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15 Settembre, 2002
“Lotta alle povertà: inclusione, responsabilità, solidarietà”
Intervento di Mimmo Lucà al Convegno nazionale DS Reggio Calabria

“Lotta alle povertà: inclusione, responsabilità, solidarietà” Intervento di Mimmo Lucà al Convegno nazionale DS Reggio Calabria Si dice che una sinistra al passo coi tempi debba preoccuparsi maggiormente di investire sulla crescita delle opportunità per tutti i cittadini piuttosto che di promuovere eguaglianza. Io penso che non vi sia contraddizione tra le due cose. Ma bisogna intendersi, soprattutto quando si parla di politiche di contrasto della povertà e della esclusione sociale. Si può, infatti, parlare di eguaglianza delle opportunità in senso tradizionale, cioè nel senso di eguale accesso alle prestazioni sociali, ai diritti, ai sistemi di protezione e di garanzia, come condizione di partenza per una competizione non alterata, fondata sulle capacità e sui meriti delle persone. E si può parlarne anche in senso più sostanziale. Penso, ad esempio, al tema del diritto allo studio. E’ certo che in Italia tutti i ragazzi possano iscriversi all’università; poi, però, nella realtà accade qualcosa di molto diverso. Sotto il profilo formale non c’è dubbio che esistano pari possibilità di partenza, ma sotto il profilo sostanziale siamo di fronte ad una situazione segnata da pesanti discriminazioni. La società italiana, insomma, ed in particolare il Mezzogiorno, è segnata da profonde disuguaglianze nel godimento delle risorse che concorrono a formare la qualità della vita: l’istruzione, l’occupazione, la qualità del lavoro, il reddito, la disponibilità e la possibilità di accesso ai servizi sociali, le condizioni abitative e ambientali, i contesti educativi e quelli relazionali. Le scelte di una sinistra riformista moderna devono tendere a perseguire la giustizia sociale e il massimo di uguaglianza possibile fra i cittadini, attraverso politiche che da un lato garantiscano a tutti pari opportunità di partenza ed aiutino tutti ad auto promuoversi, e, dall’altro, assicurino a tutti, anche alle persone più in difficoltà, il raggiungimento di un traguardo, il conseguimento di una porzione di benessere. Non è solo questione di assistenza, quindi, ma di misure che garantiscano una adeguata quota di partecipazione al “patrimonio” di beni materiali e immateriali (tra questi i beni definiti di relazione) della società. Solo in questo modo si può dare un contenuto sostanziale a quel diritto di cittadinanza che abbiamo definito sociale. Ciò comporta un complesso e organico sistema di redistribuzione delle risorse e delle opportunità cui i processi di riforma della stato sociale avviati in questi anni hanno dato un contributo importante. La redistribuzione riguarda, da questo punto di vista, risorse essenziali per le qualità della vita: il lavoro, l’istruzione, l’abitazione, il sistema – ambiente, il contesto educativo, i beni culturali. Parlare di povertà, per la sinistra, significa allora parlare di politiche del lavoro, di sviluppo, di istruzione e formazione, di politiche per la famiglia, di politiche sociali. Il lavoro, in particolare, costituisce il presupposto fondamentale della inclusione sociale, definendo identità, titolarità di diritti, cittadinanza attiva. La mancanza di lavoro produce esclusione, perdita di identità personale, familiare e sociale. Per questo, l’occupazione costituisce ancora, nel Mezzogiorno, nonostante i progressi sensibili di questi anni, il più grave e drammatico problema da affrontare, insieme alle distorsioni di una economia che si alimenta ancora in larga misura attraverso le pratiche della illegalità, del lavoro nero, del ricatto mafioso. La sinistra talvolta ha dato la sensazione di trascurare questo impegno, di considerarlo meno importante nella scala delle priorità dell’azione di Governo, aprendo spazi significativi alla propaganda della destra tra i ceti popolari, nelle periferie urbane delle città, in vaste zone del Sud. L’impegno per contrastare la povertà e la esclusione sociale non sempre viene considerato così significativo e così importante. E invece è bene convincersi che esso deve tornare al centro dell’iniziativa politica dei Democratici di Sinistra. Le proposte di rilancio delle sviluppo e di crescita dell’occupazione e della qualità della vita nel Sud devono caratterizzare il progetto di una sinistra che, anche dall’opposizione, dimostra di essere nelle condizioni di mantenere un profilo riformista credibile e convincente, a partire dalle città in cui ha governato e in cui si candida a farlo ancora. L’esclusione sociale e la disuguaglianza non costituiscono nel Sud soltanto un enorme problema di equità e di giustizia: sono sprechi irresponsabili che l’intero nostro paese non può permettersi. Immensi patrimoni di capacità, di competenza, di intraprendenza e di lavoro a Reggio Calabria come in tante altre città del Mezzogiorno possono essere dissipati e distrutti: milioni di ragazze e di ragazzi dispersi nell’incertezza e nella precarietà, cittadini di ogni età espulsi dal cuore della produzione e della vita sociale, intere regioni riconsegnate alla rassegnazione e alle mafie. Un paese che accetta la disuguaglianza legata alla nascita e alla condizione sociale, nell’accesso alla formazione e al lavoro, nelle opportunità di crescita e nella qualità della vita, per una vasta parte del suo territorio è un paese arretrato non una società aperta. Una società con basso grado di povertà è dunque, senza ombra di dubbio, anche una società più “sicura”, più integrata, più amica e più solidale. E’ una società che non abbandona nessuno e che contrasta i processi che portano alla solitudine. Dunque il problema non è solo quello della lotta alla povertà, ma della riduzione delle diseguaglianze che condannano a situazioni di grave inferiorità sociale una vasta area di persone e di territori. Prendiamo il tema della famiglia. Qui i problemi sono due. Il primo è quello economico, del reddito rapportato al numero dei componenti. Infatti, una delle novità più significative degli ultimi “rapporti” sulla povertà ci dicono che anche chi lavora oggi può diventare povero, che crescono i problemi nelle famiglie numerose in cui vi è un solo reddito di riferimento. Rispetto a questa realtà emerge non solo l’esigenza che nella contrattazione sindacale dei prossimi anni si rivolga la dovuta attenzione alla questione salariale, ma anche quella di rafforzare le politiche di sostegno monetario alle responsabilità familiari, per adeguarle e proporzionarle ai carichi familiari. Nei cinque anni di governo del centro sinistra si sono fatti concreti e significativi passi in avanti in questo senso, con l’aumento degli assegni al nucleo familiare, l’introduzione dell’assegno per il terzo figlio e dell’indennità di maternità per le donne non lavoratrici, l’incremento delle detrazioni fiscali per i figli a carico, l’avvio della sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento per i nuclei privi di reddito. Adesso bisogna riprendere quelle misure e rilanciarle, incrementando le risorse a disposizione di una vera e propria riforma dell’assegno per i figli, la messa a regime del Reddito Minimo di Inserimento, la riduzione delle imposte per le famiglie con figli, la riforma degli ammortizzatori sociali, la costituzione di un fondo per sostenere le famiglie con persone non autosufficienti e con disabilità gravi. Il secondo problema è quello della compatibilità fra il lavoro di cura nella famiglia e il lavoro nel mercato, con riferimento alla condizione femminile. Qui uno degli obiettivi più significativi è quello del reinserimento lavorativo delle donne dopo la maternità. Bisognerà potenziare la legge sui congedi parentali e la L. 285/97 sull’infanzia e l’adolescenza, insistere in sede parlamentare per la piena attuazione dell’art.16 della L. 328 (che riguarda le politiche familiari), se necessario anche attraverso una nostra proposta di legge sull’argomento, rilanciare l’idea del potenziamento della rete dei servizi sociali e dei nidi a partire da quelle regioni in cui sono più carenti. Il Governo di centro-destra per la famiglia non ha fatto quasi nulla, ad eccezione dell’aumento delle detrazioni (tranne che per le famiglie più povere in quanto escluse dal meccanismo delle detrazioni per cosiddetta “incapienza”) erogato a pioggia nella stessa misura a tutti, praticamente a prescindere dai livelli di reddito, e l‘aumento dei trattamenti minimi delle pensioni in favore di poche centinaia di migliaia di persone dopo averlo promesso a oltre sette milioni di pensionati alla vigilia delle elezioni. E’ stato detto che vi era un problema di risorse disponibili, che non consentiva di fare meglio e di più. Ma intanto il Governo non ha esitato ad impegnare ben 1.600 miliardi di “vecchie” lire per garantire la copertura della legge con la quale si sono cancellate le tasse di successione, e non si è perso tempo nell’approvare misure prive di copertura finanziaria per consentire il rientro dei capitali illegalmente esportati all’estero e incentivare [in modo assolutamente fallimentare come si è visto dai risultati] l’emersione del lavoro nero e delle imprese “sommerse”. Ma voglio ancora soffermarmi su un punto che reputo di particolare importanza. Di quale famiglia parliamo quando ci riferiamo alle politiche sociali? La destra, nelle Regioni in cui governa, ha avviato politiche è approvato provvedimenti in favore della famiglia fondata sul matrimonio, con riferimento all’articolo 29 della Costituzione. Noi non condividiamo questa scelta, ma non perché riteniamo privo di valore il richiamo costituzionale, ma perché siamo convinti che il riferimento alla famiglia come soggetto e al tempo stesso destinataria di politiche sociali e di risorse economiche non è dovuto ad una scelta ideologica, ma al fatto che oltre il 90 % dei cittadini italiani vive in un contesto di convivenza di tipo familiare. Pertanto, le concrete condizioni di vita della generalità delle persone, sono influenzate in modo determinante dalle risorse e dalle opportunità di cui il nucleo familiare complessivamente dispone. E’ questa unità di convivenza che è destinataria, e sempre più deve divenire soggetto attivo, degli interventi di politica sociale, e ai fini della politica sociale, vale il fatto in sé della convivenza, non potendo, appunto, una politica di sostegno della famiglia dare luogo a discriminazioni o penalizzazioni a danno dei singoli componenti di nuclei di convivenza diversi dalla famiglia fondata sul matrimonio (lo vieterebbe in modo tassativo, peraltro, lo stesso art.3 della Costituzione). Cosa dovremmo fare altrimenti: discriminare gli interventi sui minori con riferimento alla qualificazione giuridica della famiglia in cui vivono? Erogare gli assegni per i figli, garantire il diritto allo studio, sostenere i disabili e gli anziani non autosufficienti, promuovere la maternità e il sostegno alle responsabilità genitoriali soltanto con riferimento a quelle famiglie con coniugi regolarmente sposati? Sarebbe davvero un ritorno al medioevo, delle politiche sociali inaccettabile oltretutto nel quadro di una progressiva ed inarrestabile integrazione europea. Le politiche sociali finalizzate in particolare alla tutela della maternità e dell’infanzia, al contrasto delle povertà, alla promozione del lavoro, al diritto allo studio, all tutela della salute e alla promozione del benessere delle persone, prescindono dalla configurazione giuridica del legame familiare come tale e vengono realizzate con riferimento al nucleo familiare entro il quale si realizzano le condizioni di bisogno. L’ultimo punto che desidero affrontare è quello dell’importanza che ha via via assunto il ruolo del Terzo Settore nell’ambito delle politiche di contrasto della povertà. E’ stato ricordato più volte nel corso di questa giornata che i cittadini chiedono più sicurezza e maggiori garanzie e, insieme, maggiori opportunità, e più libertà. In altre parole più diritti e più modernità. Le due cose non sono inconciliabili, perché una società più moderna esige maggiore solidarietà non meno solidarietà. Giustizia sociale e crescita delle libertà devono camminare insieme, l’una è la condizione dell’altra e viceversa. Occorrono politiche positive, regole condivise, forti investimenti sociali. Ecco perché bisogna dare spazio ad una società che si organizza in una dimensione partecipativa e valorizzare i soggetti della solidarietà: l’associazionismo, il volontariato, la cooperazione, il mutualismo popolare, le comunità. Il Terzo settore è un soggetto importante del nuovo spirito pubblico. Le politiche di uguaglianza, di solidarietà e di pari opportunità non sono più affidate soltanto alle responsabilità delle istituzioni, ma anche alle responsabilità della società civile, dei cittadini associati. Noi pensiamo che le istituzioni, a partire da quelle locali, debbano investire nei soggetti che si esprimono e che operano nel segno dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, di responsabilità e di mutualità, perché il Terzo settore è anche un modo di attraversare dall’interno la vita quotidiana delle famiglie con la logica della promozione e della inclusione delle persone e perché c’è bisogno, oggi, di una assunzione forte di responsabilità e di solidarietà nei confronti dei soggetti più deboli. Proprio perché vitalmente radicato nella comunità locale il Terzo settore promuove forme più umane, più giuste e civili di relazione, di solidarietà. Un modo per ridare alla persona e alle comunità centralità, diritti, dignità. Ci sono poveri ed esclusi che hanno bisogno del lavoro e di un sostegno economico, di istruzione e di assistenza, di tutele tradizionali e di nuove opportunità. E ci sono poveri ed esclusi che hanno bisogno di relazionalità e di affettività, di senso di appartenenza e di valorizzazione delle proprie risorse, di canali di partecipazione sociale e di protagonismo. In una parola, di comunità. Tutto ciò è molto distante da un ruolo assistenziale, da una solidarietà arbitraria ed eventuale, da una deriva compassionevole delle politiche sociali. Dobbiamo tuttavia sapere che, oggi, il Terzo settore è sottoposto a pressioni molto forti da parte del Governo, per tornare agli antichi rapporti del collateralismo e dello scambio politico, ad una dinamica delle relazioni con l’Amministrazione pubblica fondata sulle affinità politiche e sulla fedeltà delle appartenenze. Noi dobbiamo denunciare questo rischio e contrastare l’idea che il principio di sussidiarietà passi attraverso politiche preferenziali e discriminatorie, come di fatto sta avvenendo in diversi settori della azione di governo. Dunque il recupero della dimensione comunitaria si realizza attraverso l’investimento sui soggetti della solidarietà. Non è un processo facile, ma è necessario! La solitudine degli anziani, il disagio dei ragazzi che determina devianza e tossicodipendenza, l’abbandono dei disabili mentali sul territorio, le vicende dei senza fissa dimora, l’angoscia dei malati di AIDS, l’isolamento dei non – autosufficienti, la disperazione dei disoccupati e la mancata integrazione degli stranieri: sono tutte condizioni di bisogno che chiamano fortemente in causa il tessuto connettivo della società civile e la cui soddisfazione passa prioritariamente attraverso le reti relazionali e solidali di un assetto comunitario. Ecco allora l’esigenza della sinistra, politica e sociale, di investire di più sulla promozione di una cultura della prossimità e della solidarietà, di promuovere un grosso sforzo innovativo da parte delle istituzioni teso ad assumere la società solidale come interlocutore delle politiche sociali. Noi abbiamo puntato e puntiamo ancora su una dimensione nuova del welfare che sposti l’attenzione dal territorio, inteso come integrazione dei servizi, alla comunità, intesa come realtà vitale segnata da legami di solidarietà, cui concorrono in forma integrata la società civile e le istituzioni locali. Questo è il passaggio dallo stato del benessere alla comunità del benessere. La destra ha orientato e orienta altrove il suo investimento, divide, lacera, discrimina. Lo sta facendo, ad esempio, con l’attacco all’art.18 dello Statuto dei lavoratori, con lo stravolgimento della Legge Turco – Napolitano sull’immigrazione, con l’annuncio di misure che favoriranno in larga misura l’ingresso del mercato nei sistemi di protezione sociale, sanitaria e previdenziale. Per questo occorre rendere più determinata e più efficace la nostra opposizione politica e parlamentare, senza dimenticare mai che occorre accompagnarla con una capacità di proposta capace di persuadere la maggioranza degli italiani che non solo la sinistra è diversa dalla destra ma che è anche migliore. Intervento del 13 aprile 2002  


       CommentoDemocratici di Sinistra



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