15 Settembre, 2002
Poesia e gospel: le voci della «buona novella»
Gli «stagionali della poesia» e Kay Foster Jackson & the Free Voices
Quando si dice il caso. Oggi leggevo - “on line”, solo così è
possibile, da queste parti - la pagina culturale del giornale La Sicilia. Apro
una parentesi. Ebbene sì, in quella pagina e a volte anche in altre si trova
sempre qualche perla, come se fosse un microscopico portale culturale. Prova ne
sia la “cronaca” di Veronica Tomassini “Anche i Rom fanno festa contro
l'amaro della vita” sul numero di ieri, 13 luglio; ma tutto questo ci
porterebbe lontano-lontano perciò chiudo la parentesi. Volevo dire dell’intervista
con Derek Walcott, poeta, scrittore e drammaturgo, il caraibico-britannico premio
Nobel per la letteratura, in occasione della prima della sua “Odissea” all’Ortigia
Festival, a Siracusa. Walcott ammette: «adoro le "reading" delle mie
cose». Ambasciatore di se stesso - lo stuzzica la giornalista. Troppo pomposo, risponde lui. «Un aedo, allora. Come Omero».
“Reading”, insomma. Gli “stagionali della poesia”, in rigoroso ordine
alfabetico, come suggerisce l’ultimo dell’elenco, Ilde Bottoli, Vincenzo
Montuori, Carla Paolini, Anna e Igor Paulinich e Giovanni Uggeri hanno già
offerto a questa festa - oltre che molte altre occasioni nella loro quindicennale vita di
“gruppo culturale” - una serata di poesia, in omaggio a Fabrizio de Andrè.
Questa serata è dedicata a Mario Luzi, alla sua poesia che è anche
testimonianza civile e oggi, dopo la sua morte, una impegnativa eredità:
«Vivere, vivere, non cercare scampo…»
C’è chi non accetta la forma “lettura scenica” della poesia e non è
una obiezione da scacciare come fosse null’altro che una fastidiosa zanzara.
Francesco Russo - che non si definirebbe mai poeta ma di cui abbiamo letto dei versi
emozionanti - mi dice che tra la parola e il lettore non ci deve essere alcun
intermediario. L’idea è affascinante; ma lui ha usato la parola “Parola”
- non “verso”, "poesia” o altro - così mi vien da ricordargli che ha appena
cancellato il concetto del sacerdozio. No, questa volta non sto divagando, sto
arrivando dritta-dritta al secondo appuntamento della serata.
Gospel. A fine spettacolo Kay Foster Jackson sottolinea: il suo significato
è “portare la buona novella”. Domandavo a lei e al pianista Giovanni
Guerretti del perché di una tale popolarità del gospel; la loro serata ha
avuto quello che una qualsiasi cronaca non può che definire “un successo
strepitoso”. Entrambi assicurano che questo successo non è dovuto a qualcosa
legata alla musica in sé ma alla spiritualità che sprigiona. Alla sua “positività”
e alla sua forza coinvolgente, dice Guerretti. Alla sua capacità di farci
andare a casa con la sensazione di essere diventati più ricchi - aggiunge Kay,
e prosegue: La gente cerca qualcosa…, qualcosa che non riesce nemmeno a
definire cosa sia e spesso la cerca nei posti sbagliati. Cerchiamo qualcosa che
forse non è altro che l’amore. Quello puro.
È bello lasciarsi rapire dalla certezza di questa splendida donna - persona
- cantante gospel, riposarsi nell’abbraccio del suo sorriso e dimenticare il
dubbio. Sì, vogliamo credere che tutti quanti i presenti abbiano cantato in
coro “he’s my love, he’s my peace, he’s my home…” pensando allo
stesso amore, alla stessa pace, alla stessa casa. Perché, ha ragione Kay,
questa volta certamente hanno cercato al posto giusto quel “qualcosa” così
difficile da definire. In una piazza chiamata Babylonia, in compagnia della
poesia, in compagnia del canto. Con la dimensione del sacro, con la Parola,
prima o poi ci si incontra. Giovanni Uggeri mi diceva, a proposito del "reading": "Io andrei a leggere poesie alla gente anche nelle osterie. Perché anche se una sola persona mi avvicina alla fine per dirmi dell'emozione che ha provato, ho già ottenuto quello che volevo." Giovanni, l'evangelista? Non scherziamo. Aedo, come Omero. Poeta-cantore.
M.T.
 
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