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15 Settembre, 2002
Intervento di Andrea Beconi, dell'Associazione Nazionale Magistrati
Svolto a Genova sabato 18 gennaio 2003 in occasione dell'inagurazione dell'Anno Giudiziario.

Intervento di Andrea Beconi, dell'Associazione Nazionale Magistrati,
svolto a Genova sabato 18 gennaio 2003 in occasione dell'inagurazione dell'Anno Giudiziario.

Dopo l´azione di protesta posta in essere lo scorso anno mediante l´abbandono delle toghe sulle sedie, quest´anno l´Associazione nazionale Magistrati ha deciso di invitare i propri aderenti a presenziare alle cerimonie di inaugurazione dell´anno giudiziario con in mano una copia della COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA. Non come gesto di sfida nei confronti di chicchessia, come qualcuno ha subito malamente inteso strumentalizzando un gesto, addirittura banale, per motivare nientemeno che la richiesta di soppressione della cerimonia, trasformatasi, invece, nel corso degli anni, da rito meramente celebrativo fine a se stesso, a momento di denuncia e di confronto sui gravi problemi che affliggono la giustizia. Ma, anzi, come momento propositivo nei confronti del mondo politico e dell´opinione pubblica; come modo simbolico di comunicare a tutti i cittadini italiani che questo testo rappresenta il nostro faro, il nostro più alto punto di riferimento nell´esercizio della funzione giurisdizionale, la legge suprema a cui abbiamo giurato la nostra fedeltà e, ancora, per ricordare a tutti i cittadini di questa nostra repubblica gli alti valori che sono stati affermati dai costituenti in tema di giustizia.

Per questo riteniamo utile, anzitutto, ricordare i principi più rilevanti che leggiamo nella Costituzione della Repubblica Italiana:
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. [...]
Art. 101.
La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Art. 104.
La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. [...]
Art. 105.
Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.
Art. 110.
Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
Art. 111.
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.La legge ne assicura la ragionevole durata. [...]
Art. 112.
Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.

Noi auspichiamo che le forze politiche operino le riforme necessarie per rendere pienamente effettivi questi principi, non per modificarli o attenuarne l´efficacia.

La Costituzione vuole che amministriamo giustizia in nome del popolo italiano, soggetti alla legge e soltanto alla legge, indipendenti da ogni altro potere. Il ministro della giustizia ha fatto affiggere nelle aule giudiziarie la nuova scritta: "la giustizia è amministrata in nome del popolo"; e le motivazioni dell´iniziativa sono state espresse direttamente dal capo dell´esecutivo in una dichiarazione che abbiamo letto oggi sui quotidiani: "La giustizia deve essere amministrata in nome del popolo e non in nome di una parte politica contro l´altra". E allora dobbiamo ribadire che a quella frase deve essere aggiunta l´altra "I giudici sono soggetti soltanto alla legge". La Costituzione è l´unico nostro padrone. Non ne abbiamo altri; e vorremmo continuare a non averne per gli anni a venire.

L´indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri, ancorati alla comune cultura della giurisdizione, è garanzia non per i magistrati, ma per i cittadini: è la condizione affinché sia effettivo il principio della eguaglianza di tutti davanti alla legge.

L´Anm ritiene, altresì, che l´osmosi tra le diverse funzioni di giudice e Pm, con la possibilità di passaggio dei magistrati dall´una all´altra, nell´ambito di un´unica carriera, mantenendo il Pm nella cultura della giurisdizione, assicuri la finalizzazione esclusiva dell´attività degli uffici del pubblico ministero alla ricerca della verità. Né può ritenersi che la separazione delle carriere sia una meccanica conseguenza della adozione di una procedura tendenzialmente accusatoria, essendo ormai ben noto, a livello di studi di procedura comparata, che i modelli puri accusatorio/inquisitorio, se mai sono esistiti, sono oggi soppiantati dalla tendenza verso modelli misti. Non è un caso che il Consiglio d´Europa nella Raccomandazione Rec (2000) 19 sul ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale adottata dal Comitato dei Ministri il 6 ottobre 2000 , affermi al punto 18 che "se il regime giuridico lo consente, gli Stati debbono prendere misure concrete per permettere alla stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e di giudice e viceversa".

L´ imparzialità del giudice trova la sua garanzia primaria nella normativa processuale e non nella separazione delle carriere. Evitiamo contrapposizioni tutte ideologiche e "guerre di religione"; si tratta di orientare la disciplina secondo i valori essenziali: e allora occorre garantire una migliore specializzazione ed un più elevato livello di professionalità specifica nei magistrati chiamati ad adempiere all´uno o all´altro ruolo e prevedere un opportuno momento di valutazione nel passaggio dall´esercizio di una funzione all´altra.

Occorre inoltre adottare le misure necessarie per assicurare che tale passaggio non avvenga con modalità ed in un contesto tale da poter anche solo ingenerare il dubbio che possa derivarne un´influenza negativa sull´esercizio della nuova funzione. Ma a tale fine ( a parte la considerazione che l´incompatibilità non ha ragion d´essere nelle ipotesi in cui dalle funzioni requirenti si acceda alle funzioni giudicanti civili), ci sembra necessario e sufficiente un meccanismo costruito attorno alla incompatibilità a livello di circondario.

Per questo abbiamo difeso e difenderemo con intransigenza i principi costituzionali sulla indipendenza e della autonomia non solo dei giudici, ma anche dei pubblici ministeri.

Purtroppo dobbiamo constatare come la proposta governativa di riforma dell´ordinamento giudiziario metta in serio pericolo questi principi, riproponendo il modello di una magistratura organizzata gerarchicamente, con più o meno dirette interferenze del potere esecutivo nella valutazione dei giudici, nella loro progressione in carriera, nella loro formazione, nella nomina dei capi degli uffici, nell´accesso alla Corte di Cassazione.

Vogliamo, inoltre, una magistratura professionalmente attrezzata, sorretta da una deontologia rigorosa, scrupolosa nell´adempimento dei doveri di ufficio, custode dei diritti di tutti.

Da qui l´importanza di una scuola della magistratura cui sia attribuito stabilmente il compito della formazione iniziale e dell´aggiornamento professionale dei magistrati, gestita direttamente o indirettamente dal C.S.M. Da qui anche la proposta dell´A.N.M. di introdurre un nuovo sistema di valutazione dei magistrati sulla base della abolizione delle vecchie qualifiche e della previsione di più ravvicinati ed incisivi momenti di valutazione.

Accettiamo ogni critica come stimolo a meglio operare, ma vogliamo che cessi ogni attacco delegittimante. Chiediamo che tutte le istituzioni si adoperino affinché la magistratura goda del rispetto e della fiducia dei cittadini, per poter meglio esercitare la propria funzione.

Ed invece dobbiamo, purtroppo, assistere, quotidianamente, ad attacchi gratuiti, anche da parte di chi riveste ruoli istituzionali, nei confronti di singoli magistrati, non solo requirenti ma anche giudicanti, che hanno il solo torto, svolgendo con rigore il loro lavoro, di emettere provvedimenti sgraditi a questa o a quella parte politica.

Il Ministro della Giustizia, nel corso dell´incontro con il C.S.M. svoltosi il 18.12 scorso, ha evidenziato la priorità, rispetto anche ai problemi dell´efficienza del sistema, del tema della natura conflittuale dei rapporti tra politica e magistratura, perché esso creerebbe gravi ostacoli al processo riformistico.

Ammesso e non concesso che sia così, non è certamente il modo migliore per cercare di risolvere il problema e portare maggiore serenità tra le parti la proposta unificata avanzata da esponenti della maggioranza di istituire una commissione d´inchiesta su Tangentopoli, che dovrebbe occuparsi non del diffuso sistema di corruttele emerso grazie alle indagini della magistratura, bensì dell´esistenza o meno di un´azione giudiziaria finalizzata al perseguimento di obiettivi politici; così delegittimando i magistrati per il solo fatto di avanzare l´ignobile sospetto che siano stati mossi da intenti di per se stessi contrari all´essenza stessa della loro funzione,

Per i magistrati ordinari deve essere ripristinato un trattamento retributivo proporzionato a quello delle altre magistrature ed adeguato alle difficili responsabilità loro affidate, soprattutto per i colleghi più giovani, spesso destinati ad operare in situazioni ambientali difficili e lontani dalla famiglia. Ma l´attuale governo, dopo avere pubblicamente annunciato la soluzione dei problemi economici della magistratura, si è rimangiato tutte le promesse fatte

Ma il problema centrale del prossimo futuro è quello di razionalizzare e rendere effettive per tutti le garanzie dirette ad assicurare il giusto processo ed il pieno esercizio del diritto di difesa eliminando i formalismi inutili e sovrabbondanti. Occorre attuare il principio della ragionevole durata del processo."Il problema centrale della nostra giustizia è e rimane quello della durata eccessiva dei processi", come ha ammonito il presidente Ciampi nel suo discorso al Quirinale il 18 dicembre scorso

Ma, anche su questo tema, dobbiamo rilevare che le riforme attuate (basti pensare alle leggi sulle rogatorie, sul falso in bilancio, sulla remissione per legittimo sospetto) e quelle in progetto vanno nella direzione opposta, cioè nel senso di un processo ingiusto, sia nel civile ( v. progetto Vaccarella), con una procedura ridotta a mera contesa di parti e con il giudice privato di reali poteri d´intervento, sia nel penale (v. disegno di legge Pittelli-Anedda), con un rito non più improntato all´obiettivo della ricerca della verità, bensì finalizzato esclusivamente a consentire, agli imputati dotati di adeguati mezzi finanziari, di difendersi dal processo anziché dall´accusa loro mossa.

Infine, la Costituzione attribuisce al Ministro della Giustizia la responsabilità per l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Qui la situazione è sotto gli occhi di tutti: mancano le risorse anche per la ordinaria gestione, sono stati rinviati i concorsi per il reclutamento di nuovi magistrati, è stata elevata a 75 anni, record europeo, l´età del pensionamento, bloccato ogni rinnovo dei dirigenti degli uffici, mentre sempre più drammatiche sono le carenze del personale amministrativo. Il progetto per la valutazione dell´efficienza del sistema giustizia è stato di fatto abbandonato.

Peraltro, su questo tema, dobbiamo riconoscere che il Ministro non ha nemmeno fatto lo sforzo di camuffare le reali intenzioni del suo dicastero: nel corso di quell´audizione al C.S.M. di cui si è detto, infatti, ha espressamente dichiarato (cito testualmente) "che è inutile iniettare risorse in un sistema che non è in grado di recepirle perché inefficiente". Una dichiarazione del tutto coerente con il contenuto della circolare inviata ai Capi delle Corti d´Appello il 5.3.2002, con la quale costoro venivano invitati ad "effettuare un più rigoroso controllo sulle spese effettuate dagli uffici dipendenti, invitandoli a limitarsi a quelle strettamente necessarie per il funzionamento minimale degli stessi".

Peraltro non si capisce come il Ministro intenda rendere efficiente il sistema, considerato che anche lui ha riconosciuto, nella stessa sede succitata, che non saprebbe neppure dove "collocare l´ufficio del giudice" visto che, "allo stato attuale, non vi sono neanche le scrivanie per i giudici "; e che "è impressionante il deficit di strutture in cui si dibatte la macchina giudiziaria".

Di fronte ad un quadro così preoccupante, assicuriamo tuttavia un rinnovato impegno di tutti i magistrati, in cooperazione con gli operatori del diritto, magistrati onorari, avvocati e personale amministrativo. Siamo coscienti che alcuni di noi potrebbero fare di più, ma il lavoro della stragrande maggioranza, che si impegna con il massimo di dedizione e sacrificio, rischia di essere reso vano dallo stato di disorganizzazione in cui siamo costretti ad operare.

Noi ci riconosciamo pienamente nelle parole pronunciate dal Procuratore Generale della Cassazione Francesco Favara, che ha dichiarato, in occasione dell´inaugurazione dell´A.G. presso la Corte di Cassazione:
- che è difficile immaginare come possa avere una ragionevole durata un processo penale in cui ogni atto può generare un microprocesso, che richiede avvisi, notifiche, discussioni, deliberazioni e conseguenti ripetute impugnazioni;
- che non è accettabile un processo garantito per chi può permetterselo e meno garantito per chi non può permetterselo;
- che le reazioni a provvedimenti o dichiarazioni di singoli magistrati, talora strumentali, ha creato, granzie anche all´amplificazione mediatica, l´immagine sbagliata di un magistrato non imparziale;
- che il Paese deve riflettere sull´importanza del ruolo di presidio della legalità per tutti i cittadini che alla magistratura è stato assegnato dalla Costituzione quale ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere;
- che è auspicabile siano evitate riforme che sconvolgano l´attuale assetto dell´ordine giudiziario e che pongano a rischio, se non ora in un futuro più o meno prossimo, la sua autonomia e indipendenza, che non costituiscono un privilegio dei magistrati, ma una garanzia per il rispetto della legalità e ci sentiamo spronati a meglio operare nell´interesse esclusivo dei cittadini dall´affermazione secondo cui i magistrati non possono "oggi ragionare solo in termini di poteri e di funzioni bensì di servizio da rendere alla collettività".

Andrea Beconi

18 gennaio 2003

 


       



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