15 Settembre, 2002
Roberto Ardigò, insigne rappresentante del positivismo italiano
Ebbe i natali a Casteldidone un grande del pensiero- 1828-1920
Roberto Ardigò
Ebbe i natali a Casteldidone un grande del pensiero: Roberto Ardigò «il più insigne rappresentante del positivismo italiano» (Diego Fusaro). La sua fu una vita quasi secolare, iniziata nel 1828 e terminata nel 1920 dandosi la morte. Ma del suicidio di un (benché “ex”) ecclesiastico non parlano volentieri nemmeno tutte le biografie.
Per Roberto Ardigò la famiglia scelse il seminario (Mantova) e il sacerdozio: fu ordinato nel 1851; nel 1863 è canonico nella cattedrale di Mantova e nel 1866 ha la cattedra di filosofia nel liceo della città. Smetterà però l’abito talare (1871) e andrà ad insegnare storia della filosofia all’Università di Padova (1881-1909). Nel suo paese natale non tornerà più né per vivere né per morire; muore infatti a Mantova questo figlio “problematico” di quel lembo di terra a cavallo tra il Cremonese e il Mantovano.
Eventi storici di straordinaria portata determinano il suo percorso e le sue scelte. Vive a Mantova i locali fatti del Risorgimento iscritti nel libro della grande storia con il sangue dei «Martiri di Belfiore»: tra i 110 torturati e processati per la “congiura” mazziniana anti-austriaca chi impazzì, chi si suicidò, chi finì in carcere; tra i morti impiccati sugli spalti di Belfiore anche dei sacerdoti. Don Enrico Tazzoli, prima di essere ucciso, fu anche sconsacrato, da un vescovo un po’ recalcitrante ma obbediente infine all’ordine del Papa. Se nel 1852-53 ci fosse stata la televisione, il nostro Ardigò – come altri milioni ai quali doveva servire – avrebbe potuto essere anche spettatore dell’esemplare punizione: al “congiurato” don Tazzoli, dopo la lettura della formula di condanna, hanno tolto di dosso i paramenti sacri, poi gli hanno raschiato con un coltello la pelle delle dita che sorreggono l’ostia durante la comunione. E forse una bella diretta – a scopo “educativo” – avrebbe meritato anche l’impiccagione.
Roberto Ardigò la lezione l’aveva senz’altro interpretata a modo suo, dal punto di vista di coloro che non tradirono il proprio “credo” civile. Scrisse un discorso in memoria di Pietro Pomponazzi, pensatore rinascimentale originario di Mantova che negava l’immortalità dell’anima. Il discorso fu stampato poi messo all’indice. Siamo nel 1869. Nel 1870 nasce “Psicologia come scienza positiva”. Nel 1871 Ardigò abbandona il sacerdozio.
Tra le opere si devono ricordare: La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), La morale dei positivisti (1879), L’inconoscibile di Spencer e il positivismo (1883), Il vero (1891), La ragione (1894).
«Il determinismo ardigoiano interessa anche i comportamenti umani, escludendo ogni possibilità di libertà del volere. Pertanto, la morale non può essere concepita come un insieme di norme che possono essere liberamente scelte o rifiutate dal soggetto agente. Al contrario, i valori etici sono il frutto del condizionamento della società, che coarta gli individui per reprimere la loro pericolosità sociale e per indirizzarli verso comportamenti collaborativi. Queste norme sociali, tuttavia, sono state con il tempo completamente interiorizzate dagli uomini e si sono quindi tradotte in principi ideali o, come Ardigò si esprime, in idealità umane . Appartengono ad esse, ad esempio, i valori della famiglia e della giustizia, la fede in un “diritto naturale” (che non è che l'introiezione dei fondamenti del diritto positivo) o gli stessi princìpi evangelici. […]
L’opera di Ardigò che ha suscitato forse più attenzione e più consensi, anche in tempi recenti, è stata La morale dei positivisti (1879) nella quale il positivismo ardigoiano esibisce il suo risvolto antropologico e il suo progetto di fondare sociologicamente l’etica. Contro ogni riduzione materialistica, l’etica di Ardigò tende in particolare a valorizzare il ruolo centrale e positivo degli ideali: essi, pur non essendo empiricamente reali, guidano e regolano l’agire umano. Provata l’esistenza della libertà come autonomia dell’uomo fondata sulla “idealità” volontà come libero arbitrio, attraverso il quale l’essere umano “disegna tipi di cose e di operazioni, che non si trovano nella natura”, Ardigò afferma l’esistenza di valori che chiama “idealità”, e ne sottolinea la convergenza in un fondamentale ideale sociale: “l’atto umano per eccellenza è l’atto determinato dalla idealità sociale; e tutti gli atti liberi dell’uomo […] rivestono lo stesso carattere di umani in virtù della loro dipendenza da quella idealità […]. E siccome dire atto umano è come dire atto morale, così nella idealità sociale in discorso è tutta la ragione della moralità” (La morale dei positivisti, V, 3, I).» (Diego Fusaro su www.filosofico.net)
Ardigò partendo dalla filosofia “pura” arriva a sostenere la necessità di una psicologia e pedagogia non più astratte, di una pedagogia che è scienza dell’educazione che accompagna l’individuo ad essere persona civile, un buon cittadino.
· materiale raccolto ed organizzato da Gian Carlo Storti
· cremona aprile 2006 
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