Una serata (anzi “un’altra serata”) di cabaret ci è stata promessa e
noi certamente ci siamo anche divertiti con il Quartetto Euphoria. Abbiamo
anche invidiato un poco quella lingua dei nativi d’America che ha un sacco di
nomi per la lepre: uno per la lepre che corre, uno per quella nascosta
nell’erba… Le nostre lingue rispondono ad una esigenza classificatoria
diversa e danno un nome al soggetto (oggetto) tentando poi l’individuazione
più precisa con degli aggettivi. Musica classica, musica leggera, musica folk…
Lo spettacolo del Quartetto Euphoria (due violini: Marna Fumarola e Alessia
Massaini, una viola: Chie Yoshida, e un violoncello, quello di Michela
Munari) sta lì a dimostrare che la Comicità non è una donzella leggiadra
accanto alla grande signora della Satira. Sono – possono essere – entrambe delle gran Signore, per giunta intelligenti. Può darsi che a far scoppiare la risata
sia l’immediato effetto comico di un violoncello suonato dalla Munari sdraiata
sul palco o di un quartetto di “ballerine classiche” che esegue in modo
impeccabile (“musicalmente parlando”) la “morte del cigno”. Guardando e
ascoltando ci si diverte e basta. Ripensandoci, si apprezza l’intelligenza che
sa, con lievità, scomporre e ricomporre le nostre scatole mentali di “classificazione”
dei generi musicali e dei loro “dovuti” modi di esecuzione, che sa prendere
in giro – senza gridarlo – i nostri luoghi comuni, che tira fuori da quella
vetrinetta (gabbia tristolina di oggetti da spolverare, ogni tanto) a cui una
imbalsamante cultura musicale (politica culturale) relega il più classico dei
classici: il quartetto d’archi. Chi ha conosciuto il Quartetto Euphoria sa che
il quartetto d’archi è un insieme di strumenti musicali, vivi.
A quattro passi da loro, su una piazza laterale – perché anche una Festa sinceramente
multiculturale stabilisce delle priorità… – erano tornati a suonare i Din
delòn. Per carità, non si vuole mica contestare la loro destinazione alla
pedana laterale, dacché quella è senz’altro loro congeniale, essendo più a
contatto con i partecipanti – non spettatori. È la contemporaneità dei due
eventi musicali (“bis” incidentalmente mancato) che ci fa piantare in testa
un grosso punto interrogativo.
Musiche e danze del Nord Italia. E molti ballano. Perché “lo spettacolo”
dei Din delòn non è una “rievocazione” della musica tradizionale, o musica
popolare o musica folk, sempre nome e aggettivo, come la lingua italiana –
parimente a molte altre – direbbe “la lepre che salta”, così è il nostro
modo di nominare. Loro suonano – e suonano maestralmente – e la gente balla
quando loro suonano musica da ballo. Qualcuno preferisce la polka “da liscio”,
qualcuno quella dei Din delòn. Il liscio non viene considerato “di nicchia”
- laterale, appunto - il “folk” sì.
Non è per questo che sono capitati nella stessa serata ma - ormai che è
capitato – ne approfittiamo per dire che, in fondo, i due “quartetti” non
fanno cose tanto diverse. Fanno vivere quello che la cultura dei consumi ha
destinato alla vetrinetta, ciascuno sul suo ripianetto. Da spolverare, ogni
tanto, perché noi alle cose d’antiquariato ci teniamo.
M.T.