15 Settembre, 2002
Attivo Cgil Cremona: un Si ragionato e motivato.
Nel marzo del 2001, a Parma, tra D'Amato e Berlusconi venne concordato il programma del governo di centro destra che sarebbe nato di lì a poco. Un programma, si disse, per la modernizzazione e la competitività .

Cremona: martedì Attivo dei delegati della Cgil
Relazione di Mimmo Dolci Segretario Generale della Cgil di Cremona
Conclusioni di Carla Cantone della Segreteria Nazionale della Cgil.
Referendum del 15 e 16 giugno, un rinnovato impegno per il SI...
Mimmo Dolci, neo-segretario della Cgil Cremonese ha svolto un'ampia relazione sia sui temi di politica locale che sugli impegni della Cgil in rapporto alla scadenza referendaria del 15-16 giugno 2003.
Dopoa la relazione sono intervenuti fra gli altri, Russo,Squerti, Pinzi ed altri delegati di luogo di lavoro. L'intervento conclusivo è stato affidato a Carla Cantone, della Segreteria Nazionale della Cgil che fra l'altro ha detto: "Nel marzo del 2001, a Parma, tra D'Amato e Berlusconi venne concordato il programma del governo di centro destra che sarebbe nato di lì a poco. Un programma, si disse, per la modernizzazione e la competitività . Ne sono noti i capisaldi:
-riduzione della pressione fiscale
- riduzione della spesa sociale
-liberalizzazione del collocamento e flessibilità del mercato del lavoro
-abolizione dell'obbligo alla reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall'articolo 18
-cambiamento di quelle parti della costituzione, già allora indicate come sovietiche, che impongono responsabilità sociali alle imprese , alla proprietà privata e allo Stato
-una visione della competizione internazionale fondata sulla riduzione delle retribuzioni e dei diritti.
Non abbiamo dimenticato lo strumento indicato per raggiungere questi scopi: la rottura tra le organizzazioni sindacali, l'isolamento della Cgil.
Il risultato fu il patto per l'Italia: un accordo separato realizzato senza la più grande organizzazione sindacale e senza consultare i lavoratori . Una grave lesione per la democrazia ,non rispettosa dello spirito della Costituzione.
A distanza di due anni da Parma possiamo misurare i risultati di quella linea e di quel Patto separato. Tutti i principali indicatori economici segnalano quel declino dell'Italia che la Cgil ha cercato di contrastare, in solitudine, con la manifestazione nazionale a sostegno del Mezzogiorno e lo sciopero generale dell'industria. Gli unici indicatori in crescita sono quello dell'inflazione e quello delle ore di sciopero. Quest'ultimo a segnare significativamente le conseguenze di quel modello di relazioni sindacali che, in spregio a quanto sottende in Europa, chiamano "dialogo sociale" e alle conseguenze della politica degli accordi anche solamente con chi ci sta.
Ormai tutti, dall'Istat a quello stesso governatore della Banca d'Italia che dopo la vittoria di Berlusconi annunciò l'arrivo del miracolo economico, sostengono le stesse analisi sul declino generale del Paese e sui rischi di vera e propria deindustrializzazione che la Cgil ha portato all'attenzione del paese.
Nonostante in dieci anni le retribuzioni dei lavoratori italiani abbiano perso dieci punti percentuali rispetto a quelle dei loro colleghi degli altri Paesi Europei, l'Italia ha contemporaneamente perso di competitività e quindi di peso nel commercio mondiale e in Europa. Le classifiche mondiali sulla competitività vedono molto avanti a noi, ai primi posti, Paesi con un ruolo dello Stato e un peso del welfare più robusti che nel nostro paese (Svezia, Finlandia e Danimarca). Paesi con minori disuguaglianze e con retribuzioni più elevate.
Gli stessi Stati Uniti non sono per noi un modello positivo o imitabile: solo a loro è consentito un altissimo indebitamento pubblico e privato e un pesante deficit commerciale.
È sempre più riconosciuto che una spesa pubblica orientata a ridurre la povertà, a garantire uguaglianza e coesione sociale, nonché la promozione della persona attraverso la formazione continua gratuita ed accessibile sia un fattore importante di stabilità economica, crescita equilibrata e in ultima analisi di maggiore competitività.
Non sono sprechi! Come sembra ritenere il ministro della pubblica istruzione che oltretutto fa dell'Italia l'unico Paese che riduce l'obbligo scolastico.
Grande è stata la mobilitazione messa in campo dalla Cgil per contrastare il modello di società di centro-destra e Confindustria.
A cominciare dalla battaglia per la difesa dell'articolo 18.
Gli oltre 3 milioni di cittadini e lavoratori che hanno partecipato alla manifestazione nazionale del 23 marzo 2002 erano convinti, giustamente, di battersi a difesa di una società fondata sui diritti, la solidarietà e l'uguaglianza, senza i quali una parte importante della nostra società non potrebbe vivere pienamente libertà e democrazia .Avevano capito che l'attacco all'articolo 18 non puntava a mutare le ragioni dei licenziamenti o a rendere più flessibile un mercato del lavoro per niente rigido come provano quei 5 milioni di lavoratori che tra il 2001 e il 2002 sono entrati e usciti dal lavoro o hanno cambiato azienda.
L'attacco all'art, 18 puntava a eliminare le regole, non a cambiarle! Perché senza regole comanda il più forte e i lavoratori privi di certezze sono condannati a subire imposizioni anche quando queste sono fuori dalle leggi e dai contratti. Per questo è stato ed è uno scontro di civiltà , per la dignità dei lavoratori e perché questi continuino a essere cittadini nel senso pieno anche dentro i luoghi di lavoro. Perché i luoghi di lavoro non sono una zona franca dove si smette di essere cittadini e dove non valgono i principi costituzionali.
Abbiamo difeso il delicato equilibrio sancito nel patto costituzionale da quanti lo vogliono svuotare a colpi di provvedimenti legislativi forti solo delle ragioni di sproporzionati equilibri parlamentari più figli delle divisioni delle opposizioni che del reale peso del centro destra nel Paese: come è avvenuto per il provvedimento che deve garantire l'impunità del Presidente del Consiglio, nonostante sia palesemente in contrasto con la Costituzione.
Il nuovo modello di società liberista avanza sui provvedimenti legislativi già approvati o in via di perfezionamento:
- la legge 30 e i decreti attuativi sul mercato del lavoro,
- la legge delega fiscale già approvata e quella previdenziale in discussione .
- permangono, contrariamente a quanto fatto intendere dal Presidente del Consiglio nel messaggio di fine anno, le modifiche all'art 18 previste dall'848 bis in discussione alla Commissione lavoro del Senato
La delega sul lavoro di cui il governo ha varato i decreti attuativi, produrrà lavoratori precari quindi poveri e senza diritti. Lavoro povero che è il presupposto per futuri pensionati poveri .
Si allargherà a dismisura l'area del lavoro non tutelato dall art. 18. Non è difficile prevedere la nascita di una miriade di aziende con meno di 15 dipendenti stabili intorno ai quali far ruotare lavoratori affittati a tempo indeterminato, lavoratori a progetto, a chiamata. O attraverso gli scorpori di parti delle attività aziendali resi più facili, praticamente senza più alcuna limitazione.
Né è difficile immaginare la proliferazione di differenti contratti di lavoro all'interno dello stesso luogo di lavoro, tra lavoratori che collaborano per realizzare la stessa attività con l'intento evidente di frantumare e dividere i lavoratori, allo scopo di ridurne la forza, i diritti e le tutele.
Ma la delega non si accontenta di rendere una massa crescente di lavoratori ricattabili, e quindi meno liberi ,dentro i luoghi di lavoro. Fa di più. Attraverso la privatizzazione del collocamento, la fine del divieto di interposizione di manodopera e la proliferazione dei soggetti che possono svolgere funzioni di collocamento il controllo e la ricattabilità delle persone si estende alla società. Persino le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati potranno avviare le persone al lavoro. Persino le università. Vogliono controllare i giovani fin dalla loro formazione! Vogliono assumere attraverso canali che garantiscono le caratteristiche generali, delle persone e non solo la loro capacità di lavoro. Comprese quelle politiche e l'attitudine ad accettare questo modo di lavorare e di vivere.
La democrazia non è a Part-time, o a chiamata o in affitto. Si vogliono lavoratori meno liberi dentro e fuori le aziende. E addirittura col coinvolgimento attivo del sindacato chiamato a cogestire il collocamento della precarietà.
La delega fiscale , che nel Paese più indebitato d'Europa promette un regalo di 40000 mld di vecchie lire ai benestanti, e la decontribuzione prevista nella delega sulla previdenza minano alle radici il sistema delle solidarietà sociali . Attraverso questi provvedimenti si arriverà allo stato assistenziale per andare oltre il quale ognuno dovrà arrangiarsi per quanto potrà.
I contratti .
Per fare vivere pienamente provvedimenti come quelli previsti nella legge 30 devono svuotare anche i contratti nazionali di lavoro. E' quanto vogliono raggiungere attraverso il contratto separato e di minoranza per i metalmeccanici. Lo giudichiamo figlio della linea politica che portò al Cosiddetto Patto per l'Italia senza la cgil. Quella dei metalmeccanici non è una vicenda specifica. Le lesioni alla democrazia e al contratto nazionale di lavoro e la sostituzione di parti rilevantissime di questo con quanto previsto dalla legge 30 e dai decreti attuativi riguardano tutti i lavoratori, riguardano la Confederazione.. Per questo non accetteremo tentativi analoghi che dovessero prodursi nel rinnovo dei contratti. Per queste ragioni generali e nel rispetto del ruolo della categoria non mancherà il nostro sostegno alle iniziative che la Fiom ha messo e metterà in campo. A cominciare dal rilancio dell'iniziativa per conquistare una legge coerente col dettato costituzionale, superando l'inaccettabile differenza tra i lavoratori delle aziende private e quelli della pubblica amministrazione.
I contratti del pubblico impiego pagano le politiche di accentramento perseguite dal ministro del Tesoro che mentre fa professioni di federalismo di fatto commissaria la pubblica amministrazione con gli evidenti gravi danni per i cittadini utenti, soprattutto del servizio sanitario, e i lavoratori che attendono ormai da 18 mesi il rinnovo dei contratti di lavoro e per ottenere i quali sciopereranno il 27 giugno realizzando una grande manifestazione nazionale a Roma.
La delega previdenziale e quella fiscale.
Sulla devastante delega fiscale siamo curiosi di vedere i provvedimenti attuattivi. (confusione come sull'irap da sostituire con il ritorno ai contributi). L'abbiamo già detto: la delega previdenziale contiene provvedimenti quali la riduzione dei contributi e il trasferimento forzoso del Tfr per noi inaccettabili e contro i quali siamo pronti alla mobilitazione . Unitariamente con CISL e UIL abbiamo dato un termine al confronto col governo. Da qui lanciamo un severo monito a non pensare di sostituire le economicamente ed eticamente discutibili una tantum da condoni con interventi autoritari sulla spesa pensionistica di cui trapelano ipotesi preoccupanti. Non permetteremo interventi sulle pensioni per fare cassa a copertura della politica allegra del ministro del Tesoro.
È in questo quadro che il direttivo nazionale della Cgil ha deciso di sostenere il sì all'estensione dell'articolo 18. Un referendum che la Cgil non ha voluto e sul quale non ha espresso un giudizio positivo, ma il cui esito condizionerà la linea che stiamo perseguendo e soprattutto l'impegno di arrivare anche, qualora il governo decidesse di approvare in via definitiva le modifiche all'articolo 18, attualmente ferme, in attesa palese dell'esito del referendum, ai referendum abrogativi per i quali ci siamo impegnati con lavoratori e con gli oltre 5.300.000 cittadini che hanno sottoscritto il nostro impegno per l'estensione dei diritti. Il referendum non affronta e quindi non potrà introdurre quelle riforme che la Cgil ha tradotto in quattro iniziative di legge. L'opposizione del governo e il mancato sostegno al percorso riformatore, contrariamente a quanto venne nel 1990, delle altre organizzazioni sindacali, nonché l'opposizione di tutte le organizzazioni datoriali ha reso impraticabile in questa fase la via legislativa. È rimasta solamente la scadenza referendaria. Un esito negativo verrebbe usato contro i lavoratori e per ulteriori attacchi ai loro diritti e contro la CGIL . Per queste ragioni il direttivo, pressoché all'unanimità, ha deciso la necessità di scendere in campo a favore del sì. La disinformazione e l'invito all'astensione mettono in dubbio la possibilità di realizzare il quorum previsto per la validità del referendum, noi dobbiamo comunque batterci perché milioni e milioni di cittadini vadano a votare e votino si. E questa, a questo punto e in questo particolare momento politico una condizione per poter proseguire le nostre iniziative e mantenere gli impegni che abbiamo preso con i lavoratori.
Sostenendo il referendum non intendiamo aprire una campagna contro le imprese minori. La maggioranza sono aziende familiari o individuali quindi senza dipendenti (3 milioni contro 1 milione) che subiscono una concorrenza spietata , da una parte dalle aziende di maggiori dimensioni e dall'altra dai co co co e dal popolo delle partite iva, i quali destrutturano il lavoro dipendente quanto quello autonomo.
Le aziende maggiori si avvalgono di sempre maggiori flessibilità o meglio di forme di lavoro precario . Il pieno sviluppo delle forme di lavoro precario che si avrà quando il governo varerà i decreti attuativi della legge 30 indebolirà ulteriormente la microimpresa e il lavoro autonomo non a caso in calo negli ultimi anni. Chiedo a Billè di comunicare quanti esercizi commerciali sono stati chiusi per la concorrenza della grande distribuzione invece di cimentarsi sulle ipotetiche conseguenze occupazionali dell'estensione dell'articolo 18.
E' contraria agli interessi del lavoro autonomo la subordinazione a Confindustria manifestata con la sottoscrizione del cosiddetto patto per l'Italia e l'accodamento alla campagna contro il SI per l'estensione dell'art.18. Le microimprese , dice l'Istat, sono caratterizzate ormai da bassa produttività è i profitti sono ottenuti da bassi salari. Sono diventate un elemento di debolezza dello sviluppo economico italiano. La Cgil mentre sostiene le ragioni dei diritti dei lavoratori è interessata a una politica di sostegno allo sviluppo e alla crescita dimensionale delle piccole aziende. Vorremmo aprire un confronto a tutto campo sui temi della innovazione, della ricerca, della formazione e della cooperazione. Insieme, nell'ambito di relazioni sindacali corrette, possiamo richiedere con maggior forza i necessari interventi pubblici e creditizi necessari a questa politica di sviluppo. Insieme potremo batterci con maggior efficacia contro il lavoro nero che nega i diritti dei lavoratori, danneggia le imprese oneste e relega molte aziende nella fascia più bassa dell'attività economica.
Il Governo e il variegato fronte del no , hanno capito che gli italiani non si sarebbero fatti trascinare contro un importante diritto del lavoro. Hanno capito che non c'è questa volontà neanche in parti rilevanti della loro base elettorale né in parti significative del lavoro autonomo: lavoratori autonomi che spesso hanno svolto un lavoro alle dipendenze o hanno figli giovani che non riescono a trovare soluzioni lavorative in grado di dare loro certezza nel proprio avvenire e una autonomia di vita.
Per questo dopo roboanti annunci di battaglia per il No hanno scelto il meno glorioso ma più promettente terreno dell'astensione dal voto, sperando nel non raggiungimento del quorum. Non perché gli italiani approvino la linea contro l'art. 18 ma puntando di aggiungersi a coloro che da tempo, a prescindere dai temi della consultazione disertano le urne.
Sapendo di non essere popolari , forti del controllo di gran parte dei mezzi di comunicazione hanno calato un oscuramento mediatico con pochi precedenti. Nei giorni scorsi la maggioranza degli italiani non era a conoscenza del referendum e tanto meno dei temi sottoposti al loro giudizio.
Cari compagni e care compagne, la lotta che abbiamo condotto e conduciamo non è stata e non è ordinaria perché è a difesa di un modello sociale che è stato sottoposto contemporaneamente ad attacchi su più fronti per essere modificato profondamente in senso liberista e mercantile.
Qualora questi attacchi prevalessero il prezzo soprattutto per i giovani e per gli anziani sarebbe tremendo: non è esagerato pensare a milioni di nuovi poveri tra i lavoratori e tra i pensionati. Sarebbe la vittoria del modello individualista americano in un paese che non ha la potenza degli Usa. Accentuerebbe il declino economico dell'Italia. Per questo la nostra lotta è stata un riferimento centrale per i giovani e tutti coloro che si sono battuti contro questa globalizzazione che amplifica disuguaglianze, mette in discussione diritti e coesione sociale. Per questo abbiamo incontrato e siamo stati riferimento contro la guerra e per la pace. Per questo hanno guardato a noi quei democratici preoccupati della qualità della democrazia e della giustizia di questo Paese. Abbiamo fatto un gigantesco sforzo di mobilitazione chiamando alla partecipazione milioni di lavoratori , di giovani , di pensionati. 26 ore di scioperi generali per i diritti , lo sciopero dell'industria e la manifestazione di Napoli, tantissime manifestazioni tra le quali quelle gigantesche di Roma e di Milano per la pace, La nostra partecipazione e il nostro ruolo a Firenze e poi Porto Alegre e le manifestazioni con la Ces per una Europa sociale , democratica e pacifica.
Siamo una forza democratica, ad un tempo determinata e pacifica, unitaria orgogliosa della propria identità e autonomia e rispettosa dei tanti soggetti coi quali abbiamo interagito.
Soggetti che anche sul referendum hanno guardato a noi e che hanno atteso con speranza le nostre indicazioni. A tutti diciamo che la Cgil è in campo e che non disperderà il patrimonio di relazioni, di idee, di progetti che abbiamo costruito insieme.
Ci chiedono di rientrare nei giochi, di cambiare la linea decisa nel congresso di Rimini e perseguita coerentemente in tutti questi mesi. Ma noi siamo un po' come quelle bandiere della pace che testardamente non vogliono rientrare nei cassetti e continuano a indicare il bisogno di una pace vera. Noi, continuiamo a indicare una società più giusta, più equilibrata e perciò più democratica e più libera.
La nostra forza in questo cammino è la partecipazione. Senza la partecipazione non esisterebbe un sindacato confederale soggetto di trasformazione. La nostra base si fonda sulla partecipazione di singoli che liberamente decidono di associarsi per lottare uniti. Per questo è certamente importante che i cittadini si esprimano per il sì il 15 e il 16 luglio, ma più importante ancora è che tutti partecipino e non svuotino istituti importanti, basilari in una democrazia come l'esercizio del diritto di voto, il cui valore ci viene inaspettatamente ricordato dagli italiani emigrati all'estero.
Né l'appello alla partecipazione dei cittadini può essere flebile in un momento così delicato per la vita democratica . Il presidente del Consiglio per difendere i propri interessi ha aperto un conflitto istituzionale gravissimo non fermandosi neanche di fronte al dettato Costituzionale. Il presidente del Consiglio allarga il proprio controllo diretto o indiretto sui mezzi di informazione. Non ci è permesso di trasformarci in spettatori. Non ci è permesso di contribuire alla crisi di uno dei pochi istituti di democrazia diretta quale è il referendum. Soprattutto di questi tempi. Possiamo solo aggiungere all'invito a resistere quello di partecipare. "
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nalla foto Carla Cantone
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