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15 Settembre, 2002
No alla Riforma di Berlusconi sulla ricerca
Una riforma completamente inadeguata, taglio dell'autonomia e introduzione del controllo politico. E intanto si apre il dibattito sulla "Fuga dei cervelli" e si annuncia una manifestazione a Roma

No alla Riforma di Berlusconi sulla " Ricerca"
una riforma completamente inadeguata taglio dell'autonomia e introduzione del controllo politici.

Cari tutti,
una riforma completamente inadeguata (taglio dell'autonomia e introduzione del controllo politico) e ministerializzante il maggior ente di ricerca italiano, assieme con il commissariamento del CNR (un atto che mette in una gravissima situazione di stallo la comunita' scientifica al suo interno) meritano una significativa risposta da parte di tutta la comunita' scientifica.

Come si era deciso nelle assemblee tenute in moltissimi luoghi in tutta Italia venerdi' scorso, e' bene andare ad una grande manifestazione di piazza. Dati i tempi minimi per realizzare un evento significativo e le disponibilita' di alcuni autorevolissimi scienziati che intendono partecipare, si e' stabilito che la data per la manifestazione sara' il prossimo MERCOLEDI' 12 FEBBRAIO a ROMA davanti il Parlamento (a Piazza Montecitorio - la mattina, ora da stabilire). Saranno presenti assieme a migliaia di ricercatori e scienziati italiani anche: Rita Levi Montalcini, Carlo Bernardini, Marcello Buiatti, Franco Pacini, Giorgio Parisi e molti altri prestigiosi nomi che stiamo contattando in queste ore.

Ci sara' la simbolica "riconsegna" degli strumenti di lavoro. Chiederemo che venga immediatamente ritirato il decreto legislativo passato in "prima lettura" nel consiglio dei ministri del 31 gennaio scorso.

Chiederemo al Prof. De Maio (e agli eventuali sub-commissari) di non prestarsi a questo incredibile disegno di destrutturazione del CNR e della ricerca italiana. Chiederemo al Parlamento di recuperare quel ruolo centrale che non puo' non avere di fronte a questioni di cosi' alto rilievo e in situazione cosi' evidentemente conflittuale. Chiederemo che alla comunita' scientifica venga restituito il ruolo che le compete nelle questioni riguardanti l'organizzazione della ricerca.

Vi pregherei di circolare il piu' possibile l'informazione sulla manifestazione del 12. L'iniziativa sara' condivisa con il coordinamento dei CdI del CNR, gruppo Tasc INFM di Trieste, altri comitati.

A presto,
Rino Falcone (osservatorio sulla ricerca)
P.S.: continua la raccolta delle adesioni per mettersi in anno sabatico (o -nel caso di ricercatori CNR- per andare un anno all'estero per ragioni di studio) sul sito:
adesione@tasc.infm.it

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Sul tema registriamo questo -bottaerisposta- tra Giovanni Peri e GianCarlo Perasso

da www.lavoce.info

Fuga dei cervelli (e ritorno)
I cervelli italiani fuggono all'estero. Sempre di più,
di Giovanni Peri
La fuga dei laureati italiani all’estero è un fenomeno di cui spesso si discute senza l’appoggio di dati significativi. Analizzando i flussi di laureati italiani che vanno all’estero il fenomeno appare drammatico e in crescita. Mentre all’inizio degli anni ’90 meno dell’1% dei nuovi laureati emigrava all’estero, alla fine degli anni ’90 circa il 4% dei nuovi laureati lascia l’italia.
Trend degli anni ‘90
Questi dati emergono da una analisi AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), il solo database attendibile sugli Italiani all’estero. Usando questi dati siamo in grado di evidenziare tre fenomeni:
1. Come detto in apertura, la percentuale di laureati che lascia il paese e’ quadruplicata tra il 1990 e il 1999.
2. Tale tendenza all’aumento è comune a laureati che provengono dal nord e a laureati che provengono dal sud dell’Italia. In termini assoluti, tuttavia, è il nord ad avere la maggiore emorragia di laureati. Nel 1999 il 7% dei laureati del nord ha lasciato il paese contro solo il 2% dei laureati del sud.
3. Negli anni ’90 sono aumentati non soltanto i giovani laureati (età tra i 26 e i 45 anni) che lasciano il paese . Anche la percentuale di persone con eta’ superiore a 45 anni e con laurea e’ piu’ che quadruplicata tra il 1991 e il 1999.Tali dati sono analizzati in maggior dettagli e con maggiore approfondimanto nel recente lavoro "How Large is the Brain Drain from Italy?" (Becker, Ichino and Peri 2002).
Il quadro che ne emerge e’ allarmante. Le destinazioni di questi laureati sono per lo piu’ Francia, Germania e Regno Unito all’interno dell’Europa, e gli USA. In particolare tale crescita non pare essere un flusso bilanciato da laureati di altri paesi che si trasferiscono in Italia.
Confronti Internazionali
Paragonando la percentuale di laureati italiani che lavorano all’estero con la percentuale di laureati stranieri che lavorano in Italia l’anomalia del caso italiano e’ ancora piu’ evidente. Usando dati della Inchiesta sulla Forza Lavoro nella Unione Europea (Eurostat Force Labor Survey) possiamo paragonare l’Italia alle altre grandi economie Europee.
Rispetto all'Italia gli altri grandi paesi dell’Unione Europea (Germania, Francia, Regno Unito) con l'eccezione della Spagna hanno ben piu’ laureati stranieri nel loro paese che laureati emigrati all’estero. In Spagna i due valori sono simili: 0.8% laureati emigrati contro 0.5% laureati stranieri nel paese.
In Italia la percentuale di laureati emigrati e’ sette volte maggiore di quella di laureati stranieri presenti nel nostro paese.
Conseguenze
Il fenomeno appare molto grave se pensiamo che vari studi mostrano che nei paesi avanzati l’aumento del "capitale umano" e’ responsabile di una importante fetta della crescita economica.
Jones 2002 mostra che per gli USA un terzo della crescita nel reddito pro-capite dal 1950 ad oggi e’ dovuto alla maggiore istruzione. L’Italia, a partire dalla meta’ degli anni ’90 ha perso un ingente capitale umano.. Poiche’ dal 1996 la percentuale di laureati tra gli emigranti e’ maggiore di quella nella popolazione residente, il "capitale umano" pro-capite (non solo quello totale) si e’ ridotto a causa del flusso migratorio.
I laureati sono la parte della forza lavoro che promuove ricerca, innovazione, talvolta anche imprenditoria. La crescente perdita di cervelli puo’ avere quindi conseguenze gravi per la crescita del paese.

Per saperne di più:
Becker S., A. Ichino. E G. Peri (2002) "How large is the Brain Drain from Italy?" mimeo University of California
Jones C. (2002) " Sources of U.S. Economic Growth in a World of Ideas" American Economic Review 92, March pp. 220-239


Fuga dei cervelli (e ritorno)

Alcune provocatorie considerazioni sulla "fuga dei cervelli"
di Giancarlo Perasso

"fuga dei cervelli" compare regolarmente nel dibattito politico, accademico e sui media italiani. All'inizio dell'anno, il Presidente Ciampi ha lanciato appelli affinche' scienziati italiani restino nel nostro paese ed ogni ricercatore che rientra viene trattato come se fosse un " eroe" (si veda "Il Venerdi’" di Repubblica del 17 gennaio).
La fuga dei cervelli migliora il benessere globale
Mi sembra chiaro che se un ricercatore puo' esprimere il suo potenziale appieno in un centro di ricerca, diciamo, in Germania, il suo contributo nel suo specifico campo di interesse sara' maggiore in Germania che altrove. Di conseguenza, lavorando in Germania sara’ in grado di aumentare il benessere globale. Si tratta di una questione di vantaggi comparati e di efficiente allocazione delle risorse. Difficile quindi capire gli appelli a trattenere i cervelli in Italia.
La reazione tipica alla "fuga" in Germania del nostro ricercatore e’ spesso quella di domandarsi se non sia il caso di creare un centro come quello tedesco in Italia.
Ma il patrimonio di conoscenza, la capacita' di attrarre i cervelli migliori da tutto il mondo in un determinato campo, l'integrazione con i settori economici privati (per non parlare dell'interazione con le forze armate) di centri di ricerca di eccellenza che esistono all'estero sono difficilmente replicabili in tempi brevi e a costi non esorbitanti.
Seguire la strada della "replicazione" mi ricorda di come, all'epoca della caduta del comunismo in Unione Sovietica, venne scoperto in un centro di ricerca una replica molto incompleta del primo desktop creato dalla Apple.
Malgrado le risorse impiegate, nessuno era riuscito a rifare cio' che era stato costruito negli Stati Uniti circa quindici anni prima.
Siamo sicuri che vogliamo percorrere una strada simile?
Potere di attrazione e mercato
La soluzione non sta quindi nel trattenere i cervelli che vogliono emigrare cercando di creare condizioni a loro favorevoli ma porre le condizioni per attrarre i cervelli, italiani ed esteri. Per fare questo, si deve considerare il movimento (non, la fuga) dei cervelli in un’accezione piu’ estesa, rendendosi conto che ci sono "cervelli" in infiniti campi, e rivalutare il ruolo del mercato.
Sul primo punto, mi ha sempre colpito come gli appelli e l'interesse mediatico sulla fuga dei cervelli riguadino, nella maggior parte dei casi, il settore medico e chimico/fisico.
Mai ho visto appelli o articoli perche' un certo critico dell'arte o uno storico ha deciso di emigrare.
Anzi, siamo, giustamente, contenti che il maestro Muti, tanto per fare un nome, vada a dirigere la filarmonica di Berlino.
Perche'? Ci sono forse cervelli "di serie A" e cervelli "di serie B"? E qui arriviamo alla questione dei vantaggi comparati e quindi del ruolo del mercato.
Credo che l'indicatore migliore per identificare i vantaggi comparati in questo campo particolare sia il potere di attrazione che hanno i centri di ricerca, innovazione ed invenzione.
Pensiamo allora a quanti studenti stranieri vengono in Italia per studiare design, moda o storia dell'arte. Perche' questo avviene? A mio parere, avviene per una combinazione di interessi e vitalita' del settore privato (nel caso della moda) e di "posizione di partenza", o vantaggi assoluti (nel caso della storia dell'arte).
Al di la’ dello sfruttamento dei vantaggi assoluti (problema che coinvolge settore pubblico e privato), la creazione di nuovi centri di ricerca "di eccellenza" risiede soprattutto nell'impegno del settore privato a creare questi centri (e a goderne i benefici) e nello spirito di impresa dei ricercatori stessi.
Esempi di successo non mancano, si veda, ad esempio, quanto e’ successo a Pisa (http://www.corriere.it/speciali/fugacervelli/gasperetti.html) nel campo della new economy.
Questo approccio non significa che non possano esistere centri di attrazione e ritenzione di cervelli nel campo della medicina o di altre discipline "di serie A" e che partnership pubbliche e private non debbano essere incoraggiate.
Ma non cerchiamo di replicare cio' che in altri paesi e' stato costruito grazie a decenni di lavoro: dovremmo essere contenti se i ricercatori italiani possono migliorare il benessere globale lavorando all'estero.

Per saperne di più:
http://www.corriere.it/speciali/fugacervelli.shtml
http://www.cervelliinfuga.it/


Fuga dei cervelli (e ritorno)

Risposta a Giancarlo Perasso:
"Alcune provocatorie considerazioni sulla fuga dei cervelli", di Giovanni Peri

Piu’ che una risposta al pezzo di Perasso, vorrei precisare alcuni aspetti seguendo la struttura del suo articolo:
1) "La fuga di cervelli migliora il benessere globale"
Se il "capitale umano" italiano va all’estero dove ha una maggiore produttivita’ e cosi’ aumenta il suo contributo alla produttivita’ mondiale di beni o di idee, cio’ puo’ essere positivo per il mondo nel suo complesso. E’ vero, tuttavia, che la maggior parte dei benefici dell’aumentata produttivita’ vanno al paese ospitante (per esempio USA) mentre le perdite sono sopportate tutte dall’Italia che perde tale produttivita’. Il fatto che il beneficio agli USA sia maggiore che la perdita all’Italia e’ magra consolazione per le autorita’ italiane. Trovo quindi giusto e opportuno che le autorita’ italiane considerino questo un problema per l’Italia, ma alla fine e’ vero che i cervelli vanno dove sono pagati meglio e, a meno che non si cambi questo, non credo che altre politiche funzionino.
2) "La strada della replicazione"
Generare centri di R&D (ricerca e sviluppo) che premino i talenti in Italia e attraggano risorse per innovare nella scienza e nella tecnica non e’ replicare cose fatte all’estero. Il caso della Russia citato non tiene conto che in Russia gli incentivi errati erano dettati dai burocrati. Dove il mercato funzionava (come in Giappone, Hong Kong, Singapore, Corea) un enorme sviluppo e’ stato ottenuto, dal dopoguerra ad oggi, proprio "copiando" o comunque, almeno per un periodo, imitando e imparando tecnologie avanzate. Ora quesi paesi generano innovazione dopo aver saputo incentivare e attrarre talenti.
3) Vantaggi comparati e cervelli di serie "A" e "B"
Il vero problema dell’Italia e’ che non c’e’ nessuno scambio di cervelli ma una fuga. Citando i dati del nostro lavoro (Becker, Ichino e Peri 2002), riassunto su questo website, mentre il 2.3 per cento dei laureati Italiani e’ all’estero, solo lo 0.3 per cento dei laureati in Italia viene da fuori (i dati per questa statistica vengono da misure di Eurostat). Per Francia, Germania Inghilterra e persino Spagna la percentuale di laureati all’estero e quella di laureati esteri nel paese sono grossomodo uguali.
Se quindi, aneddoticamente, sappiamo che qualche musicista o storico dell’arte straniero viene in Italia, i dati su questo sono incontrovertibili: pochi vengono e molti vanno. Infine vorrei precisare che cosa intendono gli economisti quando parlano di cervelli. Semplicemente essi misurano il capitale umano come anni di istruzione.
Una persona con un Ph.D. ha piu’capitale umano di un laureato, che ha piu’ capitale umano di un diplomato. Decenni di analisi di economisti del lavoro confermano che (in media, chiaramente) anni di istruzione in piu’ generano salari e produttivita’ maggiore, decenni di lavori empirici su crescita economica mostrano che paesi con maggiore istruzione pro-capite hanno reddito pro-capite maggiore.
Se quindi i laureati italiani vanno in centri di ricerca stranieri mentre diplomati stranieri vengono in italia e producono moda e design, questo diminuisce il capitale umano del paese per come lo misuriamo noi economisti, con perdita di prodotto pro-capite.

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appello da sottoscrivere e diffondere!!!

Cari tutti,
vi allego il testo dell'appello presente sul sito di Le Scienze (www.lescienze.it) e che si potra' sottoscrivere.
Vi pregherei di darne la massima diffusione e di farlo sottoscrivere il piu' possibile.

Rino Falcone (Osservatorio sulla ricerca)

=======

Appello al Presidente della Repubblica per la manifestazione del 12 febbraio (ore 11.00, Piazza Montecitorio, Roma)

Illustre Presidente,
gli scienziati e i ricercatori italiani non possono tacere.

Gli scienziati e i ricercatori italiani non possono assistere senza reagire alla destrutturazione del sistema della ricerca nel nostro Paese.
I decreti di riforma passati in "prima lettura" nel Consiglio dei Ministri dello scorso 31 gennaio sono una minaccia non solo perchè mettono una seria ipoteca sulla capacità produttiva della ricerca pubblica, ma più in generale perchè animati da un atteggiamento ideologico nei confronti del sapere e della conoscenza che è contro il sapere e la conoscenza.

Ridurre drasticamente l'autonomia scientifica del lavoro di ricerca, introdurre una strutturazione rigida e fortemente gerarchica, privilegiare la direzione politica rispetto al merito scientifico, significa di fatto non avere chiari quali sono realmente i principi che governano in tutto il mondo evoluto un'efficace ed efficiente attività di ricerca.

L'idea che un modello aziendalistico (antiquato oltretutto perchè ignora il valore della rete e delle autonomie) possa essere trasferito all'organizzazione della ricerca scientifica, tradisce grave estraneità e incompetenza da parte degli estensori di questi decreti (che sembra ormai accertato siano stati formulati con la consulenza di una società esperta nella ristrutturazione di aziende in crisi).

Non è quindi un caso che la comunita' scientifica non sia stata coinvolta in questo processo di riordino: non si sono interpellati gli organismi interni agli enti che si vogliono riformare, non si è avviato un chiaro e trasparente dibattito. Non si sono neppure attese le risultanze del Parlamento, che pure aveva deciso di avviare un'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia.

Un'altra gravissima preoccupazione che questi decreti sollecitano è il fatto che essi sono pervasi dall'idea che sia possibile avere ricadute applicative immediate e dirette programmandole dall'alto.

Emerge infatti con chiarezza la spinta verso la ricerca applicata a scapito di quella di base o fondamentale che viene o abbandonata o fortemente limitata ad alcune aree ritenute più promettenti.

E' questa un'altra idea in assoluta controtendenza con l'esperienza di chi fa ricerca e con le impostazioni che vengono anche dagli altri Paesi: non esiste ricerca applicata seria e davvero innovativa senza una ricerca di base vasta e profonda; le più interessanti scoperte o invenzioni non sono programmabili e spesso producono straordinari effetti ed eccezionali ricadute sulla società solo molto tempo dopo (basti pensare alla "rivoluzione elettronica" o alla scoperta del DNA di cui quest'anno si celebrano i 50 anni).

Gli scienziati e i ricercatori di questo Paese hanno nel proprio bagaglio culturale e nelle tradizioni l'idea del cambiamento e dell'adeguamento alle evoluzioni sociali, naturali e culturali. Non sono avversi alle riforme, anzi le invocano, sperando che queste li sostengano più efficacemente nel lavoro che svolgono con passione. Sono però fortemente contrari ad uno stravolgimento dei principi alla base del lavoro di ricerca che produrrebbe non un sistema differente ma semplicemente una messa in stallo di uno dei settori strategici del Paese.

La cultura, la ricerca, i saperi non li si governa attraverso il comando politico.

Per queste ragioni gli scienziati e i ricercatori italiani non possono tacere; per queste ragioni gli scienziati e i ricercatori italiani che sottoscrivono questo appello si rivolgono per la seconda volta in poche settimane al proprio Presidente, al Capo dello Stato.

Per queste ragioni il prossimo 12 febbraio scienziati e ricercatori italiani si troveranno a dover dare pubblica manifestazione del loro dissenso davanti al Parlamento della nostra Repubblica, riconsegnando simbolicamente i propri strumenti di lavoro.

L'Osservatorio sulla ricerca,
Carlo Bernardini, Giovanni Bignami, Marcello Buiatti, Giorgio Careri, Cristiano Castelfranchi, Maria Luisa Dalla Chiara, Tullio De Mauro, Giuseppe Galasso, Carlo Ginzburg, Margherita Hack, Paolo Sylos Labini, Franco Pacini, Giorgio Parisi, Adriano Prosperi, Tullio Regge, Giorgio Salvini, Giuliano Toraldo di Francia

 


       Commentowww.lavoce.info



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