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15 Settembre, 2002
Più Europa per una nuova Europa .Manifesto per l'Europa di Bruno Trentin .
L'Europa è ad un passaggio cruciale della sua lunga storia. Nel momento in cui viene sancita l'adesione di altri dieci Stati dell'Europa centro-orientale e mediterranea

Più Europa per una nuova Europa
Manifesto per l'Europa di Bruno Trentin

Raccogliamo con convinzione l’appello rivolto da Romano Prodi alle forze politiche, ai movimenti, ai cittadini che vogliono battersi per una nuova Europa. Una visione comune dell’Europa, un programma comune e un impegno comune di tutti i riformatori italiani: è anche il nostro obiettivo.

Le idee e le proposte che qui avanziamo intendono contribuire a un confronto che nei prossimi mesi deve riuscire a coinvolgere le energie migliori del paese. Un confronto da cui scaturisca l’elaborazione di una piattaforma programmatica che sappia rappresentare bisogni, aspirazioni, speranze dei cittadini italiani ed europei.

L’EUROPA POLITICA: UNA SCELTA DI CAMPO

L'Europa è ad un passaggio cruciale della sua lunga storia. Nel momento in cui viene sancita l'adesione di altri dieci Stati dell'Europa centro-orientale e mediterranea all'Unione, e si pone così fine a una lunga divisione storica, ci si accinge a varare una Costituzione con cui l'Europa unita si definisce come soggetto politico, impegnato a guidare il vecchio continente verso un futuro di ulteriore progresso e ad affermare il suo ruolo nel mondo.

E' una scelta di grande valore simbolico e ideale, che permette a tutti i cittadini europei di potersi riconoscere in un quadro comune di principi, di valori, di obbiettivi, di regole.

Il problema che ora si pone è quello di dare forza alla Costituzione, radicandola nella coscienza dei cittadini europei e cogliendone tutte le potenzialità. Ma, al tempo stesso, occorre guardare avanti, oltre i limiti del progetto affidato alle decisioni della Conferenza Intergovernativa.

Di quali limiti, incoerenze, ambiguità si tratti è presto detto.

Gli equilibri istituzionali -tra Unione e Stati membri, e all'interno dell'Unione- non sono stati definiti in termini chiari e soddisfacenti. L'area delle votazioni all'unanimità è stata ridotta ma non ancora cancellata in campi importanti, come la politica estera e la politica fiscale, attribuendo così un diritto di veto anche al più piccolo degli Stati dell'Unione.

Su competenze di grande rilievo, come il coordinamento delle politiche economiche, sociali e ambientali, manca il riconoscimento di un effettivo potere di codecisione del Parlamento e del Consiglio. Le disposizioni relative a tutte le politiche dell'Unione risultano inadeguate, ed è grave ipotizzare che anche la parte della Costituzione che le raccoglie possa essere riveduta in futuro solo all'unanimità.

Il fatto che questi limiti siano stati in larga misura la conseguenza dello scarso convincimento e impegno europeistico della Presidenza italiana come di troppi governi e di troppe leadership politiche, nei paesi già membri dell'Unione come in quelli di recente adesione, è confermato dalle pressioni che si sono esercitate fin dall'inizio nella Conferenza Intergovernativa, per mettere in discussione innovazioni importanti contenute nel progetto della Convenzione.

Una valutazione obiettiva e non acritica dei suoi contenuti non può però oscurarne il profilo complessivamente positivo, i passi avanti e le aperture che esso compie e consente sulla via dello sviluppo di una Unione politica, capace di affermarsi sulla scena mondiale e di garantire ai suoi cittadini efficaci politiche comuni di libertà, sicurezza e giustizia.

Vanno dunque decisamente respinti i tentativi volti a far regredire il compromesso raggiunto nella Convenzione, ridimensionando ad esempio la nuova figura del Ministro degli Esteri o colpendo le prerogative del Parlamento in materia di decisioni finanziarie e di bilancio. Nello stesso tempo si deve e si può, con piena convinzione, sostenere l'approvazione del progetto di Costituzione, e evitare così che la possibilità di uno storico balzo in avanti dell'Europa unita venga perduta, sia pure sulla scorta di comprensibili insoddisfazioni e in nome di una visione più avanzata della costruzione europea.

Questa netta scelta europeista non ha alternative. Ogni ripiegamento su posizioni di chiusura nazionale è destinato alla sconfitta, e avrebbe il solo effetto di condannare l’Italia ad un ulteriore declassamento. E’ qui in gioco, quindi, anche il futuro del nostro paese.

Dalla scelta europeista dipende la possibilità di fare del nostro continente un garante della pace su scala mondiale, protagonista di un governo multilaterale dei processi di mondializzazione. Un soggetto capace di difendere, sulla base di chiari principi, una prospettiva di pace che scongiuri il ricorso ad ogni forma di guerra preventiva, affermando, con un più forte ruolo dell’ONU, la priorità del dialogo e del negoziato rispetto all’uso della forza.

Dalla scelta europeista dipende la sorte di un modello sociale finalizzato a uno sviluppo sostenibile, alla piena occupazione e alla tutela della dignità del lavoro.

Dalla scelta europeista dipende, infine, la possibilità di condurre una battaglia vincente affinché prevalga nel governo italiano una politica estera autonoma, ispirata alla salvaguardia della pace e allo sviluppo di una vera cooperazione tra i popoli.

Al tempo stesso, è dal rapporto con l’Europa che dipende la possibilità, per l’economia e la società italiana, di invertire l’odierna tendenza alla marginalizzazione, sconfiggendo tutte le posizioni di difesa ottusa e demagogica di angusti egoismi nazionali, il rigurgito di fenomeni xenofobi e razzisti, la sopravvivenza di ristretti interessi corporativi che si sono raccolti nel centrodestra.

L’EUROPA CHE VOGLIAMO

L’Europa che vogliamo è una realtà in grado di competere e, nello stesso tempo, di aprire la strada a più ricche quanto paritarie forme di collaborazione con gli USA e con le altre aree del pianeta.

Rifiutiamo l’idea che il rapporto tra Europa e Stati Uniti sia destinato ad essere di tipo conflittuale. Il vero contrasto non è tra Europa e Stati Uniti, ma tra le forze democratiche e di sinistra da una parte, e le forze neoconservatrici e di destra dall’altra.

Compito dei riformatori europei è quello di attivare un confronto tra tutte le forze del centrosinistra su scala internazionale, ivi compresi i democratici americani, per trovare un terreno comune sul quale costruire le soluzioni ai problemi dell’agenda globale.

L’Europa come nuovo protagonista della scena mondiale non è però solo un disegno istituzionale. E’ anche un modello sociale che ha elaborato un codice culturale di convivenza, di tolleranza, di integrazione, di pace. Si tratta ora di innovare quel modello sociale per rispondere alle sfide demografiche, del mercato globale, della rivoluzione tecnologica, delle trasformazioni del lavoro.

Questi punti sono decisivi per la stessa definizione delle fondamenta costituzionali dell’edificio europeo, dei diritti di cittadinanza, del ruolo delle rappresentanze sociali, anche tenendo conto dei cambiamenti senza precedenti che l’allargamento dell’Unione determinerà nella sua vita economica e istituzionale.

Il valore dell’allargamento –politico, economico, culturale- è fuori discussione. Nel contempo, tuttavia, le disparità all’interno dell’Unione rischiano di aumentare in misura significativa. Così la forbice fra regioni più ricche e regioni più povere. Saranno necessari almeno tre milioni di nuovi posti di lavoro per allineare il tasso medio di occupazione dei nuovi Stati membri a quello dell’Unione Europea.

La politica di coesione, in questo contesto, ha un ruolo centrale. Ad essa spetta, infatti, sulla base di una riconsiderazione degli strumenti e dei mezzi finanziari indispensabili, individuare le soluzioni e i criteri di ammissibilità adeguati per una redistribuzione delle risorse tra le zone meno sviluppate dei nuovi paesi dell’Europa centro-orientale e mediterranea e le zone svantaggiate degli altri paesi dell’Unione.


La nostra visione dell’Europa è quindi alternativa a quella che la concepisce come mera area di libero scambio, in cui le economie che producono a costi bassi possono lucrare vantaggi e benefici differenziali. Non è questa la via che serve all’Europa per rilanciare la sua crescita. Non è questa la via che serve all’Italia per contrastare il suo declino. Noi ci battiamo, al contrario, per affermare una grande idea di sviluppo europeo, lungo una linea che va dal Libro bianco di Delors al programma approvato dal Consiglio di Lisbona del 2000.

L’idea di un’Europa di cittadine e cittadini, delle pari opportunità per tutte e per tutti, contro ogni forma di discriminazione.

L’idea di una società europea della conoscenza, con piani di investimento coordinati nella ricerca, nella formazione, nell’innovazione, nella modernizzazione e integrazione delle reti infrastrutturali strategiche.

L’idea di una società della piena e buona occupazione, del diritto individuale all’impiegabilità e alla formazione lungo tutto l’arco della vita, di politiche comuni nei campi della giustizia, dell’asilo e dell’immigrazione, contro ogni forma di esclusione sociale.

L’idea di una società aperta alla cooperazione internazionale, contro ogni forma di protezionismo, in primo luogo nei confronti dei paesi poveri.

L’idea di un’Europa come grande giacimento del patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale dell’umanità.

C’è bisogno, dunque, di più Europa per una nuova Europa.


L’EUROPA DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE

L’Europa di cui c’è bisogno, in sostanza, deve avere un sempre più netto profilo sopranazionale e deve agire come un soggetto politico globale.

Un soggetto capace di mettere in discussione un ordine internazionale basato sui rapporti di forza, sull’ideologia neoliberista e sulla sua cieca fede in un mercato senza regole, sulla dottrina della guerra preventiva sostenuta dell’Amministrazione Bush.

Un soggetto, quindi, capace di indicare i modi concreti di una governance globale. Per allargare la sfera delle libertà politiche, ribadendo l’universalità del principio democratico. Per allargare la sfera delle libertà economiche, contrastando il protezionismo dei paesi ricchi. Per allargare, infine, la sfera delle libertà sociali, elevando gli standard di salute, istruzione e protezione sociale dei paesi poveri.

L’Europa può dunque contribuire in maniera decisiva e autorevole a debellare con gli strumenti della politica i fenomeni oggi più minacciosi per le sorti dell’umanità: la fame, il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la violazione dei diritti della persona, l’aggressività di regimi dispotici e bellicosi. Ciò sarà possibile se l’Europa saprà esprimere una visione unitaria ed affermare la priorità degli strumenti del dialogo, del negoziato e della diplomazia, considerando l’uso della forza –sempre estrema ratio- soltanto nell’ambito delle regole della legalità internazionale e di un efficace multilateralismo.

Con questa ispirazione va affrontata la scelta di una partecipazione dell’UE alla ricostruzione materiale e democratica dell’Irak, sotto l’egida dell’ONU, a cui spetta la guida di una fase di transizione che dovrà restituire al popolo irakeno la sua sovranità nazionale. In tempi brevi e definiti.

Solo a queste condizioni è possibile arginare una situazione che sta diventando di ora in ora sempre più drammatica, segnata da un’offensiva terroristica che sembra incontenibile, e che ha colpito tragicamente anche il nostro contingente militare.
Alle famiglie dei militari e civili italiani caduti a Nassiriya va il commosso cordoglio di tutti i DS.

Ribadendo il nostro dissenso sull’intervento armato in Irak, solo a queste condizioni è possibile un coinvolgimento dell’Unione nell’edificazione di un ordine postbellico in quella regione, come ribadito dalla risoluzione del Parlamento di Strasburgo approvata nel settembre scorso.

Con la stessa ispirazione l’Unione Europea deve contribuire alla soluzione del conflitto israelo-palestinese e della crisi della regione medio-orientale. Sollecitando, pertanto, un’accelerazione della road-map, assumendo il contributo che viene dalla coraggiosa iniziativa chiamata “Pace di Ginevra”. E gettando le basi di un programma di sviluppo dell’intera regione, imperniato sull’equa distribuzione delle risorse disponibili, a cominciare da quella –vitale- dell’acqua. In questo quadro non va scartata l’ipotesi di un impiego di forze di interposizione sotto il comando dell’ONU, soprattutto di fronte a una spirale di violenza che rischia di diventare incontrollabile, per garantire la sicurezza di Israele e la formazione di uno Stato palestinese indipendente.

Anche a tali fini, è necessario dare pienezza di volontà politica e di mezzi istituzionali alla nuova figura del ministro degli Esteri europeo. La sua collocazione come vicepresidente della Commissione va perseguita con decisione, affinché possa disporre di tutte le risorse necessarie per una politica estera e di sicurezza comune. Fermo restando il vincolo per gli Stati, previsto dal progetto di Costituzione, di non intervenire sulle questioni internazionali con posizioni nazionali unilaterali, prima che l’Unione Europea abbia avuto l’opportunità di definire un punto di vista comune.

Una delle missioni storiche dell’Europa è quella di concorrere all’affermazione di un governo multilaterale del mondo, anche attraverso una riforma dell’ONU e delle istituzioni economiche internazionali. Sotto tale profilo la creazione di un Consiglio per la sicurezza economica nell’ambito dell’ONU, e di un’Organizzazione mondiale dell’ambiente -proposte sostenute dall’Internazionale Socialista- può costituire una prima utile risposta all’esigenza di un quadro istituzionale che dia efficacia a un nuovo sistema di responsabilità collettiva su scala mondiale, la quale coinvolga i rappresentanti delle principali aree geopolitiche del pianeta.

E’ una sfida che vale per l’ONU, ma che in realtà vale per tutte le istituzioni internazionali, ivi comprese le istituzioni finanziarie come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio.

Una riforma di quest’ultima Organizzazione e dei suoi meccanismi decisionali è particolarmente urgente, soprattutto alla luce del fallimento del vertice di Cancun, su cui pesano anche forti responsabilità dell’Unione Europea. E’ necessario garantire un coordinamento effettivo delle politiche commerciali con quelle di cooperazione e forme più trasparenti di controllo democratico. Obiettivo il cui conseguimento richiede la creazione di un’assemblea parlamentare dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Assemblea che assicuri il coinvolgimento delle società civile e di quelle sovranità popolari oggi surrogate dalla presenza esclusiva dei governi.


UN VERO GOVERNO ECONOMICO DELL’UNIONE EUROPEA VERSO UNA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA

Chiedere un nuovo approccio al progresso globale, in grado di ridefinire priorità e sedi in cui il Nord e il Sud del mondo possano cooperare, implica mettere ordine “in casa propria”. Occorre cioè liquidare, senza equivoche reticenze, le forme di protezionismo che attualmente sopravvivono nell’UE. Innanzitutto quelle di cui gode l’agricoltura, che sanzionano un inaccettabile scambio ineguale con i paesi in via di sviluppo.

La politica agricola comune va profondamente cambiata. Insieme alle sue originarie funzioni è ormai entrata in crisi la sua stessa legittimazione sociale. Se il ruolo dell’intervento pubblico si giustifica ancora in un settore finalizzato all’alimentazione degli individui, è comunque non rinviabile un radicale processo di riforma degli strumenti finanziari e degli obiettivi della politica agricola comune, che consenta anche una liberazione di risorse a favore della ricerca e dell’innovazione tecnologica.

Riequilibrio profondo fra produzioni continentali e mediterranee, tra aree forti e svantaggiate, tutela della salute, salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio rurale: sono questi per noi le scelte essenziali di una nuova politica per la valorizzazione di una produzione di qualità e per la difesa del reddito agricolo.

Una riconversione del sostegno interno dunque, che, accanto alla graduale ma spedita eliminazione dei sovvenzionamenti alle esportazioni, deve costituire la base di negoziati con i paesi in via di sviluppo imperniati su principi di equità e reciprocità.

E’ però difficile immaginare una politica della cooperazione diversa e in grado di esprimersi con una sola voce senza un vero governo economico dell’Unione, con concreti poteri di coordinamento della politica di bilancio dei singoli Stati, i quali sono sempre meno in grado di fronteggiare processi di ristrutturazione produttiva e finanziaria di dimensione mondiale.
Processi che determinano e si intrecciano con squilibri crescenti nella distribuzione del reddito, che in tutti i paesi europei concorrono a un aumento delle disuguaglianze e a un incremento della quota dei profitti a danno dei redditi da lavoro.

E’ ormai evidente che le attuali difficoltà competitive dell’Europa non derivano dalla scarsa flessibilità del mercato del lavoro o dall’eccesso di spesa sociale, ma innanzitutto dal fatto che ogni paese mantiene le sue leggi, le sue regolamentazioni e le sue normative, senza che nessun serio sforzo di armonizzazione venga compiuto, innanzitutto sul terreno fiscale. Se a ciò si aggiunge la sostanziale assenza di politiche economiche e sociali opportunamente concertate, e l’incapacità di fornire beni pubblici a livello sopranazionale -difesa, ordine pubblico, infrastrutture, ricerca, istruzione- si comprende il motivo vero del deficit competitivo del nostro continente rispetto agli U.S.A.

Senza un coordinamento, pertanto, tra le politiche economiche, le politiche sociali e le politiche ambientali, e restando la Banca Centrale Europea l’unica istituzione federale della zona Euro in grado di garantire la stabilità monetaria ma non la crescita dell’Unione, ogni tentativo di superare il ritardo che separa l’Europa dagli Stati Uniti è destinato al fallimento, come dimostra l’esperienza di questi ultimi anni.

E’ quindi necessario accelerare la costruzione di un vero governo economico e sociale dell’Unione, a partire dalla zona Euro. Sperimentando una forma di cooperazione rafforzata che riequilibri il ruolo che ha svolto, sino ad ora, la Banca Centrale Europea, e che consenta, insieme, una gestione più flessibile del Patto di stabilità e di crescita.

Così si può dare spazio, soprattutto nel momento in cui l’allargamento dell’Unione rischia di rendere ancor più farraginosi i suoi meccanismi decisionali ad una “avanguardia” aperta alla partecipazione di tutti i paesi, che tenga libera la strada verso più avanzati processi avanzati di integrazione.

Parliamo di un governo economico e sociale dell’Unione capace di affermare la priorità di una politica coordinata degli investimenti pubblici, e di un orientamento, per tale via, degli investimenti privati in settori decisivi come la ricerca e l’innovazione, la scuola e l’università, le grandi reti prioritarie di interesse europeo.

L’elenco completo di tali reti è composto di 29 programmi, per un costo stimato di 230 miliardi di euro, il cui finanziamento può essere garantito da interventi pubblici, nazionali, comunitari e della Banca Europea degli Investimenti. Diversi programmi sono già cantierabili. La Commissione Europea ha già approvato una prima “lista d’avvio”. Occorre fare una scelta più decisa. La scelta di dare un impulso energico all’intera economia europea: dalla metalmeccanica ai cantieri navali, dalla chimica alle fibre ottiche, dalla ricerca ingegneristica a quella sui nuovi materiali e sulle macchine utensili.

Occorre, inoltre, mettere insieme le capacità di ricerca e creare quei centri di eccellenza che sono indispensabili alla scienza, alla società, all’industria del nostro continente: dalla medicina alle biotecnologie, alla chimica, alla fisica.

Parliamo qui del nostro stesso futuro, di quello delle giovani generazioni, della capacità di vincere la sfida del Consiglio di Lisbona per trasformare l’Europa nel centro di crescita più dinamico del mondo.

Noi intendiamo sviluppare una forte iniziativa su questo punto.

Un’iniziativa perché venga riconosciuto alla Commissione Europea un effettivo potere di coordinamento degli investimenti comunitari con quelli effettuati dai singoli paesi.

Un’iniziativa, in secondo luogo, per la realizzazione di un programma – concertato con la Confederazione Europea dei Sindacati e le associazioni imprenditoriali comunitarie- volto ad aumentare il tasso di occupazione, nonché a valorizzare il lavoro attraverso la formazione lungo tutto l’arco della vita e la promozione di nuove forme di organizzazione del lavoro, che socializzino le conoscenze e incoraggino i processi di apprendimento e di mobilità professionale. E superando così ogni forma di esclusione e di discriminazione nei confronti delle donne, degli anziani e dei lavoratori immigrati.

In tale quadro deve anche collocarsi una politica di adeguamento delle risorse e della struttura complessiva del bilancio comunitario. L’obiettivo deve essere quello di consentire all’Unione sia il sostegno diretto di iniziative nel campo delle infrastrutture e della ricerca, sia interventi volti a convogliare verso le direzioni prescelte le risorse nazionali, pubbliche e private. In particolare, si potrebbero utilizzare le maggiori risorse assegnate al bilancio comunitario come “strumento premiale”, per indirizzare verso i settori strategici della ricerca e della formazione le politiche di bilancio dei paesi dell’Unione.

Considerate le dimensioni ancora modeste del bilancio dell’Unione Europea, gli investimenti pubblici nazionali compatibili con una strategia di sviluppo dovrebbero essere computati in modo flessibile dalle norme del Patto di stabilità e di crescita. Inoltre, accanto ad un intervento consistente della Banca Europea per gli Investimenti, è possibile attivare un Fondo europeo degli investimenti, finanziandolo mediante un prestito federale, possibile e ragionevole in una fase di euro forte e di bassi tassi d’interesse.


L’EUROPA COME MOTORE DEL CAMBIAMENTO ECOLOGICO E SOCIALE

La realizzazione di un grande piano di sviluppo europeo non può essere dissociata da una strategia di modernizzazione ecologica dell’economia, in sintonia con le politiche di coesione sociale e territoriale. La modernizzazione ecologica dell’economia richiede, per altro verso, di affiancare all’indice sintetico del PIL altri indicatori per misurare il livello di sviluppo qualitativo e di benessere sociale di una comunità.

Il progetto di Costituzione pone la sostenibilità e l’elevato livello di tutela ambientale tra i diritti fondamentali della Comunità.

Noi siamo impegnati, in particolare, a sostenere la realizzazione del programma europeo per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile nel prossimo decennio, che prevede:

- l’integrazione delle disposizioni in materia di protezione dell’ambiente nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche di tutti i settori, compreso quello finanziario;
- la promozione di modelli di consumo e di produzione sostenibili;
- il coinvolgimento delle parti sociali e dei consumatori, e il miglioramento della collaborazione e del partenariato con le imprese;
- l’attuazione del protocollo di Kyoto, e la messa in cantiere anche di future e ben più impegnative riduzioni delle emissioni di gas inquinanti;
- la tutela del patrimonio naturale, della biodiversità e della biosicurezza, con l’applicazione del principio di precauzione anche in relazione alla questione degli organismi geneticamente modificati;
- il rafforzamento del rapporto tra tutela dell’ambiente, della salute e della qualità della vita;
- la riduzione dei consumi di risorse naturali e della produzione di rifiuti, aumentando il riciclaggio ed il recupero.

Tale programma costituisce anche un riferimento importante per le politiche ambientali e di sviluppo sostenibile dell’Italia.


UNA NUOVA FRONTIERA EUROPEA DEI DIRITTI SOCIALI E DEL LAVORO

L’edificio tradizionale di protezione sociale mostra da tempo, in Europa, chiari sintomi di crisi di fronte ai fenomeni dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento della domanda di assistenza sanitaria, delle nuove forme di flessibilità del lavoro.

Concepiti in epoche di elevata fertilità, minore speranza di vita e occupazione fordista in espansione, i vecchi schemi di protezione sociale sono afflitti da un divario tra il tradizionale catalogo di rischi tutelati e la nuova gamma di bisogni e domande sociali. Ci riferiamo, ad esempio, a una madre sola, a un lavoratore saltuario con familiari a carico, a una persona anziana non autosufficiente.

Tutto ciò determina situazioni di allarmanti iniquità, che sollecitano una riorganizzazione dei sistemi di welfare.

La visione ultraliberista di questi problemi ha permesso negli ultimi anni attacchi sempre più forti all’intervento pubblico, soprattutto nel settore previdenziale e della sanità. L’affermazione di fondo che ne emerge è che il mercato è l’unico criterio regolatore, che il metro di giudizio del benessere è il consumatore e quello dell’efficienza è l’impresa: mai il lavoratore in quanto produttore. La concezione del welfare coerente con queste premesse è quella di un intervento leggero, con una funzione esclusivamente assicurativa, mai promozionale di valori diversi da quelli del mercato.

Noi, al contrario, ci battiamo affinché a livello europeo si affermi un welfare dello “sviluppo umano”. E cioè un sistema che, pur tenendo conto dei vincoli di bilancio, tenda a realizzare per tutti i cittadini, in un’ottica universalistica, una vita dignitosa per tutti, e che, quindi, non si rivolga solo alle fasce più deboli.

Un welfare dello “sviluppo umano” deve includere pienamente i diritti dei bambini e degli adolescenti, soggetti troppo spesso dimenticati dalla politica e dalle istituzioni. Non c’è lotta efficace alle disuguaglianze, del resto, se non c’è lotta alle disuguaglianze che si formano nei primi anni di vita. Le condizioni sociali, culturali e familiari possono trasformarsi per tanti, troppi bambini e adolescenti in un destino segnato da barriere che devono essere superate mettendo in campo concrete politiche di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Gli interventi nel campo della protezione sociale sono certamente una prerogativa dei governi nazionali. Ciò non esclude, tuttavia, la necessità che l’Unione definisca le linee-guida di una politica coordinata di lotta contro la povertà, l’esclusione, la dipendenza. Parliamo di una politica coordinata volta a favorire l’inserimento di tutti i cittadini europei nella trama di base della società, offrendo loro la disponibilità di un pacchetto fondamentale di risorse: non solo in termini di reddito, ma anche di formazione, di capacità di comunicare e di avere relazioni, di assistenza sanitaria.

La riorganizzazione della spesa sociale, in secondo luogo, per noi non significa certo la sua drastica riduzione. Non si identifica con un livello di spesa il più basso possibile, compatibile solo con un minimo di coesione sociale. E ciò nel presupposto, proprio delle tesi ultraliberiste, che esiste sempre una riduzione di imposte, ad esempio di contributi sociali, che rende più efficiente il sistema.

Il welfare europeo di domani dovrà lasciare più spazio, invece, anche ad un insieme mirato di prestazioni non contributive –soprattutto sotto forma di servizi- a carico della fiscalità generale. Prestazioni volte a rispondere proprio a quei nuovi rischi e bisogni difficilmente trattabili per via contributiva, come le malattie della terza età e l’handicap psicofisico.

La stessa progressiva diminuzione dei trattamenti pensionistici e sanitari, di cui si sta discutendo e che è al centro di aspri conflitti in Italia e in altri paesi europei, non è una prospettiva ineluttabile. Un’alternativa c’è, ed è rappresentata proprio dalle politiche per l’occupazione e per l’innalzamento del tasso di attività delle donne e degli anziani indicate dal Consiglio di Lisbona. In questo quadro, è necessaria una politica di investimenti che incentivi l’adozione di nuove forme di organizzazione del lavoro, per favorire l’apprendimento e la qualificazione del lavoro, promuovere la formazione permanente delle lavoratrici e dei lavoratori, tanto nella scuola che nei luoghi di lavoro.

Anche per questa via è possibile, senza creare gravi e insopportabili ingiustizie, incentivare l’allungamento volontario della vita lavorativa. E assicurare una copertura, anche ai fini previdenziali, tanto dei periodi di disoccupazione involontaria che della durata massima delle occupazioni usuranti, nocive o pericolose, insieme a misure che penalizzino le imprese le quali ricorrono in modo discriminatorio al licenziamento dei lavoratori e delle lavoratrici ultracinquantenni.

Il rinnovamento del welfare richiede, in definitiva, un nuovo patto sociale. Tutti coloro che beneficiano dei vantaggi della flessibilità –imprese, economia, società- devono concorrere alla copertura dei suoi costi e alla protezione dei suoi rischi, connessi principalmente alla precarietà del lavoro o ad una condizione di disoccupazione. E devono, quindi, essere inseparabili da pieno riconoscimento di un diritto alla sicurezza e alla occupabilità attraverso la formazione permanente. Anche qui trova fondamento la necessità e, nel contempo, la stessa legittimazione sociale sia di una garanzia di tutela universale nel mercato del lavoro, sia di una garanzia di reddito adeguato, una volta giunti al pensionamento e nel caso di non autosufficienza.

Fa parte a pieno titolo della difesa e del rinnovamento del modello sociale europeo non solo il consolidamento e l’estensione dei diritti collettivi e individuali sanciti nel progetto di Costituzione, ma la promozione del dialogo sociale e della contrattazione collettiva tanto a livello europeo, quanto ai livelli nazionali, territoriali, aziendali. Rafforzando, quindi, le disposizioni comunitarie in materia di informazione e di consultazione preventiva dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali, nei casi di ristrutturazione e di delocalizzazione delle imprese insediate nei paesi dell’Unione.


UNO SPAZIO COMUNE DI LIBERTA’, DI SICUREZZA E DI GIUSTIZIA

Il progetto di Costituzione garantisce ai cittadini e a chi risiede nell’Unione Europea uno spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia, che siamo impegnati a difendere ed a consolidare contro tutte le manifestazioni di nazionalismo, di razzismo e di xenofobia.

Ma fino ad ora le numerose proposte avanzate dalla Commissione, come gli orientamenti assunti dal Parlamento di Strasburgo in materia di immigrazione e di asilo, sulla scorta delle decisioni del Consiglio di Tampere del 1999, si sono fermate sulla soglia dei singoli Stati membri. Essi hanno adottato soltanto le disposizioni relative all’esercizio dell’attività di repressione e di controllo, tralasciando quelle relative all’integrazione, nonchè ai diritti politici e sociali degli immigrati, soprattutto per quanto riguarda il diritto di asilo e la stessa applicazione rigorosa della Convenzione di Ginevra. Tralasciando, in particolare, l’applicazione del principio che vieta agli Stati di espellere o instradare i richiedenti asilo verso uno Stato nel quale essi rischiano la pena di morte, la tortura, la discriminazione o, comunque, la negazione dei diritti umani fondamentali.

Il nostro impegno, quindi, è per l’istituzione di una “cittadinanza europea di residenza” che preveda diritti e doveri di natura economica, sociale e politica, incluso il diritto di voto per le elezioni municipali ed europee. In particolare, chiediamo di assicurare agli stranieri residenti in uno Stato membro da almeno 5 anni -e titolari di carta di soggiorno- una piena partecipazione alla vita politica a livello locale attraverso l’elettorato attivo e passivo alla elezioni amministrative e locali.

Per noi il sostegno a quanto indicato nel progetto di Costituzione in materia di immigrazione e di asilo, in conclusione, significa:

- la realizzazione di una politica comune che garantisca la possibilità di un accesso legale ai paesi dell’Unione;
- la definizione di un pacchetto uniforme di diritti sociali, civili e politici, fra i quali, appunto, il diritto di elettorato attivo e passivo per i residenti di lunga durata;
- la negoziazione di accordi di cooperazione allo sviluppo e di partenariato con i paesi di provenienza o di transito degli immigrati;
- la gestione comune delle frontiere esterne dell’Unione, sulla base di regole e di diritti certi, e mediante la stretta cooperazione giudiziaria e di polizia nella lotta all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani.

Il progetto di Costituzione rappresenta un rilevante progresso rispetto al passato nella delimitazione di uno spazio giuridico europeo, nel presupposto che tutti gli Stati membri, pur nella diversità dei rispettivi ordinamenti, devono rispettare i diritti fondamentali delle persone. E nel presupposto che, anche attraverso un progressivo raccordo tra le legislazioni nazionali, essi devono riconoscere e dare esecuzione ai provvedimenti adottati da ogni singolo Stato.

In questo modo diventa possibile mantenere a favore dei cittadini europei che si trasferiscano da uno Stato all’altro dell’Unione i diritti precedentemente riconosciuti. In questo modo diventa possibile accelerare il coordinamento e la cooperazione degli Stati dell’Unione nell’azione di contrasto del terrorismo, della criminalità organizzata e della criminalità trasfrontaliera, con il rafforzamento di vere Agenzie europee, quali Europol e Eurojust.

Il nostro impegno per rendere operativi gli strumenti europei di salvaguardia della sicurezza dei cittadini, come il mandato all’arresto europeo, non è infatti disgiungibile da quello mirato a rafforzare le garanzie che vanno riconosciute a tutte le persone sospettate o imputate di avere commesso un delitto.


LA TUTELA DELLA LIBERTA’ E DEL PLURALISMO DELL’INFORMAZIONE

La tutela della libertà e del pluralismo dell’informazione è parte integrante di uno spazio europeo della libertà, della sicurezza e dell’uguaglianza delle opportunità, insieme al diritto alla riservatezza dei dati personali e alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato. E insieme, anche, al divieto di tutte le forme di discriminazione: non solo di quelle fondate sul sesso o sull’origine etnica e sociale, ma anche di quelle fondate sul patrimonio, sugli handicap o sugli orientamenti sessuali.

Il nostro impegno è pertanto quello di ottenere, non solo in Italia ma anche in Europa, attraverso l’adozione di orientamenti comuni, una regolamentazione dei sistemi di comunicazione più corrispondenti alle esigenze di trasparenza e di pluralismo, con particolare attenzione al conflitto di interessi di chi controlla una parte dell’informazione e, nello stesso tempo, detiene poteri e responsabilità di carattere politico e pubblico.


UN’EUROPA DI CITTADINE E DI CITTADINI

Uno spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia è impensabile senza una piena affermazione della libertà e dei diritti delle donne come diritti umani universali, e senza una redistribuzione delle responsabilità, nella società e nelle istituzioni, tra donne e uomini.

La libertà femminile e l’uguaglianza di genere costituiscono un metro fondamentale per giudicare la civiltà di un popolo, di una società, di uno Stato, della nuova Europa.

Oggi in tutti i paesi dell’Unione più donne entrano nel mercato del lavoro, ma più gravosa diventa la loro condizione per le riduzioni di spesa pubblica, per l’inadeguatezza delle politiche per l’infanzia e per la famiglia, per le disparità persistenti nelle carriere, nelle retribuzioni, nelle condizioni di lavoro.

Ecco perché una politica della piena e buona occupazione su scala europea ha come suo fulcro, insieme a una politica di invecchiamento attivo della popolazione, un innalzamento consistente del tasso d’occupazione femminile. Di un’occupazione promossa anche con l’introduzione di normative che permettano, per un verso una migliore armonizzazione tra vita familiare e vita lavorativa, tra tempi di lavoro e tempi della vita quotidiana. E, per altro verso, di riconoscere e valorizzare le competenze, i talenti, le abilità delle donne in tutti gli ambiti della vita economica e sociale.

Ma non si tratta solo di questo. C’è un vuoto di partecipazione attiva e di rappresentanza delle donne nella politica e nelle istituzioni che pone una questione democratica e di redistribuzione del potere. Questione che si rispecchia clamorosamente nella percentuale incredibilmente bassa delle elette, con l’Italia come maglia nera.

Il nostro impegno prioritario, pertanto, è quello di rimuovere tutte le barriere che mettono in discussione la libertà femminile e l’eguaglianza di genere, trasformando costumi, comportamenti, leggi, norme. E rendendo effettive l’applicazione del criterio dell’alternanza di genere nelle liste e la garanzia che le donne siano almeno un terzo delle candidate.

Ma per tutto questo occorre, soprattutto, una grande volontà politica: nel sapere scegliere le donne per farsi scegliere dalle donne.


UN PROGRAMMA COMUNE E UN PATTO DI LEGISLATURA EUROPEO
TRA LE FORZE DEL CENTROSINISTRA

Il nostro paese è di fronte a sfide grandi e molto difficili. La domanda di un nuovo ordine mondiale è ormai imperiosa. La necessità di un’Europa politicamente unita e autonoma è, anche per questo, sempre più stringente.

L’Italia rischia di restare ai margini di queste sfide. Non solo perché il governo di centro destra è passivo e subalterno in un passaggio cruciale della costruzione europea. Ma perché ci consegna un paese più diviso, più ingiusto, più debole nella competizione internazionale.

E’ sempre più chiaro che lo schieramento conservatore non è in grado di proporre e di realizzare un programma di riforme capace di arrestare e invertire il declino della compagine nazionale.

Nei mesi scorsi, con il Manifesto per l’Italia, abbiamo indicato, come contributo al programma dell’Ulivo, le scelte di cui l’Italia ha bisogno: nel lavoro e nel Mezzogiorno, nel welfare e nella scuola, nella politica industriale, nella giustizia e nella pubblica amministrazione.

Il nostro paese ha potenzialità e risorse grandi, che lo pongono in grado di essere tra le nazioni di testa dell’Europa. Ma proprio per questo lo schieramento di centrosinistra deve essere capace di valorizzare quelle potenzialità e di mettere quelle risorse al servizio di un progetto di crescita economica e civile per cui ciascuno pensi che vale la pena di spendersi.

Un progetto garante del nostro futuro. E il nostro futuro è innanzitutto l’Europa.

Con queste convinzioni i DS propongono a tutte le forze politiche oggi all’opposizione, e ai movimenti e alle associazioni delle società civile, di sottoscrivere, sulla base di un programma comune, costruito con l’apporto critico di tutti, un patto di legislatura. Patto di legislatura che impegni gli eletti del centrosinistra nel nuovo Parlamento Europeo ad adottare, in ogni circostanza, comportamenti e scelte coerenti con le linee di quel programma. E che sia la base di un processo unitario più ampio e più robusto, in Europa e in Italia.

L’Europa –e non solo nel nostro paese- ha bisogno di un centrosinistra dalle radici forti, che non sia solo una somma di partiti, ma una sintesi più alta tra le varie tradizioni e culture del campo democratico. Di un’opposizione che sia punto di incontro e di alleanza tra partiti, movimenti e forze vive della società che si battono per un alternativa di governo e per dare vita a un’Italia ed a un’Europa più giuste e più democratiche.

Noi vogliamo lavorare per tutto questo.

 


       



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