15 Settembre, 2002
In ricordo d’Aldo Moro. Un prigionia lunga 55 giorni. di Gian Carlo Storti
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro è sequestrato dalle Br. Nei 55 giorni di sequestro, Craxi guida il fronte della trattativa per liberare il presidente della Dc.
In ricordo d’Aldo Moro. Un prigionia lunga
55 giorni.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro è sequestrato
dalle Br. Nei 55 giorni di sequestro, Craxi
guida il fronte della trattativa per liberare
il presidente della Dc.
Il 15 aprile i brigatisti annunciano la condanna
a morte di Moro. Craxi si mostra disposto
a dialogare e rompe la linea della fermezza.
In un incontro con Zaccagnini, il 26 aprile,
il leader socialista suggerisce di graziare
tre terroristi non condannati per reati di
sangue e di abolire le carceri speciali.
Una “ renault rossa” è trovata in Via Caetani
, a Roma, con dentro il corpo d’Aldo Moro.
E’ il 9 maggio. Siamo al culmine della stagione
terroristica.
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E’ stato quello, per noi militanti il periodo
più duro. All’inizio della vicenda terrorismo,
agli occhi della gente comune le Brigate
Rosse, per loro autodefinizione, comunisti
combattenti, erano, si presentavano come
una costola del Pci.
Questa cosa te la sentivi addosso. Ci volle
qualche mese per ribaltare la situazione.
Lo spartiacque fu l’uccisione dell’operaio
genovese Guido Rossa. I dubbi scomparvero
sia all’interno del corpo attivo del Pci,
circa l’impostazione teorica delle Br, fra
la gente.
Durante questo periodo eravamo chiamati a
vigilare le sedi. Ad ospitare, la notte,
dirigenti comunisti nelle nostre case.
Noi, del gruppo dirigente ristretto, sentivamo
il peso forte di questa situazione. Anche
i nostri rapporti di gruppo erano o stavano
cambiando. Non più incontri con tanti amici dove si cantava e ci si divertiva
con qualche fetta di salame, pane e vino
bianco. Il clima di pesantezza selezionava
gli amici, qualcuno si era sposato ed aveva
avuto figli. L’ebbrezza del triennio 74-75-76
era omai lontana.
Quei mesi furono davvero duri.
Sentii del rapimento di Moro alla radio,
mentre in auto andavo al lavoro alla federazione
del PCI.
Quella mattina si doveva votare in Parlamento
il primo governo della Repubblica con l’astensione
del PCI. Il compromesso storico propugnato
da qualche anno da Enrico Berlinguer stava
diventando fatto politico ed avvicinava i comunisti
al governo del paese.
Anche Moro, in quei mesi, dovette superare
molte resistenze, ma con il segretario nazionale
della DC Zaccagnini aveva preparato la svolta.
La stragrande maggioranza del corpo politico
del PCI Cremonese aveva condiviso la svolta,
anche se la “sinistra” era critica e fermamente
contraria. In effetti, le correnti erano
tre.
La Berlingueriana che puntava direttamente al compromesso
storico con il mondo cattolico e quindi la Democrazia Cristiana ed in qualche modo emarginando i socialisti
. Quella che allora si chiamava “ riformista”
che invece era critica e puntava invece ad
un rapporto privilegiato con il mondo socialista
per puntare alla costruzione di una gran
forza socialdemocratica di tipo nord-europeo.
Questa “corrente” non molto appariscente
vedeva in Lombardia come capofila Riccardo
Terzi allora segretario della Federazione
Milanese del PCI.
Infine la “ sinistra” che a Cremona era guidata
da Arnaldo Bera che si caratterizzava sul
piano internazionale per un’acritica adesione
al sistema socialista “realizzato” e sul
piano interno riteneva che il PCI dovesse
rimanere all’opposizione. Questo gruppo,
particolarmente attivo, rivendicava il collegamento
con quella parte del PC I che alla fine della
resistenza aveva posto il problema di costruire
da subito lo stato socialista. Il capo nazionale
era Secchia molto legato ad Arnaldo Bera,
che divenne, il suo esecutore
Tornando alla notizia del rapimento. Evelino
Abeni, allora segretario del PCI Cremonese,
riunì subito l’apparato ed i compagni che
via stava arrivando .
Era tutto molto chiaro l’attacco delle brigate
rosse voleva impedire la formazione del governo
del compromesso storico e bloccare quel processo.
Anche il che fare era molto chiaro.
Da Roma arrivò la notizia che il parlamento
avrebbe in ogni modo votato la fiducia al
governo di Giulio Andreotti.
Era necessaria una mobilitazione generale
unitaria di tutto il paese per isolare e
sconfiggere il terrorismo.
Alle 13 del mattino organizzammo il primo
volantinaggio davanti alle scuole in Via
Palestro. Il sindacato si mobilitò con tutte
le sue forze.
Le parole d’ordine furono unità e no alla
trattativa.
Su questo ragionamento si organizzarono decine
e decine d’assemblee in ogni località per
raccogliere adesione e per isolare sia le
posizioni che volevano aprire la trattativa
che quelle critiche alla linea politica del
compromesso storico.
Dopo pochi giorni si organizzò una gran manifestazione
unitaria di tutto l’arco costituzionale (
credo che il Movimento Sociale non partecipò).
Anche visivamente la manifestazione doveva
apparire unitaria. Si distribuirono, con
difficoltà a piazzarle, molte bandiere tricolori.
Il quadro attivo di base faceva ancora fatica
a capire che il tricolore doveva ritornare
ad essere anche la nostra bandiera.
Quei mesi passarono fra ansie e speranze.
Il gruppo dirigente locale del PCI aveva
la sensazione netta della partita che si
stava giocando. Non fece fra noi breccia
l’idea della trattativa, ma con convinzione,
fino all’ultimo, abbiamo sperato che lo Stato
sarebbe stato in grado di liberare questo
grande statista.
Purtroppo non fu così. Il corpo di Moro fu
simbolicamente fatto ritrovare in una Renale
4 rossa ed in una strada molto vicina alla
sede del PCI di Via Botteghe Oscure.
Sul piano umano quell’esperienza mi motivò
ancor di più a fare politica ed ad impegnarmi
, con spirito di servizio, per capire e risolvere
i problemi delle persone che volevamo rappresentare.
Sul piano politico, quando vidi il corpo
di Moro, tentennai se era giusto o non anteporre
gli interessi generali dello Stato a quelli
di una singola vita. Ma non aderii alla componente
“ riformista” e seguii l’evoluzione del pensiero
Berlingueriano.
Bettino Craxi trovò in quei giorni la strada
per rilanciare l’azione del suo partito socialista.
Percorso che fini, qualche anno dopo, con
il lancio di monetine in una strada romana.
Ma questo è un altro discorso.
Gian Carlo Storti
Cremona 16 marzo 2008.
 
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