15 Settembre, 2002
Il diritto alla vita di una intera generazione di Vincenzo Andraous
Il campo di calcetto è illuminato, l’area di rigore intasata, i ragazzi protesi al goal, nella gioia di una serata
IL DIRITTO ALLA VITA DI UNA INTERA GENERAZIONE
di Vincenzo Andraous
Il campo di calcetto è illuminato, l’area
di rigore intasata, i ragazzi protesi al
goal, nella gioia di una serata trascorsa
a dare calci a un pallone.
Nella frazione di uno sparo la vita non è
più in gioco, neppure è scivolata in corner,
se n’è andata out per sempre.
Un uomo è steso scompostamente sull’erba,
immobile come la morte obbliga a stare, tutt’intorno
ragazzi ribaltati a terra, tra urla di dolore
e il sangue che riempie gli occhi, inonda
i polmoni, nell’incredulità che non consente
di pensare, di agire, di tentare uno scarto
salva vita.
Le armi hanno dettato i tempi, decretato
i modi, a colpire nel mucchio per abbattere
il nemico, e pur di riuscirci lacerare qualche
vita in più, poco importa se parte di una
adolescenza innocente, incolpevole, indifesa.
In ogni società inchiodata dai riti e dalle
usanze che non si dicono, in ogni periferia
abitata dal filo spinato delle parole, l’umanità
è spesso svenduta da un interesse, da uno
scambio, da una sottrazione. Eppure a ogni
perdita di coscienza, a ogni compravendita
di un principio, in questi agglomerati umani,
rimane inviolabile un principio che vorrebbe
intoccabili i bambini, le donne, gli anziani:
romanzi di altri tempi, letteratura da quattro
soldi, santuari somiglianti a sepolcri imbiancati,
né più né meno che parole sbagliate per non
dare nome e peso consoni ad una indicibilità
come quella sparpagliata su quel campetto
di calcio.
Si dirà che sono peculiarità di quel territorio,
sbalzi di temperatura causati da quell’incultura
che disconosce alfabeti diversi, si diranno
tante cose, e altre se ne caricheranno sopra
fino a fare scomparire le precedenti.
Ancora una volta il verbo sarà che per colpa
di pochi e feroci scriteriati, tanti soccombono
alla violenza che impone il dazio da pagare,
quello di vedere sbattuti a terra, annientati
nello spirito e nella carne i più giovani,
vivi per puro caso.
La violenza delle armi, la violenza dei disvalori,
la violenza della prevaricazione che conduce
alla disperazione, alla vendetta e all’odio,
fino a negare l’ultima volontà di un perdono,
per tutto ciò che non potrà più essere, per
tutto ciò che non avrà più un inizio e una
fine, per tutto ciò che non avrà assoluzione,
neppure il conforto della giustizia.
Si uccide a casaccio pur di azzerare l’altro,
su quel rettangolo verde le speranze calpestate
ingiustamente, inzuppate del sangue dei silenzi
e delle viltà elette a stile di vita.
Sotto i riflettori accesi di quel campetto
di gioco, in quegli spari all’impazzata,
sta la risposta a un andazzo che non autorizza
nessuno a passare oltre, a sentirsi escluso
dal farci i conti, in quell’agguato così
destrutturante vi è indifferenza per le responsabilità,
non solamente di coloro che hanno premuto
il grilletto, anche di quelle che obbligano
alla conoscenza, a scoprire il richiamo intimo,
che pone un secco rifiuto a ogni convinzione
o sottoscrizione tribale.
In quella azione c’è la spavalderia di chi
non ha rispetto per quanti hanno amore delle
parole vere, non esibite, non assunte, che
non hanno abitudine nè pratica del male,
ma si fanno avanti per trasformarlo, affinché
il delirio di onnipotenza di alcuni non sacrifichi
i diritti di una intera generazione.
 
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