15 Settembre, 2002
06 settembre 2004 - In Ossezia e nel mondo
Una riflessione di Emergency

Quanti sono i morti di Beslan? Trecento, quattrocento, ancora
più numerosi? Quanti di loro sono bambini: quante le vite stroncate prima di
essere vissute?
Le domande su come si sia oltrepassata questa soglia della disumanità, sulla
provenienza e sulle intenzioni dei sequestratori assassini, sugli errori
colpevoli o sui calcoli cinici di chi doveva contrastarli e arginarne la
ferocia, sulle cause remote, su come nulla possa essere causa di simili effetti…
tutto questo è necessario, giusto, doveroso chiedersi.
Ma le immagini che ci sono rimaste impresse provocano anzitutto smarrimento. E
sembra in qualche modo sacrilego interrompere questo stupore incredulo con
riflessioni che hanno il sapore di una distrazione o di un diversivo.
Vogliamo soltanto comunicare, trasmettere ciò che quelle immagini ci hanno
evocato: analoghe o identiche situazioni vissute tante volte in quartieri di
Bagdad, di Kabul, di Belgrado, di Gerusalemme, di Gaza; in cittadine e villaggi
iracheni, afgani, iugoslavi, israeliani, palestinesi…
La sofferenza e la morte, il dolore di famiglie e di intere comunità sono
sconvolgenti, improvvisi e assurdi quando sono dovuti a feroci attentati, a
errori casuali nel colpire o nello scegliere l’obiettivo, obiettivi scelti e
raggiunti intenzionalmente… sono sempre immotivabili e inaccettabili.
Estendere ad altre situazioni le emozioni e i pensieri che «la diretta» dall’Ossezia
ci ha suggerito non significa sminuire, stemperandoli, il turbamento e lo
sdegno.
Dobbiamo sapere che situazioni e fatti altrettanto sconvolgenti si ripetono,
ininterrottamente, sottratti allo sguardo di tutti.
Il dolore che abbiamo potuto conoscere una volta - questa volta - si produce
deliberatamente, consapevolmente, innumerevoli volte.
Non dobbiamo conoscere l’estensione di questo dolore per accettarlo con
rassegnazione, ma per rifiutarlo con identica decisione, se lo avremo compreso
con la stessa umanità, con la stessa pietà.  
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