15 Settembre, 2002
Cateldidone, il Castrum Didonis
Certo, il paesaggio padano oggi si presenta striato di asfalto corteggiato da edifici, attraversato da corsi d’acqua che si stringono in beneducati rigagnoli e canali....
Casteldidone, il Castrum Didonis
Certo, il paesaggio padano oggi si presenta
striato di asfalto corteggiato da edifici,
attraversato da corsi d’acqua che si stringono
in beneducati rigagnoli e canali, decapitato
dai fili elettrici tesi sopra i campi, è
tutto così “agrario” e così poco “agreste”,
non manca tuttavia di fascino. Non è difficile,
insomma, immaginarlo punteggiato da ville
rocche e borghi seminascosti in una lussureggiante
vegetazione. Non sembrano “fuori luogo” i
nomi di certi luoghi, evocativi, “da fiaba”:
Pieve d’Olmi, Stagno Lombardo, Rivarolo del
Re, Casteldidone… Ed erano re, contesse,
cavalieri e vescovi, non di favole ma di
“storia vera” a percorrere e dominare le
terre man mano sottratte alle acque.
Anche Casteldidone può raccontare a sua storia
“reale” (oltre a quella “leggendaria” che
vorrebbe il paese fondato in onore della
regina di Cartagirone, Didone). Don Palmiro
Ghidetti scrive nella sua monografia storica:
«… si presume che il Castrum Didonis esistesse
almeno dal tempo del longobardo, Re Liutprando
(712-744)… Quindi Casteldidone sarebbe sorto
come “oppidum, ossia baluardo fortificato”
abitato solo da militari, mentre la popolazione
civile era ristretta in un borgo poco distante.
Ciò che al tempo del Feudalesimo era il Castello.»
In effetti, da punto di vista geografico-topografico
quella del castello è una posizione strategica,
su un altipiano – rispetto, certo, alla zona
caratterizzata da bassure e depressioni –
su una linea ideale tra l’Oglio e il Po.
Si sa per certo che nel 1010 la contessa
Richilda, madre di Matilde di Canossa (figura
così determinante nella storia della non
lontana Spineda) qui compra terre, passate
poi pochi anni dopo al vescovo di Cremona
Ubaldo. Arriva poi la casata dei Didoni,
cacciata però nel 1288 da Cremona, “lasciando”
il feudo agli Schizzi. A loro sarà a lungo
infeudato – fino al 1857 – pur nell’avvicendarsi
storico di dominanti-regnanti di ogni provenienza.
Tribolata è la sorte dei borghi di confine,
in questo caso tra Milano e Venezia.
Casteldidone, roccaforte per e contro il
Fondulo
«Nel 1403 Cremona elegge a suo Signore Ugolino
Cavalcabò. Questi ebbero a comprare terreni
a Casteldidone nel 1348, e tutto Rivarolo
Fuori con i suoi vassalli e giurisdizioni
nel 1336 dal marchese di Soragna Guglielmo
Lupo. Nel 1406, Cabrino Fondulo, al servizio
dei Cavalcabò e loro amico, fa trucidare
il suo Signore facendosi eleggere a sua volta
Signore di Cremona. Il crescere del dominio
del Fondulo nella signoria di Cremona non
è gradito ai Visconti di Milano i quali per
contrastarlo inviano un forte esercito che
con manovra aggirante passa il Po ed assedia
Piacenza, poi si porta nella provincia inferiore
cremonese ripassando il Po a Torricella.
In poco meno di un mese (luglio 1415) cadono
Castelponzone, Casteldidone e S. Giovanni
in Croce. Ma il Fondulo torna sui suoi passi
e riconquista i castelli perduti trovando
una forte resistenza proprio in Casteldidone
che dopo tre giorni di assedio riesce a riconquistarlo.
Probabilmente proprio nel 1416 viene smantellato
il vecchio Castello nel quale viene ricostruita
sola la parte residenziale dei Signori, come
ancora si vede dai resti quattrocenteschi
della facciata est della Casa Cavalca, mentre
sui ruderi verrà costruita la nuova chiesa
nel 1433-37.»
Castello Schizzi o Palazzo Mina della Scala
Molti castelli di centri minori si sono trasformati
in case “casamentizie”, ovvero in cascine;
il quadrilatero chiuso da edifici, le due
opposte entrate creano la comunanza formale.
Il Vecchio Castello, o Castello Schizzi –
ora Palazzo o Villa Mina della Scala una
vera cascina non è mai diventata.
La demolizione avvenuta nel ‘400 non ha cancellato
tutte le tracce dell’antica costruzione –
un borgo fortificato cinto da fossato – le
quali si evidenziano in elementi cronologicamente
stratificati (e variamente ubicati) rievocanti
murature sin dal secolo XI, colonne e soffitti
del Tre- e del Quattrocento. Analizzando
le sedimentazioni si torna indietro fino
all’epoca romana.
Le forme attuali del Castello (o Palazzo
che dirsi voglia) si devono al committente
Ludovico Schizzi, anno 1596 e al suo architetto
rimasto anonimo. Costruzione singolare: è
una abitazione gentilizia ma con decisa connotazione
fortilizia rimarcata dalle due torri «fiancheggiatrici
con le due gemelle al retro». Questa bellezza
rinascimentale non viene però risparmiata
a successive distruzioni (viene bruciata
dai Gallo-Estensi nel 1648) seguite da ricostruzioni,
ampliamenti e restauri (1735). All’intervento
settecentesco dobbiamo le magnifiche decorazioni.
«Belle le rappresentazioni delle virtù care
alla Casa Schizzi: prudenza-giustizia-temperenza-fortezza.
Importante la sala di rappresentanza (ora
del bigliardo) per gli stemmi gentilizi accoppiati
che rappresentano probabilmente le parentele
contratte: Odescalchi - Visconti - Bertani
- Bernardino della Massa.»
La chiesa dei Santi Abdon e Sennen
Fu il vescovo Geremia Bonomelli, nel 1891,
a consacrare la chiesa di Casteldidone a
questi santi, patroni certamente non tra
i più diffusi.
Il martirio di Abdon e Sennen risale al secolo
III, ai tempi della persecuzione voluta dall’imperatore
Decio. Furono gettati in preda a belve feroci
– così narrano i testi di martirologia –
ma loro le ammansirono; furono dunque decapitati,
lasciando per tre giorni i loro corpi davanti
alla statua del Sole.
La scelta dei santi patroni da parte delle
comunità e delle autorità ecclesiali segue
certamente delle regole che qui non è luogo
dissertare. Ci fermiamo ad una annotazione
che attiene solo all’immaginario e nel quale
i due martiri – si diceva fossero dei principi
– persiani, con i loro ricchi mantelli arabescati
e il diadema che evoca i Re Magi (così li
vuole l’iconografia), appaiono come i patroni
più “consoni” ad un paese con nome da fiaba.
La chiesa sorge sui sedimenti delle rovine
del vecchio castello demolito e ne conserva
alcuni frammenti, ovvero conserva verosimilmente
i frammenti di una cappella o di un oratorio
preesistenti. La prima (ri)costruzione risale
al 1433 e, si sa, era circondata dal cimitero.
La chiesa attuale, esattamente sull’area
comprendente quella vecchia, viene terminata
nel 1837. Nello stile segue la tendenza del
periodo; è una neoclassica croce latina con
cupola, sul solenne e insieme nobile progetto
innovativo di Luigi Voghera il quale poi
diresse anche i lavori di costruzione.
Roberto Ardigò
Ebbe i natali a Casteldidone un grande del
pensiero: Roberto Ardigò «il più insigne
rappresentante del positivismo italiano»
(Diego Fusaro). La sua fu una vita quasi
secolare, iniziata nel 1828 e terminata nel
1920 dandosi la morte. Ma del suicidio di
un (benché “ex”) ecclesiastico non parlano
volentieri nemmeno tutte le biografie.
Per Roberto Ardigò la famiglia scelse il
seminario (Mantova) e il sacerdozio: fu ordinato
nel 1851; nel 1863 è canonico nella cattedrale
di Mantova e nel 1866 ha la cattedra di filosofia
nel liceo della città. Smetterà però l’abito
talare (1871) e andrà ad insegnare storia
della filosofia all’Università di Padova
(1881-1909). Nel suo paese natale non tornerà
più né per vivere né per morire; muore infatti
a Mantova questo figlio “problematico” di
quel lembo di terra a cavallo tra il Cremonese
e il Mantovano.
Eventi storici di straordinaria portata determinano
il suo percorso e le sue scelte. Vive a Mantova
i locali fatti del Risorgimento iscritti
nel libro della grande storia con il sangue
dei «Martiri di Belfiore»: tra i 110 torturati
e processati per la “congiura” mazziniana
anti-austriaca chi impazzì, chi si suicidò,
chi finì in carcere; tra i morti impiccati
sugli spalti di Belfiore anche dei sacerdoti.
Don Enrico Tazzoli, prima di essere ucciso,
fu anche sconsacrato, da un vescovo un po’
recalcitrante ma obbediente infine all’ordine
del Papa. Se nel 1852-53 ci fosse stata la
televisione, il nostro Ardigò – come altri
milioni ai quali doveva servire – avrebbe
potuto essere anche spettatore dell’esemplare
punizione: al “congiurato” don Tazzoli, dopo
la lettura della formula di condanna, hanno
tolto di dosso i paramenti sacri, poi gli
hanno raschiato con un coltello la pelle
delle dita che sorreggono l’ostia durante
la comunione. E forse una bella diretta –
a scopo “educativo” – avrebbe meritato anche
l’impiccagione.
Roberto Ardigò la lezione l’aveva senz’altro
interpretata a modo suo, dal punto di vista
di coloro che non tradirono il proprio “credo”
civile. Scrisse un discorso in memoria di
Pietro Pomponazzi, pensatore rinascimentale
originario di Mantova che negava l’immortalità
dell’anima. Il discorso fu stampato poi messo
all’indice. Siamo nel 1869. Nel 1870 nasce
“Psicologia come scienza positiva”. Nel 1871
Ardigò abbandona il sacerdozio.
Tra le opere si devono ricordare: La formazione
naturale nel fatto del sistema solare (1877),
La morale dei positivisti (1879), L’inconoscibile
di Spencer e il positivismo (1883), Il vero
(1891), La ragione (1894).
«Il determinismo ardigoiano interessa anche
i comportamenti umani, escludendo ogni possibilità
di libertà del volere. Pertanto, la morale
non può essere concepita come un insieme
di norme che possono essere liberamente scelte
o rifiutate dal soggetto agente. Al contrario,
i valori etici sono il frutto del condizionamento
della società, che coarta gli individui per
reprimere la loro pericolosità sociale e
per indirizzarli verso comportamenti collaborativi.
Queste norme sociali, tuttavia, sono state
con il tempo completamente interiorizzate
dagli uomini e si sono quindi tradotte in
principi ideali o, come Ardigò si esprime,
in idealità umane . Appartengono ad esse,
ad esempio, i valori della famiglia e della
giustizia, la fede in un “diritto naturale”
(che non è che l'introiezione dei fondamenti
del diritto positivo) o gli stessi princìpi
evangelici. […]
L’opera di Ardigò che ha suscitato forse
più attenzione e più consensi, anche in tempi
recenti, è stata La morale dei positivisti
(1879) nella quale il positivismo ardigoiano
esibisce il suo risvolto antropologico e
il suo progetto di fondare sociologicamente
l’etica. Contro ogni riduzione materialistica,
l’etica di Ardigò tende in particolare a
valorizzare il ruolo centrale e positivo
degli ideali: essi, pur non essendo empiricamente
reali, guidano e regolano l’agire umano.
Provata l’esistenza della libertà come autonomia
dell’uomo fondata sulla “idealità” volontà
come libero arbitrio, attraverso il quale
l’essere umano “disegna tipi di cose e di
operazioni, che non si trovano nella natura”,
Ardigò afferma l’esistenza di valori che
chiama “idealità”, e ne sottolinea la convergenza
in un fondamentale ideale sociale: “l’atto
umano per eccellenza è l’atto determinato
dalla idealità sociale; e tutti gli atti
liberi dell’uomo […] rivestono lo stesso
carattere di umani in virtù della loro dipendenza
da quella idealità […]. E siccome dire atto
umano è come dire atto morale, così nella
idealità sociale in discorso è tutta la ragione
della moralità” (La morale dei positivisti,
V, 3, I).» (Diego Fusaro su www.filosofico.net)
Ardigò partendo dalla filosofia “pura” arriva
a sostenere la necessità di una psicologia
e pedagogia non più astratte, di una pedagogia
che è scienza dell’educazione che accompagna
l’individuo ad essere persona civile, un
buon cittadino.
Territorio
Casteldidone (C.A.P. 26030) dista 32 chilometri
da Cremona, capoluogo della omonima provincia
cui il comune appartiene.
Casteldidone conta 569 abitanti (Casteldidonesi)
e ha una superficie di 10,6 chilometri quadrati
per una densità abitativa di 53,68 abitanti
per chilometro quadrato. Sorge a 27 metri
sopra il livello del mare.
Cenni anagrafici: Il comune di Casteldidone
ha fatto registrare nel censimento del 1991
una popolazione pari a 627 abitanti. Nel
censimento del 2001 ha fatto registrare una
popolazione pari a 569 abitanti, mostrando
quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione
percentuale di abitanti pari al -9,25%.
Gli abitanti sono distribuiti in 242 nuclei
familiari con una media per nucleo familiare
di 2,35 componenti.
Cenni geografici: Il territorio del comune
risulta compreso tra i 24 e i 29 metri sul
livello del mare.
L'escursione altimetrica complessiva risulta
essere pari a 5 metri.
Cenni occupazionali: Risultano insistere
sul territorio del comune 15 attività industriali
con 56 addetti pari al 45,16% della forza
lavoro occupata, 11 attività di servizio
con 22 addetti pari al 8,87% della forza
lavoro occupata, altre 14 attività di servizio
con 28 addetti pari al 17,74% della forza
lavoro occupata e 4 attività amministrative
con 5 addetti pari al 11,29% della forza
lavoro occupata.
Risultano occupati complessivamente 124 individui,
pari al 21,79% del numero complessivo di
abitanti del comune.
Amministrazione.
Il municipio è sito in Via XXV Aprile 9,
tel. 0375-91102 fax. 0375-310222:l'indirizzo
di posta elettronica è comune.casteldidone@tiscalinet.it.
Gli Amministratori del Comune di CASTELDIDONE
Sindaco (eletto nel 2004): GUALAZZI MARIO
La Giunta: BINI GIULIANA
DASSO SANDRO
MURELLI LUIGI
ROSEGHINI ANGELA
Il Consiglio:
BONELLI PAOLINO
BOZZETTI PAOLO
COZZANI MARCO
FIORATTINI MAURILIO
PERSICO LICER ANGELO
SORAGNI MAURIZIO
VACCARI PIERROMEO
ZANAZZI FRANCA
§ materiale raccolto ed organizzato da Gian
Carlo Storti
§ · cremona aprile 2006
 
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