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15 Settembre, 2002
Il Consiglio provinciale ricorda l'attentato alle Twin Towers
Corada 'se crediamo che terrorismo e violenza vadano sconfitti abbiamo bisogno di più politica, di più cultura, di più democrazia e di individuare vie praticabili per portare a soluzione i drammi che travagliano l’umanità'. Un minuto di silenzio.

Domani cade il secondo anniversario dell’attentato terroristico alla Torri Gemelle di New York.
In quell’occasione - l'11 settembre del 2001 - si scatenò una violenza terroristica inaudita, terribile, portata al cuore degli Stati Uniti d’America. A nome dell’intera nostra comunità provinciale rinnoviamo oggi, a due anni di distanza, al popolo ed al Governo statunitense, sentimenti di vicinanza e di cordoglio.
In noi ed in tutti i cittadini prevale,anche a due anni di distanza, un pesante sentimento di angoscia. Si è giunti a colpire al cuore la più grande potenza militare ed economica del mondo.
Quando si colpisce lì, quando si colpisce in questo modo, si colpisce tutti. E’ il mondo intero che diventa obbiettivo e vittima. Quando si arriva a colpire nel cuore di New York e quando si giunge a colpire il Pentagono, è come dire che – da quel momento – tutto è possibile, nessun obiettivo è al riparo. E dunque si vuole spandere a piene mani, sul mondo intero, il terrore, la paura. Si vuole imporre al mondo la parola delle armi, costringere al silenzio la politica, la diplomazia, l’umanità.
L’obiettivo del terrorismo internazionale, di “questo” terrorismo internazionale, era ed è tutto politico: abbattere ogni volontà di dialogo, ridurre ogni spazio di mediazione. Sconfiggere la capacità di parlarsi, di comprendersi, di capirsi propria dell’umanità.
Noi, uomini e donne di questo secolo e di questa terra, non dobbiamo abdicare al nostro dovere: è nostro obbligo far prevalere la convivenza civile e pacifica, sconfiggere la violenza, combattere il terrore. Avendo ben presente che la risposta militare non basta. Non può bastare. Ce lo dimostrano la storia e la cronaca di questi due anni. La risposta che venne data – con l’intervento in Afghanistan – pur essendo portata da un vasto fronte politico ed istituzionale internazionale, già dava il segno della insufficienza se, come in parte fu, si fosse limitata all’aspetto militare.
Più ancora l’intervento in Iraq è lì, tutto intero, a dimostrare, oggi, quanto insufficiente, limitata e, spesso, controproducente possa rivelarsi una risposta che poggi solo o soprattutto sulla ragione delle armi.
Badate bene: quando si riveli come necessario, non va abbassata la guardia da questo punto di vista, e va fatto il possibile per prevenire, per combattere, per reprimere. Ma tutto ciò non basta più. Non può bastare. Questo ci dicevano gli attentati del 2001. Questo ci dice l’esperienza dei due anni trascorsi.
Una nuova, grande, immensa responsabilità grava sulle spalle dei popoli del mondo e dei loro governanti. Sconfiggere la paura, ridare fiducia nel futuro, significa potere e sapere costruire una sicurezza mondiale che faccia fondamento sulla capacità di prevenire i conflitti, di disinnescarne le potenzialità negative per tempo, isolando sempre di più concretamente, culturalmente, socialmente e politicamente il terrorismo ed ogni fondamentalismo. Allargando sempre di più il numero dei cittadini, delle istituzioni, dei movimenti del mondo che fanno propria la convinzione e la necessità di lottare contro ogni fanatismo.
Ciò che occorre al mondo sono soluzioni politiche, nei loro diversi aspetti: istituzionali, di movimento, diplomatici, culturali, civili.
Nessuna comprensione, nessun ammiccamento, condanna radicale, di fondo, senza alcun tentennamento nei confronti del terrore. Gli Stati che “civettano” con i terroristi vanno messi al bando della Comunità civile. E nello stesso tempo occorre capire il mondo. Occorre riflettere, ad esempio, sulla profonda, quasi viscerale, carica di odio di massa che tutti – nessuno escluso – abbiamo lasciato accumulare nel vicino oriente, e che in queste ore rischia ancora di più di incancrenirsi e divenire insuperabile, con la tragedia di popoli interi che si trascina da decenni, con bimbi, ragazzi, giovani adulti, uomini e donne che, nella propria vita, non hanno avuto la possibilità di conoscere che guerra, violenza, soprusi. Situazioni alle quali la comunità internazionale non ha saputo offrire soluzione politiche praticabili.
Situazioni per le quali sarebbe miope non vedere il rischio di cancrena. E non solo lì, in quella zona del mondo, nel vicino oriente, la situazione rischia di divenire davvero ingovernabile e senza futuro. E’ una situazione che rischia di allargarsi, di coinvolgere plaghe estese, popoli, intere etnie. E’ in quelle situazioni – come non vederlo – che attecchisce facilmente e fa proseliti il fanatismo, l’estremismo disperato. E’ un fanatismo micidiale: che si impadronisce di menti, di coscienze umane e le trasforma in armi distruttive. Che trasforma uomini e donne, che li convince ad uccidersi per uccidere! Lo dicevamo all’indomani del Torre Gemelle, non possiamo che ripeterlo, oggi: è l’uomo l’arma più micidiale che ci sia. L’uomo che si fanatizza, l’uomo che pur di mandare a morte altri uomini – migliaia di altri uomini – è disposto a mandare a morte anche se stesso.
Tutto ciò fa paura. Come non vederlo? E tutto ciò può indurre la ricerca di facili scorciatoie, individuando la soluzione nell’isolamento, nella fuga dall’impegno, nella chiusura del mondo occidentale come in una fortezza assediata.
Ed invece è in momenti come questo che c’è più bisogno di coraggio e di partecipazione, di lucida lettura degli accadimenti e di capacità di risposta. Se vogliamo che tacciano le armi, se crediamo che terrorismo e violenza vadano sconfitti abbiamo bisogno di più politica, di più cultura, di più democrazia e di individuare vie praticabili per portare a soluzione i drammi che travagliano l’umanità.
E’ nella fame, nella miseria, nelle ingiustizie che può radicarsi il fanatismo ed il terrorismo. E’ una bomba latente che dobbiamo saper guardare negli occhi, affrontare con spirito unitario e solidale, con la voglia vera di costruire soluzioni credibili.
Per questo c’è bisogno di un rinnovato ruolo delle istituzioni internazionali: un’Organizzazione delle Nazioni Unite rinnovata, il cui prestigio deve essere ristabilito, la cui capacità di intervento deve essere ripristinata; un’Europa che sappia davvero divenire soggetto politico ed istituzionale unitario, che sappia riprendersi un ruolo di peso sullo scacchiere internazionale. Portatrice di una politica di pace, di libertà, di democrazia. In un rapporto di amicizia e di alleanza con gli Stati Uniti, che – per essere tale – rifugge dalla piaggeria provinciale e dalla sudditanza.
Uniti, coscienti, consapevoli, solidali, gli uomini e le donne di questo Paese e del mondo – dando vita a quella che è stata definita la nuova superpotenza mondiale: l’opinione pubblica del pianeta - potranno imporre la pace, la giustizia ed il diritto a tutti coloro che vorrebbero imporre al mondo il potere delle armi e della violenza.
Cremona, Consiglio Provinciale 10 settembre 2003
Gian Carlo Corada

 


       



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