15 Settembre, 2002 Un partito democratico o un partito per Prodi? Emanuele Macaluso interviene sul Riformista
La vicenda di Telecom rivela in modo inequivocabile la debolezza
politica della guida del governo. Dopo il «non sapevo niente» e
il «non conoscevo ciò che il mio consigliere proponeva a Tronchetti
Provera», e dopo aver affermato con sicurezza che solo dei matti
potevano pensare di discutere in Parlamento il «caso», Prodi ha poi
annunciato che due suoi ministri (evidentemente matti) lo faranno;
dopo avere detto che il suo Rovati non si sarebbe dimesso, leggiamo
poi sui giornali che il consigliere si è dimesso. E che dire
dell'opposizione? Berlusconi chiede prima una commissione di
inchiesta (come su Telekom Serbia?) e poi le dimissioni del governo
come se parlasse una persona libera da interessi nel settore
economico di cui si parla. Semmai c'è da osservare come il conflitto
di interessi si manifesti non solo se si è al governo ma anche
all'opposizione.
Insomma, il sistema politico italiano non riesce a uscire dalla crisi
che lo caratterizza. Il fatto che nel 2006, dieci anni dopo il 1996,
si siano sfidati ancora Prodi e Berlusconi è un segno evidente che
non c'è un rinnovamento di classi dirigenti e di leadership. Nella
prima repubblica il ricambio era bloccato a causa dell'assenza di
alternanza al governo. E Moro poteva dire che la Dc doveva essere
alternativa a se stessa. Eppure all'interno di quel partito il
ricambio dei leader era un segno di vitalità politica. Ora dobbiamo
guardare con serenità e onestà il travaglio che c'è all'interno dei
due poli per superare le attuali formazioni e costruire nuovi
soggetti politici più robusti e adeguati. Su queste colonne avevo
scritto che nel centrodestra il vero punto di crisi è Forza Italia
perché si identifica ancora, e solo, con il suo leader e appare un
partito irriformabile. Sandro Bondi mi ha gentilmente risposto
elencando «riforme» statutarie riguardanti la vita del partito che
riforme non sono perché ruotano su un punto fermo: Berlusconi è il
sole e tutto ruota intorno ad esso. Ingenuamente Bondi scrive che la
direzione del partito deve «assistere il presidente nelle decisioni
politiche e organizzative cruciali». Insomma «l'organo» decisionale è
sempre uno e uno solo: il Cavaliere.
Va detto che la discussione nell'Ulivo per dare vita al partito
democratico è sì diversa, ma surreale. Fassino ha detto (ricordando
il congresso del 2001) che è tornato a Pesaro dopo 5 anni (cinque) in
cui si è impegnato (come D'Alema, Rutelli e Prodi) a fare quel
partito e che «indietro non si torna» ma non spiega perché non si va
avanti. Forse perché il nodo della collocazione internazionale del
partito non è risolvibile e sui temi "eticamente sensibili" si
manifestano contrapposizioni radicali, ma anche perché in molti,
soprattutto nella Margherita, avvertono che c'è chi lavora per fare
del partito democratico un "partito per Prodi".
I leader della Margherita sulla vicenda di Telecom hanno
sornionamente criticato palazzo Chigi per la sua linea politica, ma
soprattutto è trapelata la preoccupazione che a decidere sulla
riorganizzazione dei poteri che contano fosse solo Prodi con il
suo "staff", con i suoi fedeli, insomma il possibile nucleo forte del
progettato partito. Il leader, quando è espresso da un grande partito
come frutto di una battaglia politica è una cosa; quando invece è
frutto di un enorme potere personale senza partito (Berlusconi) è
un'altra. Se poi si vuole costruire un partito per supportare una
persona che un partito non ha (Prodi) è un'altra cosa ancora. Lo
vediamo tutti i giorni.