15 Settembre, 2002
La fabbrica, le caramelle e la Giusi. Racconto. Di Gian Carlo Storti
Gli esami di stato terminarono a fine luglio del ‘ 70 ed ai primi di novembre eravamo già in fabbrica. Io alla Sperlari di Cremona, Gigi all’Alfa Romeo di Milano.
La fabbrica,le caramelle e la Giusi. Racconto. Di Gian Carlo Storti
Gli esami di stato terminarono a fine luglio
del ‘ 70 ed ai primi di novembre eravamo
già in fabbrica. Io alla Sperlari di Cremona,
Gigi all’Alfa Romeo di Milano.
Come perito industriale mi fu assegnato il
compito di tempista. Dopo un breve corso
di tre giorni, sull’uso del cronometro ,
sulle lavorazioni e sulle modalità di rlevare
i tempi, fui mandato nel primo reparto.
Il tempista era odiato dagli operai. Nel
corso ci avevano detto che quando segnavamo
i tempi di fronte ai lavorartori dovevano segnare a fianco, nella apposita tabella, fare la stima e togliere dal 10 al 20% del tempo registrato in quanto
gli operai ritardavano appositamente le lavorazioni.Noi studenti, provenienti dal movimento studentesco,
avevamo una venerazioni per gli operai, per
“ la classe”, come allora si diceva. Gli
operai, con le loro lotte, erano la spina dorsale della sinistra comunista
e quindi di per sé andavano venerati e stimati.Era quello il mio primo lavoro e quindi avrei
dovuto sentirmi orgoglioso, invece mi vergognavo del ruolo
che mi era stato assegnato: appunto quello di fare il tempista
L’immagine del reparto fu grandiosa. Almeno
una ventina fra donne e ragazze sulla linea di imballaggio
delle caramelle.
Il capo mi fece percorrere, al suo fianco,
la linea, con stile militare, almeno due-tre
volte. Mentre ascoltavo il capo il mio viso
guardava leggermente dall’altro il basso il viso di quelle donne
e di quelle ragazze.
Le loro facce mi sflilavano davanti come
delle diapositive in rapida successione.
Del viso mi rimaneva impresso solo il colore
dei capelli, la forma , a volte il naso quella delle labbra con l’aggiunta di eventuali segni particolari o smorfie.
Avrei dovuto passare in quel reparto almeno
una settimana per rilevare i relativi tempi
di lavoro.
Tutte erano vestite con un grembiule bianco abbottonato sul davanti.
Come nel vecchio film di Ciaplin facevano
movimenti limitati e brevi. Si giravano verso
destra, rispetto al nastro, per raccogliere
su un tavolo, posto di lato le scatole delle
caramelle che riponevano ritmicamente. La
collega, con una paletta a misura , raccolglieva le caramelle
e le riponeva nalla scatola. L’altra chiudeva
la scatola, in genere un cofanetto di metallo
variamente colorato e dipinto, riponendola
sul nastro fino a chi la prendeva per deporla
nello scatolone.
Io dovevo misurare in quanto tempo confezionavano un quintale di caramelle
e prendere i tempi di ogni singola operazione.
Si chiamava lavoro di micro-organizzazione.
In rapporo ai tempi rilevati i sindacati
poi contrattavano il cottimo, cioè una quantità
di danaro aggiuntivo in rapporto alla produzione.
Durante questo lavoro, oltre che misurare
i tempi , dovevamo individuare correzzioni
da proporre per la disposizione delle scatole,
i movimenti delle braccia, delle mani ecc.
Quando il capo mi lasciò solo cominciai il lavoro.
Il lavoro era organizzato sulle otto ore
al giorno. Quattro al mattino ( dalle 8 alle
12) e altrettante al pomeriggio ( dalle 14 alle 18). Durante
la pausa o si andava alla mensa aziendale,
poco distante , o a casa o in libertà dove
si voleva.
Sul turno delle quattro ore era prevista una pausa ,ogni
due ore, di dieci minuti per i bisogni fisiologici
( ed una sigaretta…allora si fumava molto).
Se quindi le ragazze dovevano stare bloccate alla linea per due ore consecutive,
io per due ore dovevo, con la tabella , il cronometro e la biro andare su da un lato e giù dall’altro della linea.
Nel mio camice grigio iniziai così il lavoro di controllo . Le ragazze, per la
verità le operaie, erano disposte dieci da
una parte della linea, che assomigliava ad
un lungo tavolo di lavoro, e dieci dalla
parte opposta. Erano perfettamente allineate
in modo tale che a me, che andavo su e giù
da una parte all’altra , quando vedevo il dietro della persona in piedi non potevo notare il viso della ragazza di rimpetto perfettamente
allineata. Vedevo cioè o il loro viso e l’intero busto o l’intero posteriore della
persona.
La capo linea girava anchessa in modo , apparentemente
molto disordinato, da una parte all’altra della linea intervenendo qua e
là ad aggiustare, sistemare, rimproverare,
gratificare ecc.
Dovevo stare serio ma l’intera scena era molto buffa.
Vedevo la faccia di una con le sue smorfie
e la gamba della sua ridimpettaia alzarsi
per grattarsi l’altra.
Vedevi di lato due, tre, quattro gambe alla
volta che si grattavano l’altra lascinado
la ciabatta o lo zoccolo in terra.
Alla sera del primo giorno le sapevo riconosere
tutte, per nome, dal dietro.
Non potevo sorridere apertamente, ma i miei
occhi lo davano a vedere. Così mi dissero poi.
Il pomeriggio e la mattina successiva lavorai
con intensità. Al terzo giorno dovevo infatti
andare in direzione con il primo resoconto.
Quel mezzogiorno pioveva. Non avevo l’ombrello.
Arrivai al Cavallino con qualche minuto di
ritardo.
In saletta oltre a me ed alla Giusi c’erano
40/50 persone della Sperlari. La Giusi era seduta in un tavolo a sei. Un posto
era libero. Con un cenno mi indicò il posto.
Agli altri mi presentò con il “ nuovo tempista”
, il bello disse. Arrosii !! ….Salutai con
un cenno della mano e con un ciao.
Non ordinammo, mangiammo quella che era già
predisposto. Mentre si inforcava la pastasciutta,
maccheroni buonissimi al ragù di fegatini
di pollo, mi fissava con i suoi occhi.
Capii solo allora che aveva 10 anni più di
me.
Non portava la fede. Tutti la salutavano
scherzosamente e le chiedevano della bambina. Lei aveva preso sul serio il mio invito.
Fra il primo ed il secondo scambiammo due
battute sul reparto. Il tono era scherzoso.
Dopo il caffè uscimmo sotto il porticato
della trattoria a fumare una sigaretta. Mi
disse subito che non era sposata e che a
casa aveva una bambina di dieci anni e che
non mi poteva prendere sul serio.
All’uscita delle 18 aveva smesso di piovere.
Inforcai la mia vespa 125 e presi la stada del bar di piazza S.Paolo.
La rividi la mattina in fabbrica. Durante
la pausa per il caffè parlai con la Nerella al mattivo ed al pomeriggio con la capa.
La sera mi fermai vicino alla casa della Giusi. Si fermò al mio cenno di saluto. La invitai
subito fuori per una cena in pizzeria. Mi indicò il venerdì sera,
alle 19.30, presso la pizzeria Marechiaro.
Con alcuni amici , una decina, da un paio d’anni, avevamo
preso in affitto, in Via Brescia, due stanze
nei vecchi stabili a ringhiera. Alle stanze
era assegnato anche un bagno esterno sulla
loggia.
Erano stanze che ci servivano sia per fare
riunioni politiche che incontri privati o
festine. Erano addobbate con dei manifesti sia politici
che di cantanti, films, pubblicitari ecc.
L’arredo era semplice. Delle turche predisposte
da divano, delle stuoie sul pavimento e molti
molti cuscini di diverse dimensioni. Non
vi era un colore prevalente, ma macchie di
colore. Le luce, si dicevano psichedeliche, era collegate
al giradischi ed cambiavano intensità in
rapporto al tipo di musica ed al volume utilizzato.
La raccolta dei dischi era la più varia.
Essenzialmente erano disponibili dei 45 giri.
Da quelli di grido, a tutti gli altri. Ognuno
ne portava e li lasciava. Un tavolino, un fornello a
gas ed un piccolo frigorifero completavano
l’arredo delle due stanza. Dappertutto molti
pasacenere, per lo più pieni di mozzicone.
La pulizia dei locali veniva fatta saltuariamente e da chi utilizzava le stanze. La prenotazione delle
stanze per incontri prevedeva il versamento
di un contributo…per le spese.
Avvertii i ragazzi di lasciarmi libere le
stanze per la domenica.
La mattina feci un salto a pulire. L’ambiente puzzava
all’inverosile di fumo. Aprii le finestre, svuotai i posaceneri
pieni, scopai anche i tappeti sul pavimento alla meglio, feci la polvere, sistemai i divani, scelsi i primi
dischi, misi in frigorifero un paio di bottigliette
di coca, due aranciate, una bottiglia di
pinot,una decina di pasticcini. Recuperai
dei bastoncini aromatici di incenso ed aromi
vari , chiusi le finestre e la porta e me ne andai a casa per una doccia e per il pranzo. Quella domenica
mattina piovigginava un poco. L’appuntamento
con la Giusi era alle 14.30 a casa sua.
Mi vestii con i soliti jeans blu, una camicia
chiara, un maglioncino ed un giubbotto di
pelle alla moda…..Non mancava però il distintivo:
la stella rossa.!
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Il giorno dopo tutto tranquillo. Il lavoro
scorreva liscio. Con Giusi pochi sguardi ed un solo sorriso.
Eravamo stati bene. Verso sera ci mettemmo
d’accordo ancora per la domenica pomeriggio.
L’indomani l’assemblea sindacale decise gli
scioperi per fa assumere gli stagionali.
Io ero uno di loro.
Organizzammo tre o quattro giorni di sciopero
ed una manifestazione in città.
Il reparto delle caramelle era molto combattivo
e partecipò sempre compatto agli scioperi
ed alle manifestazioni.
Alla fine i giovani tecnici ed operai furono assunti in 40 su 80. Ottimo risultato. Io fui assunto.
Vidi la Giusi ancora per tre o quattro volte finchè mi disse che
aveva trovato il padre per sua figlia e quindi
non potevamo più vederci.
Finì i tutto con grande normalità. Le regalai
un piccolo orologio da borsetta. Ci salutammo
con grandi sorrisi per anni. Il reparto non seppe mai
nulla. O così mi è parso.
Gian Carlo Storti
storti@welfareitalia.it
n.b. La situazione è reale, i personaggi “ romanzati”
1970 la fabbrica-giusi e le caramette
 
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