15 Settembre, 2002
44°Rapporto Censis. Un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio ( di Gian Carlo Storti)
Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come la società italiana sembra franare verso il basso
44°Rapporto Censis. Un inconscio collettivo
senza più legge, né desiderio ( note di Gian
Carlo Storti)
Le Considerazioni generali introducono il
Rapporto sottolineando come la società italiana
sembra franare verso il basso sotto un’onda
di pulsioni sregolate
Giunto alla 44a edizione, il Rapporto Censis
interpreta i più significativi fenomeni socio-economici
del Paese in una confusa congiuntura.
“Le Considerazioni generali introducono il
Rapporto sottolineando come la società italiana
sembra franare verso il basso sotto un’onda
di pulsioni sregolate. L’inconscio collettivo
appare senza più legge, né desiderio.
E viene meno la fiducia nelle lunghe derive
e nella efficacia della classe dirigente.
Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria
per riattivare la dinamica di una società
troppo appagata e appiattita”
Questa è la radiografia di un paese un evidenti
difficoltà. Un paese piatto senza motivazioni.
Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria
per riattivare le dinamiche sociali
Abbiamo resistito. Abbiamo resistito ai mesi
più drammatici della crisi, seppure con una
«evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni
occupazionali».
Esaminerò in particolare due capitoli del
rapporto. Il sistema del welfare ed il capitolo
sul lavoro.
IL SITEMA DEL WELFARE
Il volontariato come pilastro della comunità.
Più del 26% degli italiani dichiara di svolgere
un’attività di volontariato. La scelta di
fare volontariato è molto più radicata tra
i giovani (più del 34%), rimane elevata tra
i 30-44enni (più del 29%), per poi calare
al 23% tra i 45-64enni e al 20,3% tra gli
anziani.
È all’interno di realtà organizzate che circa
tre quarti dei volontari svolgono il proprio
impegno, e di questi la maggioranza (54,5%)
lo fa all’interno di una specifica organizzazione,
mentre poco meno del 10% lo fa in più di
una struttura.
Riguardo alle motivazioni, oltre il 38% dei
volontari dichiara di svolgere attività di
volontariato perché vuole fare qualcosa per
gli altri, mentre il 27,3% richiama ragioni
etiche, ideali. Un plebiscitario 97% valuta
positivamente l’attività di volontariato
in cui è impegnato: il 59% perché fa una
cosa alla quale crede nel profondo ed è gratificante,
il 38% perché è convinto di incidere positivamente
sulla vita delle persone, in particolare
quelle che hanno più bisogno. Ospedali, case
di cura, strutture sanitarie (69%), case
di riposo, comunità alloggio, presidi socio-assistenziali
di vario tipo (54,3%), poi le varie forme
di assistenza a domicilio per anziani e non
autosufficienti (39,9%): sono questi i tre
settori in cui i cittadini constatano una
maggiore presenza di volontari nelle comunità
in cui vivono.
Povertà
Anche sul terreno della lotta alla povertà
le valutazioni degli italiani non sono positive.
Il 59% dichiara che gli interventi finalizzati
a migliorare la condizione dei poveri non
stanno avendo un particolare impatto, il
21% sostiene che addirittura stanno peggiorando
le cose e solo il 10% parla di un impatto
positivo. Nella media europea il 64% dei
cittadini ritiene neutro l’impatto delle
politiche contro la povertà, il 10% negativo
e il 18% positivo. Molto più alte le quote
di cittadini che valutano positivamente gli
impatti delle politiche contro la povertà
in Svezia (45%), Paesi Bassi (26%), Regno
Unito (18%) e Germania (15%).
Né pensionati, né occupati: la trappola dei
lavoratori anziani.
L’età media di effettivo pensionamento nel
nostro Paese è di 60,8 anni per gli uomini
e 60,7 anni per le donne. Sono dati che (fatta
salva la Francia, dove l’età media di uscita
dal mercato del lavoro è di 59,4 anni per
gli uomini e 59,1 anni per le donne) rendono
il nostro Paese quello con la più bassa età
di pensionamento effettivo rispetto alla
gran parte dei Paesi europei.
Attualmente ben il 52% degli italiani è convinto
che ci sono molte persone che vanno in pensione
troppo presto. Questo dato è superiore a
quello medio europeo (pari al 43%) e a quello
di Paesi come Regno Unito (32%), Olanda (34%)
e Germania (42%). Nel nostro Paese lavorare
più a lungo sta diventando sempre più importante
anche per sostenere il proprio tenore di
vita. Il 28% degli italiani è molto preoccupato
e il 40% abbastanza preoccupato per il fatto
che il proprio reddito in vecchiaia sarà
insufficiente a garantire un livello dignitoso
di vita. I due dati sono superiori ai valori
medi europei, pari rispettivamente al 20%
per le persone molto preoccupate e al 34%
per quelle abbastanza preoccupate.
Il 21% degli italiani di età superiore a
18 anni è convinto che sarà costretto ad
andare in pensione più tardi rispetto all’età
di pensionamento pianificata, il 20% pensa
che dovrà provare a risparmiare di più per
quando sarà in pensione, il 19% ritiene che
la propria pensione sarà d’importo inferiore
a quanto si aspetta.
Le nuove frontiere del consumo farmaceutico
La dinamica di lungo periodo dei consumi
farmaceutici mostra un costante aumento dei
consumi complessivi in termini di dosi e
confezioni, a fronte di un aumento molto
contenuto della spesa totale. Quella a carico
del Ssn (convenzionata) e quella privata
(a carico dei cittadini) hanno andamenti
di segno opposto: dal 2001 la prima è rimasta
sostanzialmente stabile (quasi 11,2 miliardi
di euro nel 2009), mentre la spesa privata
fa osservare un aumento continuo (fino a
superare i 7,9 miliardi di euro). Nell’anno
in cui la crisi ha fatto sentire i suoi effetti
sulle famiglie italiane, circa la metà ha
dichiarato che la spesa per la salute è molto
(11,4%), abbastanza (28,2%) o un po’ (8,3%)
aumentata, mentre il 53,3% ha indicato di
aver intensificato nel 2009 il ricorso ai
farmaci generici con l’obiettivo di risparmiare.
La disabilità invisibile.
La dimensione sociale prevalente della disabilità
è l’invisibilità, o quanto meno una visibilità
distorta, che si allinea con il crescente
arretramento delle politiche per le persone
disabili. Secondo la recente stima del Censis,
si tratta complessivamente di 4,1 milioni
di persone, pari al 6,7% della popolazione,
con cui gli italiani mostrano di relazionarsi
con difficoltà. La maggioranza degli italiani
(il 66%) ritiene che le persone con disabilità
intellettiva siano accettate solo a parole,
ma che nei fatti vengano spesso emarginate,
mentre il 23,3% condivide un’opinione più
negativa: la disabilità mentale fa paura
e queste persone si ritrovano quasi sempre
discriminate e sole.
LAVORO
Allarme giovani.
La crisi ha scaricato i suoi effetti su una
sola componente del mercato del lavoro, quella
giovanile. Nel 2009 tra gli occupati di 15-34
anni si sono persi circa 485.000 posti di
lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri
del 2010 se ne sono bruciati quasi altri
400.000 (-5,9%). Di contro, se si esclude
la fascia immediatamente successiva, dei
35-44enni, dove pure si è registrato un decremento
del livello di occupazione (-1,1% tra il
2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti
gli altri segmenti generazionali, non solo
l’occupazione ha tenuto, ma è risultata addirittura
in crescita: è aumentata di 85.000 unità
tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009)
e di oltre 100.000 tra gli over 55 (+3,7%).
I primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per
i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare
nella stessa direzione. Tra le ragioni che
hanno visto così penalizzata la componente
giovanile del lavoro vi è il loro maggiore
coinvolgimento nei fenomeni di flessibilità:
tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro
a tempo indeterminato, si è registrata una
fortissima contrazione sia del lavoro a progetto
(-14,9%), sia del lavoro temporaneo (-7,3%).
Lavoro in proprio cercasi.
Nell’ultimo decennio, a fronte di una crescita
del lavoro dipendente di 2.406.000 unità
(+16,2% tra il 1999 e il 2009), i lavoratori
autonomi sono diminuiti di circa 200.000
unità (-3,8%), portando la loro incidenza
sul totale degli occupati dal 26,6% al 24,5%.
Tra le diverse tipologie di lavoro autonomo,
ad essere più in crisi è quella imprenditoriale.
Tra il 2004 e il 2009, il numero di imprenditori
è passato da 400.000 circa a 260.000, cioè
140.000 in meno (-35,1%). Il lavoro libero professionale
ha registrato una piccola crescita (+2,2%),
mentre i lavoratori in proprio (piccoli artigiani
e commercianti) hanno visto indebolite le
loro fila di oltre 90.000 occupati (-2,5%).
Sono soprattutto i giovani a cimentarsi di
meno nell’attività in proprio
L’anno zero della contrattazione.
La maggioranza degli italiani sembra ormai
convinta che la crescita di competitività
di cui il sistema-Paese ha bisogno non possa
avvenire senza un surplus di impegno da parte
di tutti. Circa l’80% si dichiara d’accordo
sul fatto che la retribuzione dei lavoratori
dovrebbe essere collegata per una quota significativa
alla produttività individuale. Una delle
strade da percorrere è il rilancio della
contrattazione decentrata.
Il nodo del lavoro terziario.
Nell’ultimo decennio il terziario è stato,
assieme alle costruzioni, il settore che
più ha contribuito all’aumento della forza
occupazionale del Paese, con la creazione
di 2,2 milioni di nuovi posti di lavoro tra
il 1999 e il 2009. Si sono così colmate le
perdite registrate nell’agricoltura (-150.000
unità circa) e nell’industria (-280.000 lavoratori).
La capacità di crescita del terziario si
è andata però progressivamente esaurendo:
il contributo alla creazione di nuova occupazione
è passato da 1,3 milioni nel quinquennio
1999-2004 a 890.000 nel quinquennio 2004-2009. L’andamento
negativo dell’ultimo anno (-0,8% tra il 2008
e il 2009), non controbilanciato da una ripresa
nell’anno in corso (al secondo trimestre
del 2010 i dati evidenziano una tendenziale
stagnazione), sembra confermare i segnali
già emersi
La tenace resistenza delle donne.
L’occupazione femminile sembra resistere
meglio di quella maschile. Tra il 2008 e
il 2009 sono stati gli uomini a registrare
i maggiori contraccolpi della crisi, con
una perdita secca di 274.000 occupati (-2%).
Anche le donne hanno visto ridurre la propria
partecipazione al lavoro, ma in misura meno
drammatica: sono stati bruciati 105.000 posti
di lavoro femminili, con un calo netto dell’1,1
La sicurezza che ancora non c’è.
Il caso di colf e badanti. Il 44,3% dei collaboratori
domestici ha avuto almeno un incidente sul
lavoro nell’ultimo anno, l’11,3% addirittura
più di uno. Secondo l’indagine del Censis,
si tratta di incidenti che nella maggior
parte dei casi non comportano alcun tipo
di inabilità al lavoro (48,6%), né l’esigenza
di assentarsi (71,5%). Tuttavia, una quota
non trascurabile di infortuni (il 28,5%),
oltre a produrre effetti sulla salute di
colf e badanti, condiziona il proseguimento
dell’attività comportando l’assenza dal lavoro
per inabilità: nel 18,8% dei casi superiore
a tre giorni, nell’11,9% superiore a una
settimana. Bruciature (18,7%), scivolate
(16,1%), cadute dalle scale (12,2%) sono
gli incidenti più frequenti tra colf e badanti.
Ma la casistica appare ampia, con casi frequenti
di ferite prodotte dall’utilizzo di coltelli
o elettrodomestici (8,6%), strappi e contusioni
da sollevamento (7,6%), intossicazioni con
prodotti per pulire (4,2%), scosse elettriche
(3,6%). I lavoratori domestici si rivelano
poco attenti al problema
Appunti a cura di Gian Carlo Storti
Cremona 15.12.2010
Per saperne di più vai sul sito Cencis http://www.censis.it/22
 
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