15 Settembre, 2002
Il Partito Democratico ritrovi le sue radici (di Romano Prodi)
Territorio e modello federale - *I lettori mi perdoneranno se, di fronte all'ennesima discussione sulla riforma del Partito Democratico, mi permetto di riprendere, con solo qualche aggiornamento, le proposte che, meno di un anno fa, ho fatto sulle colonne
Territorio e modello federale
IL PARTITO DEMOCRATICO RITROVI LE SUE RADICI
(di ROMANO PRODI)
Il Messaggero, 11 aprile 2010
I lettori mi perdoneranno se, di fronte all'ennesima discussione sulla riforma del Partito Democratico, mi permetto di riprendere, con solo qualche aggiornamento, le proposte che, meno di un anno fa, ho fatto sulle colonne di questo stesso giornale.
Il rumoroso dibattito
post-elettorale sul ruolo dei partiti politici e sul loro rapporto con i cittadini mi riporta infatti
indietro di qualche decennio quando, di fronte all'irreversibile crisi della Democrazia
cristiana, proposi di costruire il partito su base strettamente regionale ma con un forte patto
federativo nazionale. In poche parole si sarebbe dovuto dare vita al Partito popolare
lombardo, emiliano, laziale o siciliano ma tutti questi partiti sarebbero stati
obbligatoriamente federati alla Democrazia cristiana italiana. Non se ne fece nulla perché gli
avvenimenti presero la mano prima ancora che il dibattito potesse essere nemmeno iniziato.
E forse non sarebbe comunque iniziato.
Mi sembra oggi utile per il Partito democratico dare spazio a questo dibattito che si è
finalmente riaperto. Il risultato delle elezioni è stato infatti inferiore alle attese e la comune
interpretazione di questo risultato è che la struttura del partito stesso sia diventata
fortemente autoreferenziale, con rapporti troppo deboli con il territorio e con i problemi
quotidiani degli italiani, messi in secondo piano dai ristretti obiettivi dei dirigenti e delle
correnti.
Per questo motivo sento che sia opportuno ritornare su quella vecchia idea. Gli iscritti al
Partito democratico di ogni regione italiana dovrebbero cioè eleggere, naturalmente tramite
le primarie, il proprio segretario regionale. L'esecutivo nazionale dovrebbe essere
semplicemente formato dai venti segretari regionali, avendo il coraggio di cancellare gli
organi nazionali che si sono dimostrati inefficaci. A questi venti "uomini forti" dovrebbe
essere demandato il compito di eleggere il segretario nazionale, di decidere sulle grandi
strategie politiche del partito e, naturalmente insieme agli organi regionali, le candidature
per le rappresentanze parlamentari. La forza dei segretari regionali dovrebbe essere
ponderata non in base agli iscritti ma in base ai voti riportati alle elezioni politiche, perché il
raccolto di un partito non si basa sulle tessere ma sui voti.
Penso quindi a un esecutivo del partito formato esclusivamente dai segretari regionali, senza
le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex
presidenti del Consiglio. La politica del partito deve essere infatti esclusivamente decisa da
coloro che, essendo scelti tramite elezione, rispondono direttamente alla base del partito.
È evidente che tutto questo corrisponde alla necessità di un serio federalismo nel quale Nord
e Sud siano correttamente rappresentati e in cui si discuta in modo chiaro e definitivo la
linea da seguire oggi in Parlamento e, domani, al governo.Se si pensa in modo coerente ad
un'Italia federale, questo federalismo deve infatti partire dai partiti che, nonostante la
generale crisi in cui versano, sono anche oggi l'insostituibile fondamento di ogni sistema
democratico.
Questa riflessione sul federalismo non vale naturalmente solo per il Partito democratico:
ritengo infatti che nessuna grande decisione sul futuro del Paese possa essere presa senza
che ad essa partecipino in modo determinante i rappresentanti di tutte le regioni italiane.
Ritengo però che sia ancora più necessaria per il Partito democratico che, per completare le
fusione delle radici storiche che lo compongono, ha più degli altri bisogno di rinnovare i
modelli di reclutamento della sua classe dirigente e di costruire un luogo in cui le decisioni
prese non possano più essere messe in discussione. Non si può infatti continuare con
dibattiti senza fine nei quali si ritorna sempre al punto di partenza e ogni decisione viene
sentita come provvisoria, per cui, ad esempio, dopo avere optato per il cancellierato si
ritorna al presidenzialismo e dal presidenzialismo si finisce con la scelta di non cambiare
nulla, senza che si capisca come e da chi tutto questo venga deciso. La trasparenza esige che
ci sia una sede in cui si discuta in modo aperto e si decida la linea del partito senza che essa
possa essere messa in discussione da interviste o dichiarazioni di leader o di notabili.
Certamente questo implica un cambiamento radicale della vita del partito e della formazione
della sua classe dirigente e accentra sui venti segretari regionali poteri e responsabilità alle
quali il Partito democratico non è familiare. Questo mi sembra tuttavia l'unica soluzione per
fare funzionare un partito in modo trasparente ed efficiente in un momento in cui tutti
dicono di volere il federalismo ma in cui nessuno lo vuole costruire in modo democratico e
rispettoso delle esigenze di tutto il Paese.
Naturalmente tutto questo può funzionare solo se si impongono durissime regole di pulizia e
di trasparenza nelle procedure di tesseramento. Tutto questo potrebbe sembrare una banalità
ma, a oltre 60 anni dall'approvazione della Costituzione non si è ancora dato concreta
realizzazione all'art. 49, che dice con estrema chiarezza che i cittadini hanno diritto di
associarsi in partiti per concorrere "con metodo democratico" a determinare la politica
nazionale. Cominci quindi il Partito democratico a volere l'attuazione di questo articolo, se
non altro perché i suoi elettori sono più vigili di tutti gli altri quando si tratta di trasparenza e
di democrazia. Questo non è un vizio ma una virtù.
Mi accorgo che queste osservazioni sono guidate dall'astrattezza di chi è ormai fuori dalla
politica. Esse mi sembrano tuttavia utili per spingere all'approfondimento di un
indispensabile dibattito
In allegato l'articolo in formato PDF dunque, volendo, utilizzabile nel passaparola
 
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