“Solo una festa…” - così ci hanno rassicurato, alla partenza, gli
amici dell’Arci ma cominciamo a non crederci. Certo, ci si diverte o ci si
rilassa; ma ogni angolo di questo mappamondo “festoso” ha il potere di
assegnarci qualche “compito”, assieme alla piacevole sensazione che, in
fondo, non è poi tanto difficile, nel nostro piccolo quotidiano, fare un gesto
consapevole per quel “altro Mondo” possibile.
Ogni serata di questa “NonsoloFesta”, benché scivolasse via
piacevolmente, sollecita l’approfondimento di conoscenze e riflessioni.
Talvolta per niente semplici. L’ottava serata, proponendoci “Un viaggio
nella cultura del popolo rom”, ci ha portato proprio su un crocevia dove i
cartelli indicano mete affascinanti… e piene di incognite. “Popolo”, “identità”,
“libertà”. E “musica etnica”, “musica autentica”…
Valerio Serban (padre) alla fisarmonica, Nicola Serban (figlio) al cymbalon,
Anghel Aristide al violino formano la Taraf de metropoli; a Cremona
arrivano a Roma ma a Roma sono arrivati, chi qualche anno fa, chi pochi mesi fa,
dal centro di Bucarest, Romania. (Con Nicola e iI fratello Marian, il cantautore cremonese
Fabio Turchetti ha realizzato alcuni brani - forse i più belli… - del suo “Tre
modi per dire rumba”, disco immeritatamente “semiclandestino”.) Questa
Taraf la sua musica la suona non per “scelta estetica”; vengono da un gruppo
“etnico” dei rom che tradizionalmente vive di musica, dove i bambini
(maschi) prendono in mano il violino non appena fisicamente sono in grado di
farlo, spesso arrivando giovanissimi ad un grado di virtuosismo che a molti di
noi non riuscirebbe a conferire nemmeno una vita passata in tutti i conservatori
musicali d’Europa.
Il programma prometteva “musica etnica autentica”. E’ stato così e non
è stato così. Serban padre sorride sornione: “La nostra musica è troppo
difficile per chi non è abituato…” Già. Saremmo finiti più vicini all’India
che ai Balcani. Ma autentica lo era la musica di ieri sera. Taraf de Metropoli
ha sfoderato un repertorio che avrebbe potuto accompagnare una nottata di balli
e baldorie di festa di nozze nel centro di Bucarest o in un villaggio delle
montagne. E’ stata la tavolozza più multicolore che si potesse ammirare;
brani della tradizione orale ungherese, brani d’autore (cose da “impero
austro-ungarico”) che la cultura orale ha fatto propri in un secolo di “riedizioni”,
cenni al canto rom, questo sì, “autentico”, ritmi e armonie che dal Mar
Nero arrivano all’Adriatico. L’Europa Unita, insomma, in versione “cigàny”,
“tzigan”, zigano, zingaro e mettete tutte le forme che conoscete per
indicare questo popolo “non popolo” che si definisce rom, ovvero “libero”.
I rom sono discendenti di popolazioni ariane dell’India. Un bel problema
per i teorici del genocidio nazista. Un “grande professore” risolse il
problema: "Gli Zingari hanno effettivamente mantenuto alcuni elementi
della loro origine nordica, ma essi discendono dalle classi più basse della
popolazione di quella regione. Nel corso della loro migrazione, hanno assorbito
il sangue delle popolazioni circostanti, diventando quindi una miscela razziale
di Orientali e Asiatici occidentali con aggiunta di influssi Indiani,
Centroasiatici ed Europei.” Sangue troppo misto, dunque: destinazione
Treblinca, Auschwitz…
Cronaca doveva essere, cronaca di una serata e invece si sta andando troppo
lontano… Sta qui la bellezza delle serate ArciFesta. Ci portano lontano.
Per i naviganti: il mare di Internet è pieno di perle - e di scogli - per
chi va cercando notizie sui rom. E’ tappa d’obbligo il sito dell’Opera
Nomadi di Milano http://web.tiscali.it/operanomadimilano; un’altra
delle possibili è www.vurdon.it.
M.T.