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 Politica

15 Settembre, 2002
Le intercettazioni hard di Silvio - Il Santo Graal della Terza Repubblica
da Il Riformista del 2 luglio 2008 di Fabrizio d'Esposito - Leggi anche *Se le é trobate tutte?* di Jacopo Fo

Sono il Santo Graal della Terza Repubblica. Tutti le cercano ma nessuno le trova. E’ il Codice da Silvio, che intriga molto, ma molto di più del blocca-processi e del lodo Alfano, testi aridi e noiosi. Ieri Dagospia ha annunciato che usciranno entro una settimana. E in quel momento, giura, si scatenerà l’Apocalisse. Testuale. Non a caso le redazioni dei quotidiani italiani sono in ansia da giorni e i loro direttori tentano di capire che cosa fare. Qualcuno le tiene chiuse in un cassetto, un altro le vorrebbe ma non ce l’ha, un altro ancora si augura che vengano censurate, come nel caso di Stefano Menichini di Europa. Il più diretto, invece, è stato Vittorio Feltri di Libero: «Il vero guaio di Silvio è la gnocca». Insomma, a tenere banco tra gossip e realtà, parafrasando Ligabue, sono le presunte intercettazioni hard del Cavaliere su ministre, veline e attricette. Ossia i brogliacci telefonici usciti dall’inchiesta di Napoli sul duopolio collusivo Rai-Mediaset, quella su Saccà tanto per intenderci, e classificati come «non penalmente rilevanti». E tutto ciò fornirebbe inoltre una chiave di lettura ben precisa all’annuncio fatto ieri dal premier: «Sulle intercettazioni probabilmente ci sono i termini di necessità e urgenza per procedere con urgenza al decreto legge».

Sabato scorso il Riformista ha riferito che la telefonata più piccante riguarderebbe un’ex soubrette poi diventata ministro. Il giorno dopo, sollecitata in merito dal Corriere della Sera, Giorgia Meloni di An, titolare delle Politiche per i giovani, se l’è cavata così: «Io? Io proprio no. Le sembro una con il fisico da showgirl?». Dunque la Meloni non è. Chi resta? I nomi sono quelli lì e ieri poi un autorevole testimone de oculo, che sostiene cioè di aver letto qualche brano del prezioso Codice da Silvio, ha confidato a qualcuno che le ministre sarebbero addirittura due. In pratica, in una telefonata a un amico il premier farebbe una comparazione tra le qualità delle due donne. Solo voci? Pura fantasia? Fatto sta che in Transatlantico, ma anche altrove, non si parla d’altro.

Prima scena, ieri a Montecitorio. Fuori nel cortile non si respira per il caldo. Interlocutore maschio: «La telefonata di ... (segue nome e cognome del ministro) è quella più forte. Roba da paura. Uno scandalo. C’è lei che spiegherebbe a un’altra come trattare il premier... (segue descrizione di una pratica già causa in un altro paese occidentale di impeachment)». Altro capannello, altra telefonata: «Il Cavaliere teme che esca una conversazione in cui riferirebbe a un altro le sue difficoltà... (segue specificazione del campo in oggetto) e di come li avrebbe risolti grazie a un farmaco sperimentale». Le due voci riportate sono poi indicative dei partiti che si stanno formando sul contenuto delle intercettazioni (sempre se ci sono) e sulle relative interpretazioni.

I partiti sono due. Il primo mette insieme deputati e senatori che concordano soprattutto su un punto: il Cavaliere non avrebbe nulla da perdere con queste telefonate. Anzi. C’è pure chi ripete una frase pronunciata dal premier nei giorni scorsi. Questa: «Io paura? Sono altre a essere tormentate. Io sono tranquillo, non temo nulla. Al massimo verrà fuori che sono il più bravo anche in quello». Capito? Il blocca-processi non sarebbe stato fatto per i dettagli scabrosi in incubazione alla procura di Napoli.

Il secondo partito, ovviamente, è convinto del contrario: il Cavaliere teme di perdere la faccia (tesi sostenuta anche da Feltri) per i particolari che verrebbero fuori. Senza contare che poi lo scandalo investirebbe altri pezzi di governo. A quel punto non sarebbe esclusa una crisi. Fantapolitica? Può darsi, ma qualcuno ricorda che cosa successe quando furono rese pubbliche le insinuazioni su un ipotetico flirt tra Gianfranco Fini e un altro ministro. Era qualche anno fa. Su un quotidiano uscì una conversazione intercettata al bar fra tre colonnelli di An e successe il finimondo, compresa un’epurazione ai vertice del partito. Non solo. Terzo capannello a Montecitorio e altro interlocutore maschio: «La vera questione non è il sesso. Uno scandalo del genere comporterebbe la separazione di Berlusconi dalla moglie Veronica. E a quel punto ciò che gli farebbero i giudici civili in una causa di divorzio sarebbe molto pesante. Gli potrebbero portare via anche metà del patrimonio. Altro che i processi penali, qui rischia grosso».

Riassumendo: in queste ore al centro della vita politica del paese ci sono le voci e i sussurri sulla vita privata del premier. L’ennesimo conflitto d’interessi. Battute a parte, sarebbe in atto una vera e propria corsa contro il tempo per bloccare l’Apocalisse annunciata dal sito di Roberto D’Agostino. Ieri, intervistato da Renato Farina per Libero, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ha detto che stavolta per il premier è scattata «la soluzione finale». Che comprende anche il gossip e le intercettazioni a luci rosse. Di qui la decisione del Cavaliere di dare una stretta alla pubblicazione delle conversazioni sui giornali: decreto legge coi caratteri di urgenza e necessità. Anche perché il ddl varato dal consiglio dei ministri ancora non ha cominciato il suo iter parlamentare. Altro che refuso allora. Quando, infatti, il governo decise di intervenire sulle intercettazioni ci fu il giallo del decreto legge: a Palazzo Chigi il ddl divenne dl e il Quirinale si pronunciò duramente contro un’ipotesi del genere. Il Cavaliere si difese dicendo che era tutta colpa di un refuso e non c’era dolo. Adesso che invece è partito il conto alla rovescia sulle trascrizioni provenienti da Napoli, è rispuntato fuori il dl. E stavolta non si tratta di un refuso. Stando alle indiscrezioni, allora, ciò che avrebbe preoccupato dall’inizio il premier era soprattutto Napoli, non Milano con il processo Mills. La risoluzione dell’enigma sarebbe contenuta in quelle pagine. Forse verranno fuori, forse no. In ogni caso la guerra tra il Caimano e le toghe non è destinata a fermarsi. Dice un berlusconiano autorevole. «I magistrati hanno cercato di colpire il bersaglio in tutti i modi. E visto che non ci sono riusciti adesso sono pronti a far uscire l’ira di Dio sul premier». La «soluzione finale» come profetizzato da Cossiga, che in casi come questi ci prende sempre.

 


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