15 Settembre, 2002
Così non va. Prezzi, redditi, produzione, consumi.
Proposte dei Democratici per un'altra politica economica - L'intervento di Pierluigi Bersani, Ministro dell'Economia del Governo Ombra del PD
Svolgiamo questa conferenza nel pieno di una tempesta finanziaria che
può riversare effetti rilevanti sull'economia reale. È un drammatico
passaggio di fase. Non cade la globalizzazione. Cade
l'interpretazione finanziaria della globalizzazione. La miccia si è
accesa sui mutui ipotecari, si è estesa al sistema di
cartolarizzazione dei prestiti, agli abnormi meccanismi piramidali,
ai rapporti interbancari.
Ovunque si invocano garanzie pubbliche o in via di riparazione o in
via preventiva. Anche coloro che hanno stampato moneta falsa per
mettersi in tasca quella buona e hanno infettato il mondo cercano
oggi riparo presso lo Stato. I contribuenti, a cominciare dagli Stati
Uniti, si convincono a pagare per evitare guai peggiori. Il rischio
che si intravede non è solo il crollo del castello di carta della
finanza creativa. Ci saranno, in una qualche misura inevitabili
effetti depressivi e recessivi sull'economia reale. Se andiamo più a
fondo nell'analisi di quel che è avvenuto ci accorgiamo di essere
stati sospinti a questo esito drammatico da un modello che è invalso
in particolare negli Stati Uniti e che ha affidato alla finanza un
compito sostitutivo della crescita dei redditi da lavoro e della
funzione della redistribuzione, quasi che toccasse alla finanza
esprimersi come una specie di nuovo Welfare.
Stefano Fassina ne parlerà e rimando quindi al suo intervento. In
questo passaggio critico può e deve prendere forma e, già dalle
prossime ore, non solo una politica europea mirata all'emergenza, non
solo un rafforzamento ed una integrazione continentale della
regolazione e del controllo dei mercati finanziari, ma anche,
finalmente, un coordinamento delle politiche di bilancio per
sostenere la domanda e per stimolare le attività economiche a
cominciare dai problemi dell'accesso al credito per le imprese e per
le PMI in particolare; a cominciare da un piano europeo per le
infrastrutture e la crescita, secondo quella che fu l'ispirazione di
Delors quasi venti anni fa, ispirazione di cui la destra di oggi
produce fotocopie ritoccate dopo aver bloccato l'originale. Lascio
all'intervento di Fassina la precisazione delle nostre proposte.
Voglio solo denunciare qui il rifiuto da parte del Governo ad ogni
informazione sulla crisi, anche in sede parlamentare. A differenza di
ogni altro Paese il Governo non sente il bisogno di coinvolgere i
rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione in una
valutazione comune della situazione e in un confronto di valutazioni
e proposte. Sono cronache di ordinaria arroganza. Voglio aggiungere
qualcosa sui possibili riflessi protezionisti, nazionalisti e
statalisti di questa crisi, anche per quel che riguarda il dibattito
in casa nostra. Lo voglio fare innanzitutto sgombrando il campo dalle
troppo facili palinodie.
Solo il servo encomio, incredibile e imbarazzante, verso il Governo e
il Ministro del Tesoro impedisce che venga fatta in questi giorni al
Ministro Tremonti una semplice domanda: chi nel 2003 voleva
introdurre pari pari il sistema dei mutui ipotecari americani a fini
di rilancio dei consumi e di Welfare implicito? Come ci si può
dimenticare oggi di una vicenda che impegnò le prime pagine dei
giornali e che fu stoppata dall'opposizione in primo luogo nostra.
Come ci si dimentica dell'abnorme sviluppo che avemmo allora della
finanza creativa, delle parossistiche cartolarizzazioni e del via
libera dell'accesso degli Enti locali a strumenti finanziari
rischiosi. Tutto questo fece di noi uno dei migliori mercati per le
banche d'affari del mondo (chiedo scusa dell'autocitazione ma, tutti
i giornali allora ripresero una mia battuta: fermatelo sennò ci
cartolarizzerà anche la nonna. Allora i commentatori sorrisero.
Adesso se ne sono dimenticati). Il canto nuovo di Tremonti e del
centrodestra non ci impressiona. Come direbbe Francesco Guccini, è
semplicemente l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai con
il torto. Questo canto nuovo non ci impressiona neanche quando
rilancia temi protezionistici o statalistici che investono non solo
la finanza ma l'insieme dell'economia reale.
Diceva Galbraith che i ricchi scoprono il socialismo quando serve a
loro. Qui siamo in un caso del genere. Noi abbiamo un'altra idea.
Ribadiamo che per l'Italia propugnare protezionismi significa
tagliare il ramo su cui siamo seduti. Il che non significa in nessun
modo negare l'esigenza di una regolazione molto più stringente, a
cominciare dalla finanza, e di ragionevoli misure difensive contro
speculazioni ed effetti dumping di ogni genere. Ma siamo totalmente
contrari all'idea che lo stato occupi spazi propri mentre abbandona
quelli suoi. Ci vuole più stato. Siamo i primi a dirlo e lo diciamo
prima di ogni altro. Ma più stato dove? Oggi lo stato deve garantire
le protezioni sociali rafforzando le strutture universalistiche e non
concedendo al mercato la risposta a bisogni fondamentali. Lo stato
deve garantire politiche fiscali progressive e redistributive più
efficaci.
Lo stato deve promuovere a livello internazionale ed allestire a
livello nazionale strutture e strumenti più pertinenti ed efficaci di
regolazione e controllo dei mercati. Lo stato deve determinare
standard e politiche attive che sollecitino innovazione e qualità
nella produzione e nei consumi. Lo stato deve garantire lo sviluppo e
il radicamento nazionale (in attesa di quello europeo) di
fondamentali reti strategiche materiali e immateriali. Lo Stato deve
occuparsi di capitale umano, di infrastrutture, di ricerca e così
via. Quante cose deve fare lo stato in economia, cose che non sta
facendo o non sta facendo abbastanza! La destra è pronta a mettere lo
stato nei luoghi impropri purchè non stia nei luoghi suoi. Può anche
fare i panettoni, lo stato, purchè non faccia le regole. E allora,
per i casi di oggi, lo diciamo chiaramente. Pretendiamo che lo Stato
protegga i risparmiatori ma non chi ha tradito e tradisce i
risparmiatori ieri, oggi e domani.
Questa discussione, tuttavia (alla quale anche io ho concesso
qualcosa) non può essere a sua volta un'ennesima arma di distrazione
di massa per far dimenticare il vero punto critico che ha di fronte
oggi il nostro paese e che il Governo ha fin qui totalmente ignorato,
inventando diversivi di ogni genere e lasciando correre l'idea che si
tratti solo di stare con le mani in mano osservando dove va il mondo
e facendo gli scongiuri. Altroché Governo delle decisioni. Qui c'è il
decisionismo per le allodole. Sulle questioni vere, non si sta
decidendo nulla. Mi riferisco all'avvitamento in corso nel nostro
paese fra questione economica e questione sociale. È questo il cuore
del nostro problema che ha il sapore dell'emergenza e ha dei nomi
chiari: prezzi, redditi, consumi, produzione. Così non và. È tempo di
tornare alla realtà. L'ISTAT ci dice che 14 milioni di lavoratori
guadagnano meno di 1.300 euro al mese; che il 15% delle famiglie
fatica ad arrivare a fine mese, che il 28% non può fare fronte ad una
spesa imprevista, il 10% è in ritardo per il pagamento di bollette,
il 4% non ha soldi per spese alimentari, il 10% per spese mediche, il
16% per l'abbigliamento. Se guardiamo al Sud queste percentuali
raddoppiano. Intanto l'inflazione tendenziale ci porta sopra la media
europea dopo un anno (a proposito di effetto sistemico delle
lenzuolate!) in cui eravamo andati sotto la media europea. Questa
inflazione non è ascrivibile né alla domanda interna né alle
retribuzioni e quindi si scarica senza riparo alcuno sui redditi medi
e bassi mentre i contratti si fanno con un ritardo medio di 12 mesi,
il fiscaldrag non viene recuperato, le pensioni si svalutano, la
produttività non va in tasca ai lavoratori. Ovviamente i consumi si
riducono, come mai negli ultimi anni, le attività economiche
orientate al mercato interno si indeboliscono, cresce l'incidenza
della precarietà.
Riprende a crescere la disoccupazione, si affaccia un picco della
cassa integrazione con una ulteriore diminuzione della massa
salariale spendibile, in un circuito vizioso che si auto alimenta.
Ovvio che i dati sul PIL segnalino questo andamento recessivo con il
tendenziale peggiore d'Europa (potremmo facilmente dire che
nell'altro giro il centrodestra ci ha messo tre anni a portarci a
crescita zero e stavolta ci ha messo solo tre mesi. Sono diventati
rapidi e decisionisti e più che di Robin Hood forse si potrebbe
parlare di Speedy Gonzales). Di fronte a questa vera emergenza il
Governo è muto. Non c'è politica economica, e quando c'è è al
rovescio. Il circolo vizioso non si rompe. Non è questione di assenza
di risorse. Quando si vuole le risorse si trovano come si è visto in
questi mesi partendo dall'Ici ed arrivando ad Alitalia. L'impennata
preoccupante del fabbisogno colloca comunque il fabbisogno stesso al
di sotto dell'evidente sovrastima del Governo. La solidità del
risanamento degli ultimi due anni consentirebbe di guardare al
pareggio di bilancio con margini di flessibilità. Cito il rendiconto
dell'esercizio finanziario 2007 a firma Tremonti. "Il 2007 si è
chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli del previsto.
È il risultato di una politica economica che ha perseguito
l'obiettivo della crescita e del risanamento. Ai risultati ottenuti
hanno concorso sia le entrate sia le spese e, per le entrate, il
grosso contributo è venuto dai frutti della lotta all'evasione
fiscale, mentre l'espansione della spesa primaria e stata
rallentata". Prendiamo dunque per una volta Tremonti in parola,
almeno quando gli scappa la penna. A chi dovrebbero andare i frutti
di questo risanamento? Forse all'evasione e all'elusione fiscale? E
se anche arrivassero tempi nei quali, come pare implicitamente
suggerire il Governo, fosse necessario tirare la cinghia, chi
verrebbe messo al riparo? I ceti più ricchi, i settori più forti e
protetti? C'è un momento nel quale i soldi vanno trovati comunque!
Adesso è il momento di mettere soldi in tasca a chi ha bisogno di
spenderli, è il momento di urgenti misure per stimolare l'economia.
È in questa chiave fondamentale che noi avanziamo le nostre proposte.
In primo luogo si tratta di avviare immediatamente una progressiva ed
incisiva diminuzione della pressione fiscale sulle retribuzioni medio-
basse con detrazioni fiscali, revisione delle aliquote, o
restituzione del drenaggio fiscale, dandosi una prospettiva triennale
fino all'obiettivo di una riduzione del prelievo di 100 euro mensili.
Bisogna affiancare a queste misure l'estensione della 14^ già varata
dal Governo Prodi per 3 milioni di pensionati fino alle pensioni di
importo di 1.000 euro. Le risorse che si intende destinare (peraltro,
fin qui in modo del tutto confuso), alla così detta social card siano
da dicembre trasformate in una misura strutturale per le pensioni più
basse, che si aggiunga alla quattordicesima mensilità. Una
quindicesima insomma. Ripetiamo che il finanziamento di queste misure
è possibile mobilitando risorse di bilancio e preservando i risultati
ottenuti in termini di fedeltà fiscale. Vogliamo su questo ultimo
punto lanciare un allarme. Si stanno smantellando strumenti,
certamente migliorabili, ma essenziali ai fini di un consolidamento
di una nuova fedeltà fiscale. Sto parlando della cancellazione o
della vanificazione della tracciabilità dei pagamenti, della
definizione agevolata dei verbali di verifica, del depotenziamento
dell'amministrazione finanziaria con la demolizione del sistema di
incentivi e di epurazioni vere e proprie nelle funzioni dirigenziali.
Mettendo l'orecchio a terra sentiamo già oggi l'effetto di tutto
questo. Il messaggio è inequivocabile e incoraggia l'evasione. Ecco
allora la nostra seconda proposta: quella di un nuovo patto sulla
fiscalità. Una proposta positiva. Potremmo dire: una Maastricht del
fisco, con l'obiettivo di raggiungere entro un certo numero di anni
la media europea della fedeltà fiscale. Ciò può avvenire in
particolare attraverso meccanismi che consentano davvero emersione e
tracciabilità, anche al prezzo purtroppo inevitabile di qualche
adempimento che può gravare anche sui contribuenti onesti. In questo
patto deve stare il riconoscimento che per i sistemi di PMI il
combattimento con il fisco ha riguardato spesso la vita dell'impresa
e non il portafoglio dell'imprenditore.
Da qui l'esigenza di individuare un ruolo crescente di sistemi
semplificati di imposizione. In questo patto possono essere compresi
obiettivi di alleggerimento fiscale già iniziati per le imprese con
il Governo Prodi (IRES, IRAP, cuneo, forfettone) e che hanno spostato
nettamente la posizione dell'Italia nelle tabelle europee sul carico
fiscale; tutto interrotto da un Governo che, nel silenzio generale, è
clamorosamente venuto meno alle proprie promesse. Dobbiamo insomma
avere tutti consapevolezza che al confronto con le medie europee quel
che ci distingue non è il livello della spesa pubblica (che per altro
va contenuta, riconvertita e radicalmente qualificata) bensì un
livello di fedeltà fiscale nettamente più basso che risente in
particolare di una abnorme dimensione del sommerso. Diciamo con
chiarezza che chi opera in nero verso fornitori clienti o lavoratori
non fa parte del nostro universo. Sarà questo uno dei punti di una
carta dei valori "piccole medie imprese territorio" sulla quale
lavorerà, insieme con Matteo Coloninno, Giancarlo Sangalli. Sarà per
noi l'occasione per affermare la centralità della piccola e media
impresa nel nostro progetto per l'Italia e di dire al contempo come
il civismo di impresa abbia a che fare con la competitività e la
crescita. La nostra terza proposta riguarda il sistema contrattuale e
la possibilità di presidiare e rafforzare il potere di acquisto
promuovendo e distribuendo guadagni di produttività, allestendo
adeguati meccanismi di riparo dall'inflazione e garantendo un
ordinato, puntuale ed efficace andamento della contrattazione.
Noi valutiamo da un nostro autonomo punto di vista la discussione in
corso fra le parti sociali. Rimarchiamo come questo confronto si
riveli difficile perché non è stato inquadrato in una prospettiva di
politica economica indicata dal Governo. A proposito dei richiami
al '93, ben altro fu il metodo di allora! Se il Governo non ci mette
del suo, in termini di quadro di riferimento e di azioni concrete,
tutto diventa più complicato. Noi riteniamo comunque necessario che
venga garantito il ruolo specifico ed essenziale della contrattazione
nazionale, indispensabile per la coesione del sistema, e che si
sviluppi realmente una contrattazione decentrata capace di stimolare
e distribuire incrementi di produttività. Ribadiamo che la
produttività non si misura con lo sforzo muscolare dei lavoratori o
con il numero di ore lavorate ma con un adattamento creativo e
flessibile del lavoro a processi di innovazione delle imprese. Questi
processi devono rendersi visibili e esigibili a fronte di politiche
industriali pubbliche di sostegno. Riteniamo altresì necessario che i
contratti garantiscano un recupero dell'inflazione, naturalmente in
forme tali da non avviare spirali inflazionistiche. Peraltro ci
preoccuperebbe una inflazione programmata o variamente negoziata che,
al di la delle giuste articolazioni dei modelli contrattuali, fosse
balcanizzata fra settore e settore, fra categorie e categorie, fra
pubblico e privato. Qui ci sono le più gravi responsabilità del
Governo sia per quel che riguarda l'irrealismo dell'inflazione
programmata sia per quel che riguarda l'indisponibilità ad
accompagnare questa fase con detrazioni fiscali che interessino la
generalità dei lavoratori e non solo le iniziative di sostegno alla
produttività, (peraltro utili si ma anch'esse da perfezionare).
Quanto al ruolo delle forze sociali riteniamo giusto rafforzare
elementi di sussidiarietà, già positivamente sperimentati in
contratti riferiti alla piccola impresa e all'artigianato, ma non
fino al punto di far venire meno alcune funzioni pubbliche e
universali che lo stato deve garantire, a cominciare dalla sicurezza
sul lavoro. Dentro a questi criteri, ribadiamo con nettezza il nostro
interesse a che si realizzi un punto d'incontro all'interno del mondo
del lavoro e fra il mondo del lavoro e l'insieme dell'organizzazione
di impresa per un aggiornamento dei modelli contrattuali. Per ciò che
sta in noi siamo pronti a dare il nostro contributo.
La quarta proposta riferita al potere d'acquisto riguarda l'immediato
intervento a favore del cittadino – consumatore, con il trasferimento
di risorse dai settori protetti alle tasche dei cittadini.
Banche, energia, assicurazioni, telecomunicazioni, concessionari di
ogni genere e specie, sono stati messi a tu per tu con il Governo
invece di essere messi a faccia a faccia con il consumatore. Qualche
elemosina fiscale, facilmente scaricabile sui clienti, ha sostituto
il rafforzamento del consumatore. Bisogna riprendere la strada
segnata in particolare dalla cosiddetta terza lenzuolata già
approvata alla Camera nella scorsa legislatura. Andiamo al concreto.
Sto parlando dell'abolizione della Commissione di massimo scoperto,
della trasferibilità e della surroga dei mutui spiazzate
dall'ipocrita accordo – Tremonti sulla rinegoziabilità. Sto parlando
dei costi di gestione dei conti bancari, della RC auto, delle
concessioni autostradali, della restituzione dell'Iva a fronte degli
aumenti della benzina, delle nuove tariffe telefoniche, dei prezzi
dei voli aerei, del prezzo dei farmaci su cui la retromarcia è ormai
evidente e della riforma dei servizi professionali rimasta al palo o
ostacolata nelle novità introdotte negli ultimi due anni.
Sto parlando in particolare della class action, cancellata 2 mesi fa
e che deve essere ripristinata senza castrarla nei confronti dei più
gravi fatti finanziari ai quali potrebbe aggiungersi qualche recente
bad company. Quanto alla pubblica amministrazione, invece di
occuparsi di spot pubblicitari, il Governo riprenda la nostra norma
sull'auto certificazione rafforzata da strutture professionali
assicurate, di una serie di autorizzazioni in campo economico, così
da spostare la pubblica amministrazione verso la verifica e il
controllo, così da muovere le professioni da luoghi improduttivi
verso luoghi di efficienza, così da dare speditezza alle iniziative
produttive. L'insieme di queste ed altre iniziative porterebbe subito
diversi miliardi nelle tasche dei consumatori, favorirebbe
concorrenza e occupazione, darebbe stimolo alle attività economiche.
Naturalmente non si può mettere soldi in una tasca e toglierli
dall'altra. Mentre si parla (o più spesso si chiacchiera) di
federalismo (e noi ne parleremo seriamente presentando nei prossimi
giorni la nostra piattaforma) si sta togliendo ossigeno ad alcuni
servizi fondamentali a base territoriale. Ha detto bene il Presidente
Errani commentando la legge delega del Governo: è un primo passo ma
non accettiamo bufale. Comuni, provincie e regioni stanno combattendo
su questo punto ed hanno il nostro sostegno. Solo chi guarda il mondo
con gli occhi dei ricchi non sa che cosa significhi un indebolimento
dei servizi territoriali e perfino i risvolti drammatici che può
avere.
Ecco allora il quinto punto che solleviamo. Garantire che il
contenimento della spesa decentrata non intacchi i servizi sociali
fondamentali. Se ne parlerà nel nostro dibattito. Due cose solo
voglio aggiungere non si pensi che, se si vuol fare sul serio, il
federalismo fiscale possa essere affidato ad un Governo sulla base di
una vaghissima delega. Ci vogliono procedure rafforzate, ci vuole una
commissione bicamerale che lavori sul serio. Per quanto ci riguarda
deleghe generiche non ne daremo. Aggiungo che non si può predicare il
federalismo e poi dare i soldi a Catania stracciando ogni regola da
ogni parità di condizioni noi non accettiamo derive clientelari.
La sesta proposta che avanziamo riguarda le attività economiche ed in
particolare le attività industriali.
Fatto 100 la quantità di produzione industriale del 2000, l'Italia è
a 95, la Germania è a 120, la Francia è a 105 , la UE è a 112.
Il valore della produzione ha tenuto, c'è più lavoro aggiunto ma al
prezzo di una dura selezione ancora in corso e di una divaricazione
radicale fra le aziende. Mostra di farcela chi ha affrontato
l'internazionalizzazione, chi ha introdotto innovazione di prodotto
organizzativa, chi è cresciuto di dimensione per via diretta o dentro
sistemi a rete. Tutto questo a prescindere dai settori. Soffre chi è
rimasto fermo o chi è legato a un mercato interno fortemente segnato
dalla crisi dei consumi e da una penetrazione delle importazioni non
solo nei segmenti di bassa gamma ma anche in segmenti tecnologici o
ad alto valore aggiunto. Non a caso i segnali critici vengono
dall'informatica, dall'elettrodomestico, dall'elettronica e
dall'agroalimentare, dalla meccanica di base nonché, e in modo
davvero preoccupante, dalle costruzioni. Si continua a parlare
d'altro, ma noi avremo un autunno con meno occupazione industriale e
con molta , molta cassa integrazione. Il Governo si occupa poco o
nulla di crisi aziendali. Noi dobbiamo dare voce a quel silenzio ed
essere la dove ci sono i problemi. Ci organizzeremo anche come
partito, per offrire un riferimento alle crisi diffuse del Paese. Ci
sono crisi che avvengono in modo molecolare. Per la prima volta dalla
riforma del settore il numero degli esercizi commerciali si riduce;
il turismo soffre, l'artigianato di servizio e di vicinato è in
difficoltà. Molte imprese chiudono.
Tutti questi fenomeni sono drammatici al Sud. Inutile perdere tempo
con le cifre. Gli indicatori sono tutti negativi, il divario si
accentua. Ci occuperemo con iniziative specifiche della politica
nazionale per il mezzogiorno. Cominceremo il 21 ottobre con una
giornata di analisi e proposta che terremo a Potenza. Affiancheremo
l'iniziativa con un documento parlamentare di piattaforma. Dopo la
manifestazione del 25 ottobre credo dovremo immaginare un
appuntamento di mobilitazione che presenti in forme più visibili la
nostra denuncia. Siamo di fronte all'abbandono di ogni politica sul
divario e a una indiscriminata rapina delle risorse destinate al
Mezzogiorno. Il FAS è diventato ormai la borsa di Mary Poppins dalla
quale pescare per ogni bisogno o per ogni capriccio. (Addirittura in
questi giorni il FAS è stato usato a ripiano dei disavanzi correnti
degli enti locali!). Noi inquadriamo le nostre politiche industriali
e le politiche per il Mezzogiorno dentro al quadro unitario del
programma Industria 2015, un quadro che va rafforzato e rilanciato e
che viene invece oggi indebolito e azzoppato. In quel quadro c'è un
piano realistico di alleggerimento fiscale in continuità con le
misure del governo Prodi, c'è il credito di imposta sulla ricerca da
rendere strutturale, c'è il credito d'imposta automatico per gli
investimenti, che è stato distrutto da questo Governo, che va
ripristinato a fronte della chiusura di leggi come la 488, chiusura
che va confermata.
In quel quadro ci sono strumenti di garanzia per l'accesso al credito
delle PMI che vanno immediatamente rafforzati in questa fase di acuta
criticità. In quel quadro ci sono progetti interfacciati di
innovazione tecnologica e sviluppo dei consumi nell'area
dell'efficienza e del risparmio energetico, della mobilità
sostenibile, del made in italy, dei beni culturali, della salute. Le
prime misure e i primi bandi sono un successo e mostrano in
particolare la possibilità di fare rete fra le piccole imprese.
Prendere da quei bandi i trecentomilioni da buttare nel buco Alitalia
è stato un delitto. Delitto ancor più grave si sta consumando
sottotraccia nel riportare ai ministeri la valutazione dei progetti
industriali sottraendoli all'Agenzia dell'Innovazione che abbiamo
allestito a Milano secondo trasparenti modelli europei. Questa scelta
fa più o meno il paio con l'attacco alle autorità indipendenti, a
cominciare, da quelle veramente indipendenti. Attacco che intendiamo
respingere con ogni forza. Il quadro di Industria 2015 contiene
altresì l'allestimento di progetti – paese per qualificare i consumi
e per avviare cicli di investimento pubblici e privati. Ecco qualche
specifica proposta.
1) rafforzare piani di efficienza energetica e di risparmio
nell'edilizia, nei consumi durevoli, nella mobilità. Sono interventi
che fanno PIL, che migliorano l'ambiente e che a questo prezzo
dell'energia, si pagano da soli.
2) Sostenere un ciclo di investimenti dell'energia. Mi riferisco non
solo ai gassificatori (il primo l'abbiamo fatto noi e l'ha inaugurato
lui) ne solo al completamento del piano di produzione elettrica. Mi
riferisco a interventi assolutamente immediati. Ci sono ad esempio
alcune centinaia di milioni spendibili per il decommissioning delle
centrali nucleari. Questa sarebbe, fra l'altro la vera palestra per
la nostra industria nazionale. Mentre si chiacchiera di nucleare non
si fa nulla di quel che si dovrebbe fare, anzi si complicano e si
rallentano le operazioni. Per inciso faccio notare che quegli stessi
che non vogliono i francesi in una compagnia aerea sono pronti a
legarsi mani e piedi ad una tecnologia strategica totalmente altrui,
inabbordabile per le nostre imprese nazionali, e su una operazione di
produzione nucleare che ci dovrebbe garantire (così si dice) il 25%
della nostra produzione elettrica.
In campi come l'allestimento della rete di telecomunicazione di nuova
generazione, in campi come le bonifiche e le reindustrializzazioni di
aree a vocazione produttiva, in campi come la casa è possibile
saldare immediatamente e saggiamente con risorse pubbliche già
disponibili un ciclo di investimenti privati. Se il Governo
accettasse di mettere a fuoco alcuni di questi progetti – paese noi
saremo pronti a cooperare con le nostre proposte e con l'influenza
che ci è possibile esercitare. Denunciamo invece i colpi mortali che
vengono dati anche in questi giorni ai programmi infrastrutturali
smentendo anche in questo caso in modo clamoroso l'impegno
elettorale. Pretendiamo una operazione verità sulle infrastrutture.
Non aggiungo altro e rimando per le specificazioni all'intervento di
Andrea Martella.
Con la discussione di oggi costruiamo la nostra piattaforma economica
da far vivere in parlamento e nel paese. Resta il problema di darci
le gambe per far camminare le nostre idee. Usciti dalla fase
costituente, stiamo entrando nella fase di costruzione vera e propria
del partito. Lo facciamo nel vivo della campagna di opposizione e
questo ci deve aiutare a collegare intimamente il partito nuovo ai
bisogni ed alle aspettative più profonde del popolo che vogliamo
rappresentare. Perché questo sia possibile dobbiamo darci una
organizzazione efficace ed operante. Eccoci dunque a qualche
comunicazione di servizio. Con questa iniziativa diamo vita alla
consulta economica del PD. La consulta risulterà dalla composizione
del Comitato Economia-Finanza espressione delle Commissioni
parlamentari e dai responsabili per l'economia dei comitati
regionali. Dobbiamo darci rapidamente le necessarie connessioni fra
centro e territori alimentandole di contenuti e dando luogo ovunque
ad iniziative che ci aiutino a guardare la gente e farci guardare
dalla gente all'altezza degli occhi e sui problemi della vita reale.
Stiamo costruendo la squadra e la rete che renderà possibile tutto
questo.
Sono alle conclusioni. Abbiamo voluto che in questo appuntamento si
stesse al concreto e si dicessero più cose che parole. Anche io ho
cercato di fare così. Non voglio tuttavia chiudere senza un cenno
alla connessione fra la battaglia economica e quella politica e
ideale. Cerco di spiegarmi così, in due parole. Noi cresciamo meno di
ogni altro paese europeo e questo avrà pur qualcosa a che fare con il
fatto che la forbice fra i redditi è da noi la più alta d'Europa e
con il fatto che la mobilità sociale è da noi la più bassa. Per
crescere economicamente serve dunque più uguaglianza e cioè piena
affermazione dei diritti sociali, sviluppo di politiche
redistributive, riduzione del divario fra i territori. Per crescere
di più serve più libertà e cioè la rottura di conservatorismi e il
coraggio di riforme che attacchino meccanismi relazionali,
corporativi, regressivi che imprigionano le nuove generazioni e le
dinamiche di innovazioni dei protagonisti economici e sociali. Su
questi fronti e in alternativa alle ricette della destra populista,
si possono portare dal cielo alla terra i valori di una sinistra
democratica, popolare, liberale che essendo con convinzione se stessa
può indicare una altra strada al Paese.
 
Fonte
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