15 Settembre, 2002
Bella ciao - La colonna sonora dell'Italia
«Si tratta di una storia della canzone popolare, quindi dei lavoratori, dei coscritti, degli emigranti, dei diseredati…»
Riproponiamo l’articolo di Paolo Petroni apparso sulla “terza pagina”
di La Sicilia – Red.
Siamo in un periodo in cui cantare “Bella ciao” o ricordare la Resistenza
viene letto come un atto che punta a dividere invece che alla conciliazione,
confondendo quest'ultima con una rinuncia alla memoria e il capire le ragioni
dell'altro col giustificarle. Allora arriva a proposito un libro come «Bella
ciao» (Laterza, pp. 362, 18 euro) di Stefano Pivato, docente di
storia contemporanea all'Università di Urbino e studioso del rapporto tra
cultura popolare e cultura politica, scritto in collaborazione con Amoreno
Martellini.
Il saggio mette in risalto come la canzone sia uno dei segnali più
significativi dell'adesione a un ideale, della partecipazione della gente comune
a un momento storico, a un'evoluzione politica. E questa storia, che comprende
anche un'ampia antologia di testi, parte dal Risorgimento per arrivare ai nostri
giorni, raccontandoci la nascita e vitalità di certe canzoni, quelle dei
partigiani in montagna, ma anche 'Faccetta nera', poi quelle degli anni caldi
della contestazione e sino alle pagine che si intitolano 'Da Lenin a Lennon
(Forza Italia)' dedicate al tramonto della canzone politica. «La musica è
cambiate, cambiate la musica» disse ai suoi di Gianfranco Fini al Congresso di
Fiuggi del 1995, che vorrebbe venisse messo in soffitta il vecchio repertorio di
canti ereditato dal fascismo e la Rsi, come ricorda Pivato.
Così ricorda anche il 21 giugno 1964 al Festival di Spoleto, quando scoppiò
una bagarre alla prima del recital 'Bella ciao', che proponeva un'antologia di
canti sociali italiani ritrovati dopo una lunga ricerca sul campo, da 'O Gorizia
tu sei maledetta' alle due versioni appunto di 'Bella ciao', quella originale
delle mondine e quella ricreata dai partigiani. Più avanti racconta di quando
sempre quel motivo è stato intonato da Michele Santoro in apertura della sua
trasmissione tv 'Sciuscià' del 19 aprile 2002, facendo nascere altre polemiche
ma ridandogli vitalità e facendone nuovamente una sorta di inno di cui
arriveranno subito varie versioni, compresa quella dei Modena City Ramblers, che
proprio per questo sono stati nei giorni scorsi ad Arezzo, per i festeggiamenti
dei 60 anni dalla Liberazione, al centro di un attacco da parte di un
consigliere comunale di An.
Perché la canzone ha una sua intima forza evocativa e una capacità di ribadire
che si comunica più istintivamente di un discorso razionale o ideologico.
Nell'introduzione Pivato fa non a caso riferimento alla scena di 'Amarcord' di
Fellini in cui, durante la visita di un Eccellenza fascista in una cittadina di
provincia, si spandono nell'aria le note dell'Internazionale, che fanno perdere
la pazienza a tutti, fino a quando non si scoprirà che vengono da un giradischi
abbandonato in cima al locale campanile.
Questa storia potrebbe apparire come sbilanciata a sinistra, a chi ne volesse
dare una lettura a sua volta politica, ma il fatto è che si tratta di una
storia della canzone popolare, quindi dei lavoratori, dei coscritti, degli
emigranti, dei diseredati, e che in oltre duecento anni di avvenimenti coincide
con la destra praticamente solo per i venti anni della dittatura fascista.
I titoli di molti dei capitoli costruiscono una sorta di colonna sonora della
nostra storia moderna, il cui inizio è qui praticamente nell'Inno nazionale
'Fratelli d'Italia', e poi va da 'Compagni dai campi e dalle officine' a 'La
leggenda del Piave', da 'Giovinezza, giovinezza' e 'Vincere!' a 'Bella ciao' e
poi 'Scurdammoce 'o passato', per arrivare ai cantautori, a 'I tempi stanno
cambiando' e 'Contessa'. E seguire questo percorso rivela risvolti gustosi,
perché la canzone popolare ha sempre o quasi un versante anche scollacciato, è
legata alla vita, pur parlando magari di morte, come in guerra, e nasce dalla
denuncia che si lega inevitabilmente alla speranza, a un idea di futuro, magari
diverso.
 
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