15 Settembre, 2002
Vincitori e vinti
Forza Italia vuole procedere a un controllo politico dei libri di storia adottati nelle scuole. L'aspirazione alla censura rivela, come è noto, una coda di paglia e una debolezza infinita. Rileggendo un articolo di Bobbio, da "La Stampa" del 19-11-2000
Vincitori e vinti
Forza Italia vuole procedere a un controllo politico dei libri di storia adottati nelle scuole. L'aspirazione alla censura rivela, come è noto, una coda di paglia e una debolezza infinita.
Rileggiamoci un interessante articolo di Norberto Bobbio, pubblicato dal quotidiano LA STAMPA di Torino due anni fa, domenica 19 novembre 2000.
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Che Alleanza nazionale, le cui radici fasciste non sono mai state sconfessate, abbia alzato la voce con la incivile proposta di Francesco Storace, sostenuta dal Consiglio della Regione Lazio, di rivedere i testi scolastici contaminati da interpretazioni marxiste (vedi comuniste), è davvero un bel regalo che nella sua spregiudicatezza, o spensieratezza, ci ha fatto l'on. Silvio Berlusconi, indifferente a tutto quello che è accaduto nel nostro paese prima della sua discesa in campo.
L'anticomunismo del Cavaliere è tanto ossessivamente ripetitivo da indurre a credere, come io stesso ho potuto constatare parlando con giovani ignorantelli, che la prima repubblica italiana sia stata governata dal partito comunista.
No, no, non è stato esattamente così. E' stato esattamente il contrario.
Durante la prima repubblica italiana, in cui l'egemonia politica è appartenuta ininterrottamente alla Democrazia cristiana, esisteva, o giovani male informati, una regola fondamentale e sempre rigorosamente osservata, che si chiamava conventio ad excludendum.
Si trattava di un patto tacito tra i partiti, che hanno dato vita per anni insieme con la Democrazia cristiana ai molti governi che si sono succeduti, più di uno all'anno in media, di un patto, ripeto, secondo cui il Partito comunista non era legittimato a far parte delle coalizioni di governo.
Un patto rispettatissimo cui il Partito comunista, che pure era uno dei maggiori partiti italiani, si è sempre sottomesso, salvo qualche tentativo fallito negli ultimi anni, con l'obbedienza che si deve in ogni Stato democratico ai voleri della maggioranza. Che anche il partito fascista fosse escluso non era tanto una tacita convenzione quanto piuttosto una convinzione, altrettanto tacita, se pure non condivisa da tutti i partiti con la stessa fermezza.
Ci si sarebbe aspettati che nella seconda repubblica questa convenzione restrittiva fosse applicata anche ad Alleanza nazionale, per le stesse identiche ragioni per cui era stata inflitta nella prima repubblica al Partito comunista.
E invece, no. Il cavalier Berlusconi, accogliendo Alleanza nazionale come alleato nella propria coalizione, anzi come il primo degli alleati, tanto che Gianfranco Fini ha già dichiarato che se vinceranno le elezioni lui diventerà il vice-presidente del governo, non solo l'ha legittimata come partito democratico, ma l'ha addirittura designata come indispensabile partner nel prossimo governo.
Ma ecco che, non appena tornata ad onor del mondo, Alleanza nazionale, per bocca di uno dei suoi più autorevoli rappresentanti, Francesco Storace, che propone una sorta di indice dei libri (scolastici) proibiti, lascia trapelare il proprio pensiero domi-nante, e che ha contrassegnato tutta la storia del ventennio fascista: la libertà è una malattia, che porta alla rovina le nazioni, e va curata con rimedi energici ed efficaci, il primo dei quali, come è noto, è l'abolizione della libertà di stampa.
La proposta ha già suscitato tanti commenti, ora irati ora ironici, nella stampa libera della nostra repubblica che non sarebbe il caso di insistere se non fosse che è stata accolta, nientemeno, dal Consiglio della Regione Lazio.
Brutto segno di una regressione che rischia di contagiare non solo i singoli individui, ma anche le istituzioni.
So bene che in un paese come il nostro in cui la storia di questo secolo è stata contrassegnata da un contrasto mortale tra fascismo e comunismo, scagli la prima pietra chi è senza peccato di compromissione o di indulgenza verso l'uno o verso l'altro.
Ma quanti sono coloro che hanno giustificato il proprio filo-fascismo come la sola possibile difesa contro il pericolo comunista? E, viceversa, non sono altrettanto numerosi coloro che hanno giustificato il proprio filo-comunismo come il più forte baluardo all'avanzata del fascismo?
Si ribatte all'accusa di esser stati fascisti sostenendo che il fascismo ha impedito all'Italia di cadere nelle mani del comunismo. Ci si difende dall'accusa di avere appoggiato il comunismo, sostenendo che solo il partito comunista, durante la guerra civile che sconvolse il nostro paese, era in grado di sconfiggere definitivamente il fascismo. Sono cose ben note di cui chi abbia vissuto personalmente, come me, quelle vicende, ha un vivo ricordo. Ma conviene ogni tanto tornarci su, perché senza la memoria del passato non si capisce e si stravolge la storia del presente.
La recente discussione sul libro di Vivarelli, che a distanza di anni confessa di aver aderito giovinetto all'esercito della Repubblica di Salò, è un chiaro esemplo di questa incomprensione.
Ci si salva l'anima sostenendo che i combattenti dell'una e dell'altra parte, essendosi buttati nella mischia in buona fede, meritano di essere trattati equamente con pari dignità.
Però altro è il giudizio sui singoli individui che deve essere un giudizio ispirato alla comprensione delle motivazioni da cui gli uni e gli altri sono stati mossi; altro è il giudizio storico, che mi pare lo stesso Vivarelli e la maggior parte di coloro che si sono occupati del caso, hanno dimenticato di dare.
Eppure il giudizio storico è così netto, così indiscutibile, direi così ovvio, che non lascia spazio a quei dubbi spesso tormentosi degli storici che prendono sul serio il difficile compito di accertare la verità.
Il giudizio, che spazza via ogni incertezza, può essere formulato con una domanda semplicissima: "E se invece dei resistenti avessero vinta quelli che, anche in buona fede, combatterono a fianco dei Tedeschi? Quale ne sarebbe stata la conseguenza se non il dominio di Hitler nel cuore dell'Europa?".
C'è o non c'è differenza? Il giudizio storico non sempre è così netto, ma in questo caso è nettissimo. Che la storia non si faccia con i se, è un luogo comune che vale per gli storici, non per chi deve scegliere da che parte stare.
Norberto Bobbio
da La Stampa del 19 novembre 2000
 
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