UNA LAVORATRICE TAMOIL
- 19/11/2010, 5:35 pm
Riporto intergralmente la lettera inviatami da una lavoratrice Tamoil, una lettera piena di rabbia e di dignità in cui si possono riconoscere tutte le donne lavoratrici:
Ero poco più di una ragazza quando ho iniziato a lavorare in raffineria e ricordo che sin da bambina, al ritorno dalla gita domenicale attraversando il ponte di Po sulla 500 di papà, guardavo affascinata la fiamma della fiaccola e incuriosita chiedevo: “Ma papà cos’è quel fuoco là in alto?” E lui mi rispondeva: “Vedi, lì c’è una grande fabbrica dove fanno la benzina”.
Anni dopo, il destino ha voluto che io venissi assunta in quella “grande fabbrica” che allora si chiamava Amoco e dove, attraverso varie vicissitudini tra cui il passaggio di proprietà a Tamoil e la grave crisi del 1985, lavoro da quasi 30 anni.
Ricordo che durante i primi giorni di lavoro in raffineria mi sentivo intimorita da questo gigante di ferro e acciaio che sbuffava vapore da tutte le parti.
Tuttavia in breve tempo la raffineria è diventata per me un luogo conosciuto e familiare, dove ho avuto la possibilità di imparare tante cose, dove ho costruito giorno dopo giorno la mia professionalità e la mia coscienza di lavoratrice. E’ stata sempre una sicurezza economica che ha accompagnato tutta la mia vita.
Non è sempre stato facile per una donna dimostrare la propria competenza e le proprie capacità, ottenere uno spazio in un ambito così tecnico e “maschile”; eppure la raffineria mi ha sempre affascinato, ho trovato interessante occuparmi di tubi, valvole, prodotti chimici e autobotti, forni e caldaie e tantissimo altro .
Attraverso il costante impegno di ogni giorno il lavoro è diventato una professione, la professione è diventata una passione.
Ho sofferto, come molti di noi, in questi ultimi anni quando la stampa locale, le forze politiche e la cittadinanza ci massacravano ogni giorno, trattandoci come assassini, inquinatori e trafugatori di sostanze tossiche, ma non mi sono mai vergognata di essere una lavoratrice Tamoil perché conoscevo l’impegno, la professionalità e il senso di responsabilità di chi lavora in raffineria.
Non ho mai condiviso o giustificato la politica del silenzio adottata dall’azienda negli ultimi anni e oggi condanno e rifiuto l’imperdonabile mancanza di rispetto che ha dimostrato verso i suoi dipendenti con la decisione di chiudere la raffineria con le condizioni che ha posto.
Siamo poche donne in raffineria ma ci siamo e siamo molto molto arrabbiate e offese, almeno quanto i nostri colleghi uomini.
Tra di noi ci sono giovani mamme, mamme con figli nel pieno dell’età scolastica, donne sole per cui lo stipendio Tamoil è l’unica fonte di reddito, con mutui da pagare o genitori anziani da accudire.
L’azienda ci ha dato uno schiaffo pesante, di quelli che ti buttano per terra e che offende profondamente la nostra coscienza di lavoratrici, compromette totalmente la nostra indipendenza economica e la libertà di scelta nella nostra vita.
Nei giorni scorsi, dopo il comunicato dell’azienda, abbiamo provato smarrimento, incredulità, disperazione, abbiamo messo in discussione per l’ennesima volta il nostro valore di donne e di lavoratrici e abbiamo versato lacrime, tante lacrime.
Ma ora non più.
Questo non è più il giorno di piangere, questo non è il momento di smettere di credere e di mollare tutto.
Forse è tardi e non servirà a nulla combattere perché “la grande fabbrica dove fanno la benzina” possa continuare ad esistere, ma sicuramente servirà alla nostra dignità di donne e di lavoratrici.
Per una donna non è mai finita, una donna si rialza sempre, soprattutto una donna di raffineria.
Una lavoratrice Tamoil
18 novembre 2010