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 Lettere a Welfare

15 Settembre, 2002
Quando l’assassino è un italiano (Enrico Fierro da L'Unità)
«Dietro il sequestro Tassitani - dicevano le prime notizie - forse una banda di nordafricani» - Immaginatevi cosa sarebbe successo se ciò fosse stato vero

Notizie di Natale. Che ti raccontano di delitti orrendi e di famiglie intere distrutte dal solito ubriaco al volante. Notizie di Natale, che però ti parlano anche di un Paese dalla indignazione a doppia velocità. Prendiamo l’assassinio indefinibile (nel senso che non ci sono aggettivi che possano aiutarci a definirlo) di Iole Tassitani. Il suo assassino l’ha sequestrata, tenuta prigioniera per dodici giorni, infine l’ha ammazzata. Senza pietà, facendo scempio del suo corpo, sezionato in 29 pezzi poi riposti in sacchetti neri. L’ha rapita e uccisa per soldi, Michele Fusaro, falegname con l’ossessione del corpo.

L’assassino, l’ha rapita e uccisa per soldi: Michele Fusaro, falegname con l’ossessione del corpo - che curava, informano le cronache - con lunghe sedute in palestra e chilometriche passeggiate. Un tipo normale, «tranquillo e riservato», «un insospettable», dicono di lui, ma col miraggio dei soldi facili.

Bellezza, danari e successo: le tre ossessioni sociali di oggi. I giornali di ieri (quelli confezionati dopo la pausa natalizia) hanno raccontato sequestro e delitto in tutti i particolari, anche i più macabri. Tanta cronaca, pochi commenti. Nessun politico ha parlato.

Eppure non osiamo immaginare cosa sarebbe successo se quella notizia - appena accennata tra le righe di un servizio letto nei telegiornali pochi giorni prima della soluzione del caso - si fosse rivelata vera. «Dietro il sequestro Tassitani - diceva - forse una banda di nordafricani». Il Nord, il profondo Nord sarebbe stato scosso da cortei leghisti con tanto di cappi sventolati e la richiesta perentoria di «cacciare i negri». Altri politici avrebbero replicato e per giorni il dibattito avrebbe infiammato il Paese.

Forse al punto di convincere il governo a varare un decreto d’urgenza. Lo abbiamo già visto con l’omicidio - ad opera di un rom di nazionalità romena - della signora Giovanna Reggiani.

Violenza, indignazione, proteste e decisioni politiche: un mix micidiale. E invece è accaduto che un contributo importante per arrivare a scoprire il garage degli orrori dove è stata massacrata la povera Iole Tassitani sia venuto proprio da un nordafricano. L’ex cognato del falegname accusato dell’omicidio, un marocchino, al quale Michele Fusaro aveva proposto un «affare» e tanti soldi da raggranellare con un sequestro di persona. L’uomo, appena saputo del rapimento Tassitani, è andato di corsa dai carabinieri a raccontare tutto.

Ubriachi al volante. Neppure loro potevano mancare in questo Natale delle bestialità. E così nel Begamasco una intera famiglia (padre, madre e figlia di dieci anni) viene distrutta in uno scontro frontale con un poderoso Suv Cherokee. Il trentaduenne che lo guidava aveva bevuto e tanto: nel sangue aveva alcol in una quantità quatto volte sopra il limite consentito dall’alcotest. Il suv, simbolo di potenza, l’alcol, la guida spericolata, forse le cose che sognava il falegname di Bassano del Grappa nei suoi deliri di successo e ricchezza. Anche in questo caso la notizia sparirà dalle pagine dei giornali. Ed è un male perché sul tema degli incidenti stradali e della irresponsabilità di tanti automobilisti - con passaporto italiano e non - non si discute mai abbastanza.

Non fu così nei mesi scorsi con Marco Ahmetovic, il rom romeno che ad Ascoli Piceno falciò quattro ragazzi. Anche lui era ubriaco alla guida del suo sgangherato furgone e anche la sua follia provocò indignazione. Ma per poco tempo. Perché nelle pieghe più nascoste di questo Paese c’è posto per tutto, anche per il «male» che diventa all’improvviso business. E così, mentre nell’Ascolano qualcuno trasformava la propria indignazione in violenza e dava fuoco alle baracche di un campo rom, un abile press agent (italiano) pensava di sfruttare al massimo le «qualità» di Ahmetovic. Che era destinato a diventare testimonial di una linea di prodotti (jeans, magliette, cinture borchiate) con studiate campagne pubblicitarie e contorno di abbondanti spot televisivi.

La cosa non ha avuto seguito, ma siamo sicuri che i prodotti lanciati dal «rom assassino» avrebbero avuto un grande successo nel paese dell’indignazione «a doppia velocità».

 


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