15 Settembre, 2002
Fejtö passeggero del secolo
Morto l'intellettuale mitteleuropeo che sollevò il velo sui Paesi dell'Est
Raccomandiamo la lettura del il libro-intervista di Maurizio Serra a François Fejtö: "Il passeggero del secolo "(Sellerio editore), da cui l'articolo prende il titolo.
La Redazione di Welfare Cremona
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La Stampa, 3 giugno 2008
STORICO E GIORNALISTA
Fejtö passeggero del secolo
Morto l'intellettuale mitteleuropeo che sollevò il velo sui Paesi dell'Est
DOMENICO QUIRICO
CORRISPONDENTE DE LA STAMPA DA PARIGI
Quando arrivò la notizia che a Sarajevo uno studente serbo aveva
ucciso l'arciduca Francesco Ferdinando e contemporaneamente la
vecchia Europa del valzer e dell'idea del progresso, François Fejtö
aveva cinque anni. Era, per lui, quell'agosto già così denso di
ultimatum e di cannoni il mese bello della vacanza sulla spiaggia di
Fiume, nella grande casa neorinascimentale che apparteneva alla
famiglia di sua madre. Si parlava a tavola, obbligatoriamente, il
tedesco, lingua della grande borghesia ungherese; all'indispensabile
francese, il latino della Mitteleuropa, provvedeva già una
governante. La vacanza finì bruscamente con quel telegramma che
richiamava a Budapest il padre. E con la vacanza appassì una storia,
una società, una cultura.
Era il mondo che questo - come lo chiamava il suo grande amico Edgar
Morin - «meticcio culturale», scomparso ieri a 98 anni, non ha mai
davvero lasciato. La sua Austria-Ungheria non era la prigione dei
popoli. Semmai una grande famiglia promiscua e turbolenta, dove le
classi alte passavano le frontiere senza passaporti in una sorta di
Schengen del galateo e italiani, croati, sloveni e austriaci cugini
bisbetici ma con cui alla fine si poteva trovare una intesa. Il
deprecato Cecco Beppe riassumeva sotto l'ermellino la condannata
grandezza di una idea-mito e il ricordo di una antica dolcezza di
vivere. Era un padre sotto i cui occhi già velati da un sonno simile
alla morte i figli ballavano l'ultimo valzer aspettando con golosa
impazienza di morire nel fango di una trincea.
Ebreo, poi cristiano, poi laico, comunista convertito all'impegno con
la buona stoffa di Aron, ungherese diventato francese nel passaporto
ma soprattutto nell'animo e nella lucidità intellettuale: ecco questo
straordinario passeggero del secolo. Non aveva alcuna nostalgia per
l'antico regime austroungarico; ne rimpiangeva semmai la stabilità
che, infranta, ha lasciato spazio al nazismo con i suoi feroci
vassalli e poi al comunismo e ai suoi zelanti pascià fratelli. Fu
appunto nel regime un po' folcloristico di Horthy, «ammiraglio senza
flotta di un paese senza mare», che Fejtö si avvicinò al comunismo e
poi ne uscì cicatrizzato. La rivista che dirigeva in quegli anni già
con spirito scomodo era al contempo antistalinista e antifascista,
pubblicava come antidoti Sartre, Mounier e Maritain. L'ammiraglio non
fu così sottile nei distinguo, gli inflisse un anno di galera prima
che trovasse rifugio in Francia.
Nel 1938 a Parigi incontrò un amico di Budapest, Lazlo Rajk, che
invece era rimasto comunista. Un giorno gli mostrò un dossier dei
nefandi processi di Mosca. Rajk gli diede un'occhiata
distratta: «Lasciami in pace. È robaccia trockista!». Dieci anni
dopo, quell'uomo diventato ministro dell'Interno dell'Ungheria
comunista fu condannato a morte per «trockismo e titoismo». Fejtö che
lavorava alla France Presse, scoperchiò, documento su documento, per
la prima volta il ghigno annichilatore del «sistema». Ma per
pubblicarli su Esprit dovette lottare anche con un esitante Mounier.
Il suo criterio nel scegliere tra gli uomini era il rigore, l'onestà.
Per questo detestava Julien Benda che aveva inventato il tradimento
dei chierici, ma nel 1949 aveva applaudito la scoperta
del «complotto» di Rajk; o dall'altro lato André Malraux che dopo
aver letto la biografia di Stalin scritta da Souvarin aveva
commentato: «Voi avete ragione, ma sarò al vostro fianco solo quando
sarete i più forti».
La sua Storia delle democrazie popolari (tradotta da Bompiani nel
1977), summa del dedalico impero comunista, gli procurò l'ostilità
anche di Sartre. Il filosofo rifiutò di leggere il libro dichiarando
che gli bastava, per giudicare, sapere che l'autore collaborava con
il destrorso Figaro. Le sue relazioni sull'Est erano resoconti con la
precisione lapidaria di un assegno bancario. Sapeva sempre trovare la
via più breve per percorrere qualunque labirinto. Guardava, negli
ultimi anni, al «secolo americano» con lo stessa disincantata
lucidità che aveva riservato all'Est, deplorando che la sola
mobilitazione fosse quella per i Mondiali di calcio e per Lady D. Nel
1949 aveva giurato che non avrebbe mai più rimesso piede in Ungheria
fino a quando non avesse ritrovato la libertà. Infatti attese il
1989, quando ci fu la riparazione dei funerali di Stato per Nagy,
eroe sfortunato della «rivoluzione» del 1956. Ma anche allora
ripeté: «Non è alla mia età che si può cominciare una nuova vita». La
sua unica, deliziosa bugia.
 
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