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 Politica

15 Settembre, 2002
Pier Luigi Bersani: «Facciamo un partito di massa»
Ninni Andriolo intervista il ministro per lo sviluppo economico su L'Unità del 16 settembre 2007

Ministro Bersani oggi si chiude la festa nazionale de l'Unità. Forse non sarà l'ultima, ma sicuramente sarà l'ultima organizzata dai Ds. È da nostalgici provare un po' di solitudine?
«Le feste cresceranno perché ormai è chiaro che costituiscono l'altra faccia di internet. In un mondo che ha mille possibilità di accumulare relazioni, informazioni, ma anche solitudine, i luoghi nei quali ci si guarda in faccia, si sta assieme, si può discutere diventeranno sempre più preziosi. Non riesco a immaginare il partito che ho in testa senza grandi momenti di aggregazione popolare».

E questi continueranno a chiamarsi anche feste de l'Unità?
«Sarebbe assurdo buttar via questo nome, e credo che nella realtà nessuno possa pensarlo. Abbiamo la possibilità di arricchirlo questo nome, ma nel solco di una tradizione che ha legato la parola unità all'idea di un partito che si allarga alla presenza anche degli altri».

Un partito che "si allarga", però, è un partito che ospita. Il Pd, al contrario, è stato immaginato come una casa nuova costruita alla pari un po' da tutti...
«Bisogna avere una grande riprogettazione comune e un rilancio. Certamente, quindi, c'è un problema di evoluzione che io vedo in una chiave di crescita».

Riprogettare significa anche riflettere sui valori fondativi del nuovo partito. Non pensa che questa discussione stia rimanendo lontana dal percorso costituente?
«Qui entriamo nel cuore del problema. Abbiamo avviato una fase costituente ma il profilo, dal punto di vista dello sforzo intellettuale e programmatico e da quello della natura che dovrà avere questo partito, è tutto da definire. E io vorrei che cominciassimo già adesso a discuterne, senza rimandare tutto a quando ci sarà l'Assemblea costituente».

E quali sarebbero i capisaldi dai quali partire?
«Se noi in una società liquida, come la definiscono i sociologi, pensassimo di fare un partito liquido mancheremmo l'obiettivo. Anzi, attenzione a non essere noi stessi un sasso scagliato da quella mano. Da una società, cioè, che si sta disunendo. Se facciamo un partito moderno la leggerezza l'abbiamo garantita perché la modernità è leggerezza. Quello che non abbiamo garantito, invece, è il radicamento forte ed efficace».

Il rischio è quello di un partito leggero che non riesce a radicarsi nella società?
«Io credo che ci sia una cosa da fare subito. Noi non possiamo consentirci di far passare troppo tempo tra l'insediamento dell'Assemblea costituente e il primo allestimento del partito. Faccio un'ipotesi. All'Assemblea si dia vita subito al partito nei territori, producendo linee guida e una data nella quale, sulla base di regole regionali, si possano convocare le unità di base, mettendo all'ordine del giorno l'elezione dei dirigenti locali e, eventualmente, quella dei delegati alle assemblee provinciali».

Una data unica su tutto il territorio nazionale?
«Sì. Farei di quell'appuntamento, rivolto a tutti quelli che andranno a votare il 14 ottobre, la giornata di nascita sul territorio del Pd e il momento dell'adesione al nuovo partito. Farei questo anche in presenza di una fase in cui a livello nazionale si discute dello Statuto vero e proprio».

Resta però il problema di un'elaborazione più compiuta su valori, programmi e organizzazione del nuovo partito...
«Dovrà essere l'Assemblea costituente, dotandosi di strumenti appropriati, a occuparsi del tipo di partito che vogliamo. A me, tuttavia, piacerebbe che fin da adesso cominciasse a circolare qualche idea».

Lei che tipo di partito vorrebbe?
«Per me tutto deve ruotare intorno al concetto di partecipazione. Questa deve essere essa stessa formazione alla politica. Se è così io credo che il nuovo partito deve avere sei caratteristiche. Deve essere, per prima cosa, un partito in cui le decisioni degli organismi vengono prese su base politico-programmatica con meccanismi che garantiscano la sintesi e, quindi, un linguaggio efficace e univoco. Quel partito, poi, deve essere presente e rintracciabile in tutti i luoghi 365 giorni all'anno. Terzo: questo partito deve essere in grado di attivare volontari della politica su iniziative e deve dotarsi, quindi, di un minimo di macchina organizzativa. Quarto, deve strutturarsi in modo da dare spazio ad aree tematiche e culturali o specialistiche. Quinto, il Pd deve promuovere assolutamente cultura politica, costruendo forme e luoghi in cui questa cultura politica possa misurarsi...»

Il sesto punto del suo elenco di priorità?
«È quello di cui parlavamo all'inizio. La necessità, cioè, di cogliere la modernità delle iniziative popolari di aggregazioni. Teniamo presente che un partito lo si fa per farlo durare almeno un secolo».

Lei pensa che il comitato dei 45 possa già oggi proporre delle mete da raggiungere?
«Con il regolamento approvato da quel comitato abbiamo avviato la navigazione. Credo adesso che sarebbe opportuno decidere un luogo dove fare il punto della rotta. Sono i 45? Sono i candidati alle primarie? È Prodi che prende l'iniziativa? A me va bene tutto, però credo che sia venuto il momento di fermarci a ragionare. Intanto per definire un minimo di messaggio da fornire agli italiani. Dobbiamo dire loro, molto semplicemente: "guardate che facciamo questa cosa perché la politica così com'è non va e noi vogliamo cambiarla e vogliamo chiedere anche agli altri di fare uno sforzo". Queste cose potrebbero essere dette con un appello lanciato dei candidati. Che dimostrerebbe, per di più, che la competizione fra loro viene fatta in amicizia. Di qui al 14 ottobre, poi, una discussione su come immaginare e regolare l'Assemblea costituente deve essere fatta».

Anche lei è convinto che il Pd rappresenterà un antidoto contro l'antipolitica?
«Io dico sempre che se c'è la febbre inutile dare la colpa al termometro...»

Non è Grillo, ovviamente, il responsabile del malessere che c'è nel Paese...
«Aggiungo, però, che bisogna evitare di dirci magari "vaffa" da soli tanto per stare nel movimento. Il rimedio all'antipolitica, secondo me, è una politica che ci metta la faccia. Una politica dei politici che si dia degli obiettivi, combatta e non si faccia raffigurare come casta. Quando dico che il Pd deve essere un partito di combattimento dico questo».

Ministro, molti leader riformisti affermano che il Pd rafforzerà il governo. Il dato di fatto, però, è che le fibrillazioni della maggioranza sono aumentate e la sinistra radicale punta il dito su un Pd acchiappa tutto...
«Se il 14 ottobre andrà a votare molta gente il 15 il governo starà meglio. E noi, definendo rapidamente il profilo e la struttura del nuovo partito, avremo la possibilità di fare delle sintesi e di consegnare al governo un pilastro coerente che darà beneficio a tutti, anche ai nostri alleati. Per questo ritengo che la forma partito deve garantire univocità di linguaggio, coltivare la partecipazione al suo interno per non scaricare sull'azione di governo le differenze. Una volta che definiremo questo credo che le stesse mediazioni con le altre componenti della maggioranza saranno enormemente semplificate. Con enorme vantaggio per un governo che possa andare avanti per l'intera legislatura».

Senza bisogno di rimpasti o di cure dimagranti per ridurre il numero dei ministri?
«Io ho detto che il governo è ottimo e abbondante. Sotto quella battuta, però, c'è un concetto. Se fossimo in condizioni cioè di fare un'azione rilevante e utile, per l'amor di Dio, facciamola. Cerchiamo, però, di non aggiungere problemi a problemi. Perché questi si evocano quando se ne ha chiara la soluzione».

 


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