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15 Settembre, 2002
Bersani: «Soli al voto con le nostre radici di sinistra»
Intervista curata da Ninni Andriolo da www.unita.it

I sondaggi che premierebbero la Cdl? «C’è qualcosa che non torna». Pierluigi Bersani non crede che gli elettori possano riconoscersi «nella foto sbiadita di gruppo» dei leader Cdl. E il Pd ha le carte in regola per inviare al Paese un messaggio netto.
«L’andar da soli, in realtà, è una derivata della necessità di parlar chiaro al Paese, ma in un quadro di rapporti positivi con tutto il centrosinistra». Secondo il ministro, però, occorre far convivere «continuità e discontinuità». E non servono gli «strappi con il prodismo».
Il Pd? Statuto e Carta dei valori definiscono il profilo di una forza «che riafferma radici popolari, solidali, progressiste e di sinistra». Altro che partito di centro, quindi.


Ministro, da dove riparte una campagna elettorale che, in realtà, non si è mai interrotta?
«La prima buona abitudine di una campagna elettorale è ricordarsi che c’è un avversario...»

Perché, non è chiaro?
«Il nostro avversario è il centrodestra e questo deve essere ancora più chiaro. È la Cdl che deve pagare il prezzo di avere imposto al Paese, per ben due volte, una legge elettorale assurda che consente ai partiti, a prescindere da ogni loro procedura democratica, di nominare senatori e deputati. Una legge che ha dei buchi, come ha sancito la Corte costituzionale. Una legge che provoca instabilità».

La destra vorrebbe riformare quelle norme dopo le elezioni...
«Cosa significa “dopo”? Che prima giochi e poi fai le regole? Ma così imbrogli».

Lei non crede alla legislatura costituente, quindi?
«Siamo sempre stati disponibili a fare le regole del gioco in Parlamento. Sono stati gli altri a tirarsi indietro».

E la grande coalizione? Da destra si sente suonare anche questa musica...».
«Capisco chi ne parla, ma vorrei sapere chi ci crede. Gli stati di necessità possono sempre determinarsi, per carità. Ma solo un sognatore può pensare che Berlusconi possa mettere in conto di vincere per poi governare insieme a qualche altro. Qui si vince o si perde, punto. Dopodiché, per l’amor di Dio, le regole vanno cambiate e vanno cambiate assieme».

E basterà mettere il dito nella piaga del “porcellum” per vincere?
«Voglio ricordare che Berlusconi ha chiuso rapidamente il libro della riorganizzazione del centrodestra. E che per mesi abbiamo assistito a discussioni piuttosto animate che prospettavano novità...

Allude al popolo delle libertà?
«Appunto. Quel libro lo hanno chiuso in quarantott’ore, perché tutti hanno pensato solo ad afferrare il malloppo elettorale. Con il risultato che noi dovremmo farci governare da una foto di gruppo, già sbiadita nel 2006, che ci ripropone una compagnia che risale al 1994»

Berlusconi, Fini, Bossi e Casini...
«Ecco, in quella foto è impossibile intravedere un piccolo angolo di futuro per il Paese».

E un Pd ancora in gestazione quale futuro potrà indicare?
«Noi ci mettiamo un po’ di rischio e un po’ di futuro in questa campagna elettorale. Le scelte le abbiamo compiute già quando decidemmo di fare il Partito democratico, riconoscendo che la riforma del sistema doveva partire dal lato della politica. Con uno sforzo di ricomposizione e di semplificazione che rispondesse all’esigenza di parlare un linguaggio più chiaro».

Un’operazione che puntava al Pd timone del centrosinistra, non già al Pd che va da solo...
«Non è che siamo arroganti o abbiamo voglia di solitudine. L’andar da soli, in realtà, è una derivata della necessità di parlar chiaro a un Paese che ha bisogno di essere risollevato. Di nominare riforme che abbiano un nome e un cognome e di spiegare che le tasse devono pagarle tutti se tutti vogliono pagarle meno, e che le professioni vanno riformate, e che in un ciclo dei rifiuti ci devono stare anche i termovalorizzatori. Noi vogliamo aggregare attorno a proposte chiare. Tutto questo, però, lo puoi fare assumendoti un rischio. E nel rischio stesso c’è un messaggio: l’idea di una politica che scommette qualcosa».

Sì, ma un Paese si guida con i numeri e con le alleanze...
«Intanto i numeri si contano alla fine. In ogni caso, la scelta di parlar chiaro al Paese deve avvenire in un quadro di relazioni positive con tutte le forze del centrosinistra, con le quali abbiamo e dovremo avere tantissime convergenze sul piano programmatico. A partire dai luoghi dove già governiamo assieme. E ricordandoci sempre, appunto, che il nostro avversario è il centrodestra».

Il problema del Pd è non dire prima del voto ciò che si potrebbe dire dopo? E con chi farete il governo in caso di vittoria?
«Il meccanismo elettorale è fatto in modo che o sfondi o non sfondi. Dopodiché non è detto che un solo partito debba reggere il governo. Noi, oggi, proponiamo un soggetto, che io credo sia in espansione, e avanziamo nella chiarezza le nostre proposte. Gli eventuali punti di compromesso per un’azione di governo sono sul tavolo del Paese, nella legittimità assoluta. E non nell’implicito o nell’uso stiracchiato di un aggettivo».

E adesso? Perché Pannella e Bonino “no” prima ancora che il Pd metta in campo un programma?
«Si parte sempre dai contenuti per verificare la possibilità di aggregazione, ma stavolta non a prezzo di confusioni o balbettii».

Ministro, il Pd archivia l’Unione e sembra voler creare una cesura anche con Prodi. Letture errate?
«Prodi non si ricandida, questa notizia di per sé segna un ciclo. Quello in cui, con Prodi alla testa della coalizione, abbiamo impedito un ventennio berlusconiano battendo Berlusconi già due volte; abbiamo salvato la finanza pubblica, abbiamo agganciato definitivamente l’Italia all’Europa; abbiamo praticato parole come Euro, lotta all’evasione fiscale, liberalizzazioni, nuova politica estera, nuova legislazione sul lavoro, ecc. Quel ciclo lo abbiamo affrontato con il migliore equilibrio possibile nel campo del centrosinistra. Vorrei ricordare che il bipolarismo si è aperto nel momento in cui - nella nostra metà campo - c’era una grande frammentazione».

C’è chi rimprovera a Prodi di aver scelto l’equilibrismo per galleggiare...
«Un rimprovero che non fa i conti con la realtà. Prodi stesso, in ogni caso, ha visto che quel punto di equilibrio del centrosinistra andava oltrepassato e ha contribuito in modo fondamentale alla nascita del Partito democratico. Da qui devono prendere le mosse i nuovi passi da compiere. Bisogna inserire novità programmatiche, facendo riconoscere però quei grandi nuclei di politiche riformatrici che abbiamo praticato».

Ma Prodi è un impaccio o una risorsa per la campagna elettorale del Pd?
«Prodi è il presidente di questo partito e tocca a lui fare al Paese la narrazione di questi anni. A Veltroni tocca riprendere da lì. Sto parlando di contenuti, del messaggio da dare agli italiani. Attenzione, perché nelle cose nuove che dobbiamo dire, magari ci stanno cose che in nuce sono già state espresse. E quando affermo che non bisogna buttar via la parola sinistra, dico - ad esempio - che l’espressione “tutti devono pagare le tasse per pagarne meno” non possiamo gettarcela alle spalle. Questo vale per le liberalizzazioni, per la Tav, ecc. E ciò non rappresenta uno strappo dal prodismo. Quello che serve, in realtà, è un equilibrio tra continuità e discontinuità da declinare nella chiave dell’innovazione».

Veltroni propone di destinare subito l’extragettito ai lavoratori dipendenti, lei è d’accordo?
«Spesso ci chiedono se ci dispiaccia lasciare l’incarico di governo. Quello che ci amareggia, in realtà, è aver abbandonato a metà un’operazione di straordinaria rilevanza che avevamo concepito tra marzo e giugno. Un forte intervento sulla fiscalità del salario dei lavoratori dipendenti, accompagnato da misure per il rilancio della produttività. Dico, tra parentesi, che tra qualche giorno presenterò il credito d’imposta sulla ricerca e mi aspetto che il sistema industriale italiano faccia un grande sforzo di innovazione utile alla produttività. Al di là di questo, comunque, noi abbiamo raccolto risorse da finalizzare ad un intervento a favore dei salari. E io ritengo che, se ce ne fossero le opportunità, queste decisioni debbano essere prese. Credo necessario mettere in sicurezza decisioni che possono essere successivamente disperse».

Ministro, l’accusa da sinistra è quella di un Pd che si riposiziona al centro. È così?
«Si favoleggia su una sinistra, la “cosa rossa”; su una destra, la Cdl; e su un centro che saremmo noi. Per quel che ci riguarda noi stiamo facendo il partito e il più grande botto d’inizio campagna elettorale sa quale potrebbe essere?».

Quale ministro?
«Che sabato prossimo l’Assemblea costituente approvi statuto, carta dei valori, ecc».

E che partito profilano quei documenti?
«Un partito che è di centrosinistra - o come piace dire a me il partito di una nuova, grande sinistra democratica - e che riafferma radici popolari, solidali, progressiste, di sinistra, chiarendo che valori antichi vanno serviti con politiche nuove. Credo che questo profilo debba essere messo in evidenza. Visto che ci presentiamo con il nostro volto e nel nome della chiarezza, il “chi siamo” è una cosa piuttosto importante».

E i suoi timori sul “partito liquido”?
«Lo Statuto è convincente e il meccanismo che propone risolve il problema. Quando parlai di “partito liquido” partivo dall’Italia. Questo Paese ha bisogno di elementi coesivi, non possiamo continuare a galleggiare sulla frantumazione. Dobbiamo inserire una controtendenza politica, culturale e organizzativa. Lo Statuto consente anche di immaginare una vita dell’organizzazione che selezioni le piattaforme culturali e politiche, cioè i luoghi di discussione delle nuove elaborazioni. Faccio un esempio, sarebbe ben curioso che avessimo fatto il Pd e non riuscissimo a elaborare una nuova dottrina sul tema laici e cattolici. Queste elezioni ci colgono in corso d’opera, ma ci propongono un’opportunità micidiale per presentare un programma per il Paese. Ma anche per delineare un volto, una idealità, una cultura. L’Assemblea costituente del 16 è un appuntamento da non perdere».

Ministro, i sondaggi favoriscono il centrodestra. Lei è fiducioso ugualmente?
«Sì, perché la situazione è in movimento. E in quei sondaggi c’è qualcosa che non torna. Il nostro problema è se riusciamo a smuovere gli umori disillusi di questo Paese, che sono molto ampi. Io un po’ l’orecchio a terra lo tengo, e non mi risulta che l’elettorato del centrodestra sia così convinto e animato dalla foto di gruppo dei suoi leader. La Cdl ha molti problemi. Si vedranno, eccome se si vedranno. Per vincere la sfida, in ogni caso, dobbiamo mostrare una grande solidarietà e una grande convinzione unitaria, così come sta avvenendo in questi giorni. Abbiamo la possibilità di avere una leadership espressiva, dobbiamo organizzare una grande coralità e fare in modo che la narrazione sia univoca. Ricordandoci che andar da soli e avere idee chiare non sono necessariamente sinonimi, bisogna lavorare con coerenza perché ciò avvenga».

 


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