia su Roma; respinse il pressante invito
a cantare il "Te Deum!" in chiesa,
quando Mussolini sfuggì all’attentato del
1925; non volle partecipare alla farsa elettorale
del 1929. La sua coerenza civile e religiosa
valse a don Mazzolari un grande prestigio
tra la popolazione, la simpatia dei democratici,
non poche incomprensioni tra i confratelli
e, soprattutto, l’odio dei fascisti. Questi
- oltre a sollecitare l’invio al confino,
per le sue prediche e per i suoi articoli
giornalistici, di colui che, sino alla morte,
sarebbe stato, dal 1929, il parroco di Bozzolo
- giunsero a prendere a rivoltellate la canonica.
Don Primo dovette vedersela anche con il
Santo Ufficio, che lo sospese dalla celebrazione
della Messa e dalla predicazione, quando,
dopo la pubblicazione di "La più bella
avventura", una riflessione sul Figliol
prodigo che è stata definita una "teologia
ecumenica", uscì nel 1935 il libro del
sacerdote, intitolato "Impegno con Cristo".
Don Primo Mazzolari teorizzava una "rivoluzione
cristiana" in una convivenza secondo
giustizia, nella quale doveva realizzarsi
l’egualitarismo economico. Con tali idee,
dopo l’8 settembre del 1943, il sacerdote
partecipò attivamente alla lotta di liberazione,
portandovi quei giovani che erano cresciuti
al suo fianco. Finì per essere arrestato
dalla polizia, ma venne rilasciato. Visse
in clandestinità fino al 25 aprile del 1945,
sottraendosi ai fascisti che avevano deciso
di eliminarlo, come avevano fatto ventidue
anni prima, nel Ferrarese, le squadre di
Italo Balbo con il suo amico don Giovanni
Minzoni. Dopo la Liberazione l’ANPI di Cremona
riconobbe al sacerdote, a pieno titolo, la
qualifica di partigiano. Nei mesi in cui
visse nascosto, don Primo, con altri testi
per alimentare la Resistenza, ebbe modo di
scrivere "La rivoluzione cristiana",
un libro nel quale erano tracciate le grandi
linee che avrebbero dovuto guidare l’impegno
cristiano nell’Italia democratica. Con la
riacquistata libertà, don Primo Mazzolari
cominciò a lavorare a fianco della Democrazia
cristiana divenendo, dopo il 18 aprile del
1948, la coscienza critica del partito cattolico.
Nel 1949 iniziarono le pubblicazioni di "Adesso",
un giornale progettato da don Mazzolari per
dare spazio alle "avanguardie cristiane".
Il foglio ebbe non pochi problemi, sia con
i governanti sia con le gerarchie ecclesiastiche;
lo si accusò anche di essere finanziato dai
comunisti. Ma quando don Primo riuscì, nonostante
gli ostacoli frapposti da alcuni personaggi
di Curia, ad incontrare il Papa, Giovanni
XXIII lo ricevette molto calorosamente, appellandolo
"tromba dello Spirito Santo".
fonte : ANPI
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Testimone di Primo Mazzolari
Di Anna Carfora
La figura di don Primo Mazzolari (1890-1959)
si articola tra pastorale e profezia – una
profezia obbediente: "obbedientissimo
in Cristo" aggiungerà in calce alle
sue lettere al Vescovo. Il suo è un tentativo
di leggere il Vangelo sine glossa e, nello
stesso tempo, una ricerca sui metodi e lo
spirito dell’apostolato attorno a cui ruotano
i grandi temi della sua riflessione: l’ecumenismo;
"i lontani" e il dialogo; i poveri
e la rivoluzione cristiana; la pace. E’ particolarmente
arduo separare l’itinerario biografico dal
suo messaggio; si può tentare di individuare
alcuni filoni:
Dalla guerra del 15-18 a Tu non uccidere:
il pacifismo
Giovanissimo prete, figlio di operai socialisti,
don Primo si schierò, all’epoca della Grande
Guerra, con gli interventisti, ma dall’esperienza
bellica tornerà profondamente cambiato, inizierà
un itinerario che lo porterà ad assumere
posizioni pacifiste che tuttora sono tra
le più avanzate in campo cattolico. Dirà
più tardi della sua esperienza di guerra
e dell’equivoco nel quale lui ed altri giovani
preti erano caduti: "Se invece di dirci
che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste
i nostri teologi ci avessero insegnato che
non si deve ammazzare per nessuna ragione,
che la strage è inutile sempre, e ci avessero
formati ad un’opposizione cristiana chiara,
precisa ed audace, invece di partire per
il fronte saremmo discesi sulle piazze. E
noi, in buona fede, abbiamo creduto che bisognava
finirla una buona volta coi prepotenti di
ogni risma, e siamo partiti come per una
crociata. Perché a noi non importava né Trento
né Trieste, né questa né quella revisione
di confini; a noi importava fare il punto,
chiudere una sedicente civiltà cristiana
e preparare una svolta umana della storia"
( La pieve sull’argine, 66).
Le idee pacifiste di don Mazzolari si trovano
espresse nella Risposta ad un aviatore, che
si conclude con queste parole: "Il martire
che aveva coscienza di morire per Cristo
ha inaugurato il regno dei figli di Dio e
dei veri uomini liberi; il soldato che muore,
senza sapere perché muore, porta al colmo
il regno dei servi". Nel 1955 uscì,
anonimo, Tu non uccidere, quasi un trattato
del pacifismo radicale cristiano: un pacifismo
che non concede alcuno spazio ad alcuna forma
di violenza: "Cadono, quindi, le distinzioni
tra guerre giuste e ingiuste, difensive e
preventive, reazionarie e rivoluzionarie.
Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio
e all’uomo […] Per questo noi testimonieremo,
finchè avremo voce, per la pace cristiana.
E quando non avremo più voce, testimonierà
il nostro silenzio o la nostra morte, poiché
noi cristiani crediamo in una rivoluzione
che preferisce il morire al far morire".
La parrocchia
Don Primo è stato parroco per tutta la vita
e parroco di paese: prima a Bozzolo, poi
a Cicognara, infine nuovamente a Bozzolo,
ma egli è stato, soprattutto e come amava
definirsi, parroco dei poveri e "parroco
dei lontani". Mazzolari rinnovò la vita
parrocchiale nel campo della liturgia e dell’omiletica.
Nel 1934 fu pubblicato La più bella avventura,
una riflessione sul Prodigo che è stata definita
"una teologia ecumenica". Un libro
che inaugura lo stile del dialogo e dell’abbraccio,
stile del Padre, e comincia a delineare quella
rivoluzione dialogica per amore che caratterizza
impegno e pensiero di Mazzzolari.
L’antifascismo
Don Mazzolari ebbe scontri con il fascismo,
già prima della marcia su Roma e fino alla
condanna a morte decretata dai repubblichini
di Salò. Nel 1924 aveva scritto: "Mi
chiedo se proprio nessuno deve alzare la
voce di condanna, se il sacerdote, che è
il protettore nato degli oppressi, può stare
pago di soffrire interiormente e di pregare
[…]. Il dubbio, per conto mio, l’ho risolto:
io sento il dovere di dichiararmi apertamente
a favore degli oppressi". Mazzolari
si rifiutò di cantare il Te Deum per lo scampato
attentato a Mussolini e di andare a votare
per il listone unico dei fascisti. Venendo
ringraziato dai fascisti con tre colpi di
rivoltella contro le sue finestre. Diventò
punto di riferimento per l’opposizione clandestina
al fascismo.
La Resistenza e la rivoluzione cristiana
Durante la clandestinità che durò per don
Primo fino al 25 aprile del 45 scrisse, fra
altri testi, La rivoluzione cristiana, un
testo in cui progettava le grandi linee dell’impegno
cristiano del dopoguerra. All’indomani della
Liberazione accettò di lavorare al fianco
della Dc. "Tu vai – dice all’interlocutore
disposto ad abbracciare la causa del comunismo
– io non vengo, non posso venire. Ancora
una volta c’è Qualcuno – non qualche cosa
– che mi ferma… Tu vai senza una tua tenda,
chiedendo un posto sotto la tenda comunista…
Invece io pianto, e non da oggi, la tenda
cristiana vicino a quella comunista, non
per una meschina concorrenza, ma per offrire
un porto, quando la delusione succederà fatalmente
all’ebbrezza del successo". Dopo il
18 aprile del 1948, quando la DC vinse le
elezioni, Mazzolari divenne la coscienza
critica del partito cattolico al potere.
"Adesso"
Nel 1949 uscì "Adesso", il giornale
progettato da don Mazzolari per dare spazio
alle "avanguardie cristiane": voci
critiche, profetiche, con le mani libere.
"Adesso – è il titolo del giornale –
chi non ha una spada venda il mantello e
ne comperi una", come recita Lc 22,
36. "Il nostro scopo non è di entrare
nel gioco di questi o di quelli, ma di aiutare
questi e quelli a liberarsi da ogni equivoco
e a trovar soluzioni nel proprio ambito,
più conformi a giustizia e a libertà, e nel
contempo a giudicare equamente gli stessi
avversari verso i quali ci riserviamo la
stessa libertà di critica per lo stesso scopo
e con lo stesso animo. – Ma voi siete cattolici,
quindi… - Sì, siamo cattolici per grazia
di Dio; ma cattolico non vuol dire che uno
rinunci a pensare con la propria testa là
dove l’uso della testa è un dovere dell’uomo,
rispettato e consigliato dalla religione
[…]. Chi ha paura che la religione possa
essere minacciata dal disaccordo dei credenti
negli affari temporali, deve avere della
Fede e della Chiesa un’idea ben meschina".
Il giornale andò incontro a molte traversie,
lo si accusò anche di essere finanziato dai
comunisti.
Il rapporto con la gerarchia e l’incontro
con Giovanni XXIII
Don Mazzolari venne spesso contrastato e
costretto al silenzio e i suoi scritti incorsero
in restrizioni del Santo Uffizio, ma fu molto
amato dal card. Roncalli e anche dal card.
Montini. Sebbene gli fosse stato comunicato
da personaggi di curia che la sua presenza
in Vaticano non era gradita, fu ricevuto
molto calorosamente da Papa Giovanni che
lo chiamo "tromba dello Spirito Santo".
Nell’udienza concessa da Paolo VI alla sorella
di don Primo, dieci anni dopo la sua morte,
il Papa disse: "Hanno detto che non
abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero.
Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi
sapete come andavano le cose. Lui aveva il
passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli
dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto
noi. Questo è il destino dei profeti".
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Il testamento di don Primo
Oggi, 4 agosto 1954, undicesimo anniversario
della morte dl mio padre, nel nome del Signore
e sotto lo sguardo della Madonna, che non
può non aver pietà di questo suo povero sacerdote
che si prepara al distacco supremo, faccio
testamento.
Non possiedo niente. La roba non mi ha fatto
gola e tanto meno occupato.
Non ho risparmi, se non quel poco che potrà
si e no bastare alle spese del funerali che
desidero semplicissimi, secondo il mio gusto
e l'abitudine della mia casa e della mia
Chiesa.
Le poche suppellettili, che sono poi quelle
dei miei vecchi, appartengono alla mia sorella
Giuseppina, che le ha conservate usabili
e ospitali con la sua instancabile operosità
e intelligente economia.
Alle mie sorelle Colombina e Pierina, che
avrebbero fatto altrettanto, se non avessero
avuto diversa chiamata; ai miei nipoti Michele,
Enrico, Gino, Mariuccia, Giuseppina, Graziella
l'impegno di custodire e continuare, più
che la memoria del fratello e dello zio sacerdote,
la tradizione cristiana delle nostre case,
cui mi sono sempre affidato e che nelle molte
difficoltà fu per me una grazia naturale.
Non ho niente e sono contento di non aver
niente da darvi. Lo scrivo anche per vostra
compiacenza per quella certezza che abbiamo
in comune, che dove il vincolo dell'affetto
è soltanto spirituale, sfida il tempo e si
ritrova con diritto di misericordia al cospetto
di Dio.
Intorno al mio Altare come intorno alla mia
casa e al mio lavoro non ci fu mai "suon
di denaro": il poco che è passato nelle
mie mani - avrebbe potuto essere molto se
ci avessi fatto caso - è andato dove doveva
andare. Se potessi avere un rammarico su
questo punto, riguarderebbe i miei poveri
e le opere della parrocchia che avrei potuto
aiutare largamente: ma siccome ovunque ci
sono poveri e tutti i poveri sono del Signore,
sono certo che Egli avrà cura anche della
mia sorella Giuseppina, che, dopo una vita
spesa in un modo mirabile per me e per la
Chiesa, è come un uccello su di un ramo.
Se non avessi una fiducia illimitata nella
sua bella generosità; se non conoscessi le
meravigliose risorse della sua intelligente
operosità; se non sapessi l'affetto che le
portano le mie sorelle e miei nipoti, non
riuscirei a perdonarmi tanta imprevidenza.
Chiudo la mia giornata come credo di averla
vissuta in piena comunione di fede e di obbedienza
alla chiesa e in sincera e affettuosa devozione
verso il Papa e il Vescovo.
So di averla amata e servita con fedeltà
e disinteresse completo.
Richiamato e ammonito per atteggiamenti o
opinioni non concernenti la dottrina, ottemperai
con pronto ossequio. Se il mio franco parlare
in problemi di libera discussione può aver
dato scandalo; se la mia maniera di obbedire
non è parsa abbastanza disciplinata, ne chiedo
umilmente perdono, come chiedo perdono ai
miei superiori di averli involontariamente
contristati e li ringrazio d'aver riconosciuto
in ogni circostanza la rettitudine delle
intenzioni.
Nei tempi difficili in cui ebbi la ventura
di vivere, un'appassionata ricerca sui metodi
dell'apostolato è sempre una testimonianza
d'amore, anche quando le esperienze non entrano
nell'ordine prudenziale e pare non convengano
agli interessi immediati della Chiesa. Sono
malcontento di avere fatto involontariamente
soffrire, non lo sono d'aver sofferto.
Sulle prime ne provai una punta d'amarezza:
poi, nell'obbedienza trovai la pace, e ora
mi pare di potere ancora una volta, prima
di morire, baciare le mani che mi hanno duramente
e salutarmente colpito.
Adesso vedo che ogni vicenda lieta o triste
della mia travagliatissima esistenza, sta
per trovare nella divina Misericordia la
sua giustificazione anche temporale.
Dopo la Messa, il dono più grande: la Parrocchia.
Un lavoro forse non congeniale alla mia indole
e alle mie naturali attitudini e che divenne
invece la vera ragione del mio ministero,
la buona agonia e la ricompensa "magna
nimis" di esso.
Non finirò mai dl ringraziare il Signore
e miei figliuoli di Cicognara e di Bozzolo,
i quali certamente non sono tenuti ad avere
sentimenti eguali verso il loro vecchio parroco.
Nel rivedere il mio stare con essi, benché
mi conforti la certezza di averli sempre
e tutti amati come e più della mia famiglia,
sul punto di lasciarli mi vengono davanti
i miei innumerevoli torti. Benché non abbia
mai guardato con desiderio al di là della
mia parrocchia, né stimato più onorevole
altro ufficio, non tutta e non sempre è stata
limpida e completa la mia donazione verso
i miei parrocchiani.
Lo stesso amore mi ha reso a volte violento
e straripante. Qualcuno può aver pensato
che la predilezione dei poveri e dei lontani
mi abbia angustiato nei riguardi degli altri:
che certe decise prese di posizione in campi
non strettamente pastorali mi abbiano chiusa
la porta presso coloro che per qualsiasi
motivo non sopportano interventi del genere.
Nessuno però dei miei figlioli ha chiuso
il cuore al suo parroco, che si è visto fatto
segno di contraddittorie accuse, sol perché
ci teneva a distinguere la salvezza dell'uomo
e le sue istanze anche quelle umane, da ideologie
che di volta in volta gli vengono imprestate
da quei movimenti che spesso lo mobilitano
controvoglia.
Ho inteso rimanere in ogni circostanza sacerdote
e padre di tutti i miei parrocchiani: se
non ci riuscii, non fu per mancanza di cuore,
ma per le naturali difficoltà di farlo capire
in tempi iracondi e faziosi.
Se non mi sono unicamente dedicato al lavoro
parrocchiale, se ho lavorato anche fuori,
il Signore sa che non sono uscito per cercare
rinomanza, ma per esaurire una vocazione,
che, pur trovando nella parrocchia la sua
più buona fatica, non avrebbe potuto chiudersi
in essa.
Del resto, le pene d'ogni genere che mi sono
guadagnato scrivendo e parlando, valgano
presso i miei figliuoli a farmi perdonare
una trascuratezza che mai non esistette nell'intenzione
e nell'animo del loro parroco.
Il tornare a Bozzolo fu sempre per me tornare
a casa e il rimanervi una gioia così affettuosa
e ilare che l'andarmene per sempre l'avverto
già come il pedaggio più costoso.
Eppure, viene l'ora e, se non ho la forza
di desiderarla, è tanta la stanchezza che
il pensiero d'andare a riposare nella misericordia
di Dio, mi fa quasi dimentico della sua giustizia,
che verrà placata dalla preghiera di coloro
che mi vogliono bene.
Di là sono atteso: c'è il Grande Padre Celeste
e il mio piccolo padre contadino. La Madonna
e la mia mamma. Gesü morto per me sul Calvario
e Peppino morto per me sul Sabotino. I santi,
i miei parenti, i miei soldati, i miei parrocchiani.
I miei amici tanti e carissimi. Verso questa
grande Casa dell'Eterno, che non conosce
assenti, m'avvio confortato dal perdono di
tutti, che torno a invocare ai piedi di quell'Altare
che ho salito tante e tante volte con povertà
sconfinata, sperando che nell'ultima Messa
il Sacerdote Eterno, dopo avermi fatto posto
sulla sua Croce, mi serri fra le sue braccia
dicendo anche a me: "entra anche tu
nella Pace del tuo Signore".
fonte : http://www.fondazionemazzolari.it/
* materiale raccolto ed ordinato da Gian
Carlo Storti
* cremona, gennaio 2006
 
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