Un’amica mi scrive, ad amara conclusione di una giornata segnata da quel
senso di frustrazione che è capace di unire lembi d’Italia meglio dell’Autostrada
del Sole: «la nostra coerenza… è anacronistica... siamo reperti».
Sto per adagiarmi su quest’onda vai a capire se di rassegnazione o di sfida,
quando mi vengono in mente le parole del bambino protagonista del Montedidio
di Erri De Luca, all’ascolto del vecchio calzolaio Raffaniello: «Lui fa
coi pensieri come con le scarpe, le mette capovolte sul bancariello e le
aggiusta.» Metto dunque sul “bancariello” la nostra sensazione di
esseri anacronistici e tento di seguire l’insegnamento del calzolaio ebreo
Raffaniello, in eterna attesa di giungere alla sua Terra Promessa.
Una sera, vicino al tavolino del “Bar dell’Ulivo” della Festa dell’Unità
dove si raccoglievano le firme “per le primarie”, un amico mi aveva
puntato la domanda: «Hai firmato?» No. «Non sei per le primarie?» Mah…
Comunque ho risposto «no», un no veritiero solo nell’economia di quello
scambio di battute tra serio e faceto. Non avevo invece risposto all’ultima
domanda: «Allora sei per i partiti?», sicura com’ero e come sono che a
nessuno dei presenti, me compresa in quel momento, interessasse un accidente di
quel che penso, in generale e tanto più in particolare in questioni di
politica.
Ora voglio rispondere seriamente. Sì, in un certo senso, sono per i partiti.
Coltivo una autentica passione per il Partito come forma organizzata dell’agire,
manifestazione collettiva del pensiero. Come sublimazione di un ideale
collettivo. Sono per il Partito che non è la sommatoria degli interessi ma il
laboratorio di come «rendere compatibili i bisogni», scomodando le parole del
sindaco Corada, applicate originariamente all’arte di governare.
Con tutti i difetti che possa aver avuto e che possa avere, mi fa venire una
tristezza immensa veder trasformato il “Partito” in avversario, poco meno di
un mostro da fronteggiare. Il “Partito” non era più uno strumento efficace
della rappresentanza politica delle istanze sociali? Avanti ad inventare nuove
forme aggregative del consenso elettorale, di corsa sempre avanti dietro
le quotidiane “contingenze”, tanto di corsa che non ci si ricorda più a
quale punto si è persa di vista… la rappresentanza sociale.
Siamo stati tutti noi, quelli che hanno lasciato i partiti e/o della “politica”
non hanno voluto interessarsi, insieme a quelli che nella “politica” e nei
partiti sono rimasti a fare e, a volte, a disfare, siamo stati tutti quanti noi
a svuotare di significato il “Partito”.
I canditati per le primarie saranno individuati da “comitati” composti da
persone nelle strutture di partito saldamente installate e la cosa non mi
scandalizza affatto. Perché io sono per i partiti, per le feste di partito, per
i giornali di partito, roba d’antiquariato, insomma.
Io vorrei un Partito capace di capire - ed è questione di sensibilità -
ciò che io sento come bisogno e capace di capire - ed è questione di analisi -
ciò di cui ho effettivamente bisogno. Vorrei un Partito capace di mediare nel
governo della cosa pubblica il mio naturale egoismo di parte e vorrei un Partito
capace di propormi una persona che incarni questa “quadra”. Vorrei un
Partito capace di ascoltarmi, di parlare con me anche se sono una che conta meno
del due di picche.
Mi piace pensare alla politica come al mondo alle prese con l’integrazione.
Che non vuol dire “avere gli stessi consumi e gli stessi stili di vita ma
confrontarsi con l’altro tenendo alti i propri veri valori”. Accettando il conflitto
come fisiologica componente non disgregativa ma - come dire? - cristallizzante
della rappresentanza.
Io sono per le primarie. Dovrebbero cominciare non appena si insedia un
parlamento o un consiglio comunale e dovrebbero culminare nella successiva
campagna elettorale. Dovrebbero consistere nell’incessante campagna di ascolto
reciproco di elettori ed eletti, con la mediazione dei partiti, soggetti
organizzati e finalizzati all’elaborazione e alla proposta.
Un sentito ringraziamento al calzolaio Raffaniello di Montedidio. Il suo “bancariello”
è miracoloso. Essere in minoranza non è uguale a essere perdenti.
Teréz Marosi