15 Settembre, 2002
Finalmente liberi con le gambe in avanti di Vincenzo Andraous
Penso alla politica alta, penso agli uomini che la fanno, penso ai Caino come me che scontano la propria condanna, penso agli Abele
FINALMENTE LIBERI CON LE GAMBE IN AVANTI
di Vincenzo Andraous
Corre l’anno 2010 e mi continua a colpire
l’indifferenza, la disattenzione, con cui
si prende atto che in carcere ci si ammazza
a vent’anni, a quaranta, a sessanta, nel
silenzio più colpevole, ma ciò non provoca
alcun brivido, se non quello di prendere
per il bavero l’intelligenza.
In questo bailamme di disegni sgangherati,
di giustizia dell’ingiustizia, e di ingiustizia
della giustizia, in questo abisso: alla prima
curva non c’è più a fare da ponte l’uomo,
ma lo spettro di una disumana accettazione.
Penso alla politica alta, penso agli uomini
che la fanno, penso ai Caino come me che
scontano la propria condanna, penso agli
Abele dai silenzi protratti, e ricordo i
tanti miliardi elargiti a parole nella vecchia
legislatura, nella nuova, nella futura, per
un progetto “intero”, almeno così era stato
promesso.
Rammento le conferme per un investimento
serio e notevole per far si che la prigione
potesse praticare il dettato Costituzionale,
e non quell’incerta pena di morte tutta italiana.
S’è trattato di utopia, e gli utopisti sono
illusi nella teoria, e violenti nella pratica.
Di illusione s’è trattato davvero, infatti
quei soldi sono stati dirottati verso altri
lidi, verso altre istanze, non più per bilanciare
precise scelte di politica criminale, che
andassero, sì, verso una richiesta legittima
di sicurezza collettiva, ma con la stessa
intensità non disdegnassero una pena improntata
realmente su passaggi rieducativi, risocializzanti,
quindi destrutturanti-ristrutturanti.
Le necessità operative del carcere restano,
impellenti, improrogabili, eppure rimangono
a sopravvivere delle loro assenze e mancanze.
Peggio, si rifiuta di ovviare al problema
con lo sviluppo di spazi psicologici e relazionali,
dove chi è in prigione possa esprimersi liberamente,
in un terreno fertile per l’autocritica,
e per la propria crescita personale.
L’antropologia insegna che dal confronto,
laddove si realizzi un vero ragionamento
dialogico, scaturisce sempre e comunque un
“prodotto nuovo”, perché l’incontro e lo
scambio conducono a risultati sempre migliori
rispetto ai precedenti.
Tutto questo mi porta comunque a una ulteriore
considerazione; in tanti rimarranno alla
finestra ad aspettare, gli altri contribuiranno
a risolvere il problema del sovraffollamento.
Di Vincenzo Andraous
 
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