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15 Settembre, 2002
Dalle macerie delle bombe non nasce un mondo più sicuro
Mons. Valentinetti in occasione della 35° marcia per la Pace

Dalle macerie delle bombe non nasce un mondo più sicuro

«I potenti della Terra prestino ascolto: non è necessario un attacco ad un Paese, l’Iraq, già di per sé tanto martoriato e che non ha certo bisogno di un nuovo conflitto. La guerra si può evitare; la guerra non porta giustizia; sulle macerie delle bombe non si potrà mai realizzare un ordine mondiale più giusto e rispettoso dei diritti umani».

A sostenerlo è monsignor Tommaso Valentinetti, vescovo di Termini-Larino - la diocesi di San Giuliano nel Molise - e nuovo presidente di Pax Christi, il movimento cattolico promotore, da oltre trent’anni, della marcia per la pace di fine anno, in collaborazione con la Cei, la Caritas italiana e la Diocesi di Cremona che quest’anno ospita la marcia. «Lo scopo di questa iniziativa - sottolinea monsignor Valentinetti - è di tenere viva nella mente, di credenti e non credenti, l’idea di una pace sempre possibile e sempre attuabile».

Monsignor Valentinetti, la tradizionale marcia della pace organizzata il fine anno da Pax Christi, «incontra» quest’anno la probabile guerra all’Iraq. Qual è il messaggio che intendete lanciare?

«È un forte richiamo affinché si percorrano tutte le vie possibili per ricercare la pace in tutti i luoghi del mondo. Oggi l’attenzione è focalizzata sull’Iraq e sulla tragedia della Terra santa, ma non dobbiamo accettare quel silenzio assordante calato sulle tante guerre dimenticate nel mondo».

Le preoccupazioni investono soprattutto l’Iraq e il Medio Oriente. In che modo ritiene possibile mantenere viva una speranza di pace??

«Ancorando la crisi e la ricerca di una via d’uscita ad un tavolo diplomatico che deve restare aperto. Quel “tavolo” è rappresentato dall’Onu e dal Consiglio di sicurezza. Occorre avere il coraggio e l’ostinazione a rimanere ancorati a quel tavolo negoziale, esigendo, certamente, che siano rispettate tutte le risoluzioni Onu, e non solo quelle riguardanti l’Iraq, ma prestando anche il dovuto ascolto alle voci di quelle nazioni che sostengono che non sia necessario un attacco ad un Paese, l’Iraq, già profondamente segnato dall’embargo totale in atto da oltre un decennio, e che non ha bisogno di un nuovo, devastante conflitto. La guerra rischierebbe solo di aggravare questa condizione di indicibile sofferenza, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione irachena, e non aprirebbe la strada ad un Medio Oriente più stabile e pacificato».

C’è chi sostiene che, dopo l’11 settembre, si sia innescata una guerra di civiltà tra l’Occidente e il mondo islamico.

«È un rischio che non esiste e, soprattutto, dobbiamo lavorare affinché questo conflitto di civiltà non si realizzi mai. Sarebbe una jattura per l’intero genere umano. E se c’è qualcuno che vuole portarlo avanti, non dobbiamo essere noi a sostenerlo».

Resta la minaccia terroristica che certo non è un’invenzione della Casa Bianca.

«Il problema è come affrontare questa minaccia. Non credo che esista una scorciatoia militare. A questo proposito, il Papa ha usato parole molto chiare e lungimiranti: il terrorismo tende a strumentalizzare le sofferenze dei diseredati e cerca di attecchire e fare proseliti soprattutto nei luoghi dove maggiori sono le ingiustizie sociali e dove vengono meno il rispetto dei diritti umani e negata una ridistribuzione equa delle ricchezze e delle risorse. Ed è per questo che il terrorismo deve essere combattuto, per essere davvero debellato, su un altro piano da quello militare».

E su quale piano dovrebbe essere combattuto??

«Sul piano dell’affermazione dei diritti umani, determinando una maggiore e più equa distribuzione delle risorse, dando ad ogni essere umano la possibilità, oggi negata a due terzi del pianeta, di vivere una esistenza dignitosa. È restituendo la dignità ad ogni essere umano che si pone un argine a quanti vorrebbero strumentalizzare la disperazione e la rabbia degli esclusi per seminare la morte e il terrore».

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intervista concessa a unita.it il 31-12-2002

 


       Commentowww.unita.it



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