15 Settembre, 2002
Il vento xenofobo e le colpe della sinistra (di Adriano Sofri su repubblica.it)
Mi hanno raccontato di un giovane padre il cui bambino ha paura
Mi hanno raccontato di un giovane padre il cui bambino ha paura
dell'uomo nero. Il padre gli ha detto che non risulta a sua memoria
un solo caso di uomo nero, gli ha fatto vedere le statistiche:
niente, il bambino ha ancora paura. Chi non s'intenerirebbe a un
bambino spaventato dall'uomo nero?
Purché una popolazione di milioni di adulti non pretenda di fare
tenerezza anche lei. La xenofobia, si dice, è la paura del diverso,
dunque è qualcosa di naturale. Chi non prova un'apprensione, una
diffidenza, un' angoscia nei confronti dello sconosciuto? Mah: non ci
si crogioli troppo con le etimologie. La xenofobia è anche
l'invenzione del diverso, e il disprezzo, l'avversione e la
persecuzione del diverso. È a un passo dal razzismo, e spesso quel
passo l'ha fatto. Gli italiani non sono xenofobi, non sono razzisti?
Ah, Padre, non metterci alla prova, non indurci in tentazione. Nel
dizionario dei nostri luoghi correnti gli zingari sono associati da
sempre al fuoco, al lanciafiamme, ai forni. Figurarsi quando
incenerire rifiuti urbani non si può, rifiuti umani magari sì. Tutto
in ordine: un commissario speciale ai rifiuti urbani, uno agli umani.
Speriamo che qualcuno segua la vicenda della ragazza accusata di
voler rubare una bambina a Ponticelli, fino a venirne a capo. Come
spiega il padre sull'uomo nero, abbiamo statistiche inesorabili che
non contemplano bambini rapiti da zingari: da altri italiani sì.
I sondaggi freschi danno i "musulmani" retrocessi al quarto posto,
dopo zingari, albanesi e romeni (è già tanto che distinguano fra rom
e romeni). Ah, popolo fanciullescamente volubile: abbiamo già
declassato, per il momento, lo scontro di civiltà. Davvero, dobbiamo
preoccuparci di evocare a vanvera l'antisemitismo dell'infanticidio
rituale, la memoria dei pogrom? Mah: direi che sono altre le parole
che andrebbero risciacquate: sicurezza, per esempio, sinistra, per
esempio. O intere locuzioni, che non si ascoltano più senza ridere:
radicarsi nel territorio, per esempio. La Lega ha messo tutti in
soggezione grazie alla sua prova di Radicamento nel Territorio. Ma in
una classifica neutrale della materia c'erano, sia detto senza
offesa, modelli più rigogliosi, non so, Hamas, radicata nella
striscia di Gaza, la camorra, la mafia, la `ndrangheta. Perfino la
democrazia, obbligata a ratificare gli esiti elettorali del
radicamento nel territorio, conosce le sue eccezioni, come negli
scioglimenti prefettizi di amministrazioni comunali dove si esagera
col radicamento. Ci sono posti nei quali viene da augurarsi un certo
sradicamento dal territorio: guardate Roberto Saviano, che ha scavato
così a fondo alla ricerca delle radici da dover vivere altrove,
invidiato, minacciato e braccato. La Lega, quando si proclamò padana,
dichiarò stranieri tutti gli altri.
Non è piacevole dirlo, ma il succo delle elezioni sta in
un'espulsione, un rigetto della classe politica di centrosinistra
dalla pancia del paese. Un caso di rocambolesca xenofobia. Del resto
la posta ultima della lotta politica fu dall'antico questa: l'esilio
degli altri. Bisogna pensarci, quando si pronuncia la frase
celebre: «Io me ne vado all'estero». Non lo prendete troppo per un
paradosso. Un segnale lo dava il linguaggio, che trattava
all'ingrosso da clandestini migranti stranieri e politica di
centrosinistra: «Rimandiamoli a casa» e vaffanculo. Nel caso di
Veltroni, più precisamente: «Rimandiamolo in Africa». Così disse
Berlusconi, e questo fa somigliare la sbandierata cordialità del suo
dialogo attuale a una pratica di diplomazia estera. Lo ridico: non
prendetelo per uno scherzo. Il centrodestra non ha fatto granché, nel
biennio fra le due elezioni, per meritare il suo trionfo. Ha fatto
tutto la coalizione di governo, compresa la sua componente che fa le
veci della destra, che si trattasse, all'interno della maggioranza,
di guidare una crociata sull'indulto (sicché il centrodestra
beneficiò doppiamente dell'indulto, per le modalità convenienti che
aveva dettato, e per il ripudio popolare del governo) o che si
tratti, all'interno dell'opposizione, di rivendicare la
trasformazione dell'immigrazione "clandestina"in reato penale, come
vuole Di Pietro, forte di quaranta parlamentari graziosamente
regalati da un Pd sulla cui groppa piantare banderillas quotidiane.
Quel che resta del centrosinistra deve chiedersi come mai sia stato
solo lui il bersaglio colpito dal giustizialismo allevato in seno,
dalla cosiddetta antipolitica, dalla stessa travolgente denuncia
della Casta. Il rigetto pressoché viscerale, esistenziale, della
classe dirigente di sinistra si è manifestato con la stessa
insofferenza animalesca che prorompe contro gli "stranieri". Quella
classe politica, alla maggioranza degli italiani, ha finito per
apparire come un corpo estraneo, da espellere, sul quale sfogarsi e
trarre vendetta. Come è potuto succedere? Rispondere, farebbe fare un
passo avanti. Ci sono due ordini di questioni. Uno fornisce una
piccola consolazione alla disfatta della sinistra, ed è l'argomento
della moneta cattiva che scacciala buona. L'altro condanna la
sinistra (tutte le sinistre, dal centro all'estrema) a riconoscersi
in un'immagine sfigurata. La questione, realissima e poi metaforica,
della xenofobia è per ambedue quella dirimente.
La moneta buona. Tanti anni fa, facendo tesoro di una complicazione
come quella sudtirolese-alto atesina (luogo di frontiera, crogiolo di
nazionalità e minoranze e lingue, deposito storico di contese
acerrime) Alex Langer e i suoi perseguirono per primi un programma
federalista, europeista, nonviolento, premuroso verso le piccole
patrie e l'orizzonte planetario. Le tappe di quell'impegno furono
scandite dal primo "ecopacifismo", dal rifiuto coraggioso del
censimento etnico, dall'apertura internazionale ai diritti umani. La
paziente e delicata anticipazione federalista, locale e globale - i
nomi non c'erano ancora - di Langer si volse nel giro di pochi anni
(gli anni della Jugoslavia, e di un arrivo così rapido e ingente di
migranti in Italia da mutarne la fisionomia demografica e storcerne
lo stato d'animo, come una sinistra imbambolata non volle vedere)
nella versione leghista degli stessi temi, con la differenza che
separa, e anzi oppone, una porta che si apre da una che si chiude.
Federalismo, secessione, macroregione, xenofobia e, non di rado,
razzismo furono la nuova moneta- anche il colore verde ne fu
confiscato. La sinistra tradizionale in tutte le sue componenti,
travolta da vicende internazionali e interne sempre subite e mai
anticipate, dall'89 a Mani Pulite, non fece altro, lungo tutto questo
tumultuoso volgere di tempi, che provare a galleggiare, spesso ai
danni del vicino di naufragio, e rincorrere di volta in volta le
occasioni con un cambio di ragione sociale. La nascita del Pd è
ancora in bilico: fra l'ennesimo mutamento di ragione sociale, e una
svolta vera, comunque di lunga lena. Ora, la domanda è se in tempi di
precipitosa mutazione degli equilibri mondiali, di crisi di modi di
produzione e di pensieri, di terremoti di vecchie identità, la moneta
cattiva sia inevitabilmente destinata a scacciare la buona.
La storia del Novecento sembra indurre alla risposta pessimista.
Naturalmente, ci si guarderà dal concluderne che le responsabilità
delle persone e dei gruppi siano irrilevanti. Perché in ogni caso
perdere si può, e può perfino essere la sorte più onorevole: ma
finire invisi a una larga maggioranza di propri concittadini come
stranieri in patria - come gli incolpevoli zingari italiani di
cittadinanza, cui la brava gente, anche quella che si contenta di non
dar loro fuoco, intima di tornarsene a casa loro... -questo ha
bisogno di una speciale spiegazione. Agli eredi di centrosinistra
della Prima Repubblica era rimasta, passato l'inganno della diversità
antropologica, un'aura residuale di miglior professionalità, e anche
di un più retto cinismo, per così dire. Le avventure della coalizione
hanno distrutto anche questo resto. In cambio, hanno instillato nella
maggioranza degli italiani la sensazione da bava alla bocca di un
modo di essere di vivere e di esibirsi che ne faceva desiderare la
cacciata ben più che la vittoria degli altri. Ne vedremo, ne vediamo
già delle belle. Berlusconi promette tante libertà, e tante se ne
prende, e intanto un suo avvocato difensore vuole intestarsi il reato
di immigrazione clandestina e l'espulsione di qualche centinaio di
migliaia di badanti. Troppa grazia. Ma tutto questo non ha impedito
che la famosa Casta designasse pressoché solo la consorteria umana
del centrosinistra e della sinistra, che la testa di Pecoraro Scanio
venisse portata -metaforicamente, grazie a Dio - sulle picche dai
sanculotti, e che l'estromissione di un ceto politico apparisse come
una pulizia etnica. Quando il mercato premia la moneta cattiva, si
può fare a gara con i cattivi coniatori, battendo monete appena un
po' meno fasulle; oppure fare altro, se si è capaci. Se non se ne sia
capaci, almeno dissociare la propria responsabilità dal fuoco alle
baracche, così, perché un giorno i propri nipoti...
 
Fonte repubblica.it
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