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15 Settembre, 2002
Liberalizzare le intercettazioni e pubblicarle dappertutto
Una bella riflessione di Ilvio Diamanti, da La Repubblica del 15 giugno 2007

Cresce la richiesta di regolare, per non dire contrastare e fermare le intercettazioni. E, soprattutto, la loro divulgazione. Ci pare, sinceramente, difficile. A prescindere che si tratti di una pretesa legittima e giusta.

Però ci sembra impossibile sfidare le leggi del mercato. Lo tsunami mediatico. L'intercettazione telefonica: è un genere di successo. Ha travolto, ormai, la concorrenza dei telesalotti, dei reality e della fiction. Perché li attraversa e li contamina tutti. Questa reality fiction interpretata dai protagonisti della "Casta". Politici, imprenditori, calciatori, giornalisti. E poi veline, procuratori, banchieri, arbitri e sovrani decaduti. Le loro confessioni, le loro pulsioni, le loro debolezze. Tutto raccolto e svelato, con il linguaggio pittoresco e crudo della vita quotidiana, da agenti dei servizi, dalla security di grandi gestori della telefonia mobile. I quali, oltre a intercettare le comunicazioni altrui, già che ci sono, si intercettano reciprocamente. Così, per cautela. Visto che nessuno di loro sarebbe disposto a fidarsi neppure di se stesso.

Nascono così i prodotti mediatici di maggiore successo delle ultime stagioni. Vallettopoli, Moggiopoli, Calciopoli. E ancora: Unipol (Unìpoli?). Veri format multimediali. Normalmente anticipati dal "lancio", affidato a un giornale ben "inserito" nel circuito delle indagini (telefoniche-giudiziarie- investigative).

Uno spezzone di dialogo che serve a incuriosire il pubblico. A stuzzicare il voyeurismo collettivo. E mobilitare tutti i media alla ricerca del "dipiù". La battuta volgare, il personaggio potente ancora dissimulato nei "sidice". Il politico che frequenta o semplicemente scruta donnine e trans. Quello che, si mormora, tira coca nello Yacht affollato da ragazze coccodé.

Poi, dopo i trailer, arrivano le intercettazioni vere. Dilagano. A onde. Sfondano ogni diga. Riempiono pagine intere di giornale. Come un inserto fisso.

Tracimano in tivù. E passano da un talk show a un salotto a una trasmissione di approfondimento. Da Porta a porta a Matrix. Da Ballarò a Santorò. Alla "Vita in diretta". Dove vengono cucinate e trattate come sceneggiati. Veri. Reality fiction. Le foto dei protagonisti sullo sfondo. I fumetti e le voci di doppiatori verosimili. Tra parole e tanti bip. Il successo, come sempre, spinge all'imitazione e alla riproduzione. Così, arrivano i sequel. Dopo Calciopoli 2, è il turno, in questi giorni, di Unipol 2: Finanza rossa alla riscossa. In un clima di crescente riluttanza, negli ambienti politici e istituzionali. Fra dichiarazioni di sdegno e di spregio, verso un operazione che suscita sfiducia.

Apre nuove fratture: fra destra e sinistra. Ma soprattutto dentro la sinistra.

E tra la classe politica e i cittadini. I quali, tuttavia, si sono adattati a questo "genere". Spesso, sfugge loro il significato delle vicende. Non sempre capiscono, con precisione, di che si tratti. Però, vedono comparire - sempre- i personaggi di sempre. Intercambiabili. I quali, per questo, appaiono loro personaggi della stessa rappresentazione, che recitano a soggetto nel medesimo spettacolo. Moggi, Fassino, Ricucci, lelemora, D'Alema, Corona, Fazio (Antonio), Yespica (Aida), Grillo (Luigi), Abete, De Santis, Fiorani, La Torre, Consorte. Mentre qui e là echeggiano i nomi di Berlusconi e di Prodi.

"Gramsci e Ricucci, anche in tempi di eclettismo, non possono stare insieme", ha annotato, in modo icastico e tagliente, Ezio Mauro, di fronte ai fumi esalati da Unipol 2. Il fatto è che è già avvenuto. Magari non per Gramsci, che, in carcere, non disponeva di telefonini. Però questo blob di personaggi di diversi mondi e ambienti, politici e artisti, avventurieri e finanzieri, imprenditori e veline; e questo accavallarsi di vicende, linguaggi, bip, soldi, banche e poteri piccoli, medi e forti. Ha già prodotto l'esito di rendere tutto e tutti inestricabili e indistinguibili. Una specialità coltivata, fino ad oggi, da Dagospia e fruita dagli addetti ai lavori, ha ormai scavalcato ogni confine. Più che dell'antipolitica, si potrebbe parlare dell'apolitica. A cui diventa difficile credere. Per cui si stenta a provar passione. Neppure se si è adulti, militanti e fedeli.

Per questo, i progetti e le iniziative per riformare le intercettazioni e la divulgazione delle stesse ci sembrano di difficile attuazione. Come fermare il campionato di football dopo calciopoli. Non si ferma un prodotto di successo, tanto popolare. Un consumo di massa. E poi, chi li inibisce i sistemi di intercettazione? In questa società dove tutti parlano al telefonino, tutti sono intercettabili. Ascoltabili. Più facile, forse, riformare la politica. Tirare una riga e chiudere con i protagonisti di oggi. Figurarsi. Proposizione velleitaria, prima ancora che ingiusta (forse).

Allora, meglio eliminare la distanza che distingue il pubblico dal privato. Abolire la sfera privata dell'uomo pubblico. Non più ribalta e retroscena. Ma sempre tutti in scena. Meglio liberalizzare le intercettazioni e la possibilità di divulgarle (tanto avverrebbe lo stesso). Sappiano tutti, gli uomini pubblici, che non dispongono di privato. E si comportino di conseguenza. Alla luce del sole. Come in uno studio tivù. Parlino sapendo di essere ascoltati. Come in piazza. O in una stanza disseminata di cimici e altri orecchi privati.

Per soddisfare la società spiona; per moralizzare il comportamento e il linguaggio dell'uomo pubblico. Lo si privi del privato.

 


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