15 Settembre, 2002
L’impegno dell’Internazionale Socialista per la pace e la giustizia
Intervento di Antonio Guterres, Presidente dell'Internazionale Socialista, al Consiglio dell'IS a Roma
Una Internazionale grande come il mondo
Consiglio dell’Internazionale Socialista
Roma – 20 e 21 gennaio 2003
L’impegno dell’Internazionale Socialista per la pace e la giustizia
di Antonio Guterres
Presidente dell’Internazionale Socialista
Il Consiglio di Roma dell’Internazionale Socialista si tiene in un momento in cui è particolarmente importante riaffermare l’impegno dell’IS su due valori fondamentali, nel contesto della mondializzazione: la pace e la giustizia. Pace che non è solo assenza di guerra, ma piuttosto il risultato di un buon ordinamento delle relazioni internazionali. Giustizia è il fondamento essenziale della pace, senza la quale essa non sarà né stabile né duratura.
Voler preservare la pace come bene essenziale non è sinonimo di ingenuo pacifismo. Noi, nell’Internazionale Socialista, non siamo ingenui pacifisti. Noi affermiamo la necessità di combattere il terrorismo in uno sforzo congiunto della Comunità Internazionale, non riconoscendo attenuanti o giustificazioni ad atti terroristi, che distruggono la vita di persone innocenti. Come comprendiamo anche che è necessario, in situazioni estreme, usare la forza in operazioni di mantenimento della pace (peace keeping) o, persino, di imposizione della pace (peace enforcing).
Questa prospettiva realista presuppone, però, due esigenze, per noi fondamentali: la lotta al terrorismo non può sacrificare le libertà e i diritti umani, e non si può accettare il sostegno a dittature cosiddette amiche, in una logica di due pesi e due misure; l’uso della forza per mantenere o imporre la pace non può essere il prodotto dell’arbitrio unilaterale dei potenti, ma deve basarsi sul rispetto del diritto internazionale e sull’iniziativa o, almeno, sul consenso espresso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unica istanza legittimata, ancorché imperfetta, per prendere decisioni a nome della comunità internazionale. La crisi dell’Iraq è, a questo rispetto, un test decisivo.
Il primato del diritto internazionale richiede il costante perfezionamento dell’efficacia degli strumenti di messa in atto. Particolare importanza assumono, quindi, la chiara definizione di un vero diritto d’ingerenza umanitaria e l’entrata in funzione del Tribunale Penale Internazionale, che tutti devono accettare. La grande priorità per i difensori della pace nel mondo è, oggi, l’impegno per una soluzione equilibrata e giusta del conflitto del Medio Oriente e, in particolare, della questione israelo-palestinese. Essa è stata la “madre di tutte le guerre”, il grande fattore d’instabilità e di perturbazione della pace mondiale, l’alimentatore d’ingiustificate tensioni di civiltà e d’impulsi terroristici. L’IS ha sempre condannato con fermezza gli atti terroristici, di cui, ripetutamente, la popolazione d’Israele è stata fatta oggetto e ha esortato l’Autorità Palestinese ad impegnarsi, senza riserve, per evitarli e combatterli. Ma l’IS ha anche sempre affermato che il terrorismo contro vittime innocenti non si combatte con il terrorismo di stato. S’illudono coloro che pensano che la pace sarà possibile senza che venga offerta una chiara prospettiva al popolo palestinese, con lo Stato cui ha diritto. Stato che vogliamo sia pienamente democratico e che coesista con lo Stato di Israele, con piene garanzie di sicurezza per entrambi.
In una logica globale, come già ho detto, la lotta per la pace implica, necessariamente, la lotta per la giustizia. In questo momento, la Comunità Internazionale ha definito un’agenda basata sulla “Dichiarazione del Millennio” delle Nazioni Unite, sulle decisioni di Doha sulla liberalizzazione del commercio mondiale, sull’Accordo di Monterey sul finanziamento dello sviluppo e sulle conclusioni di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile. E’ un’agenda limitata, molto al di sotto delle aspettative e delle raccomandazioni dell’IS. Ma è, nonostante tutto, un passo nella giusta direzione. Occorre però sapere che anch’essa non è affatto scontata e che vi è bisogno dell’impegno dei socialisti nelle istituzioni internazionali, nei governi e nelle organizzazioni non governative.
Un’agenda da tradurre in un accordo globale, che non eluda le questioni emblematiche che devono trasformarsi in bandiere di mobilitazione per tutti noi, comprende: l’annullamento del debito dei Paesi più poveri con un minimo di condizioni di buon governo (good governance), superando l’inefficacia del programma HIPC; il completamento dell’apertura unilaterale dei mercati del mondo sviluppato alle esportazioni provenienti dai Paesi più poveri; il cambiamento radicale della politica di sussidi agricoli nell’Unione Europea, Stati Uniti e Giappone, con la fine di un inaccettabile fattore di distorsione dei mercati e uno dei principali ostacoli allo sviluppo del Sud. E’ legittimo e persino necessario promuovere lo sviluppo rurale, sostenere il reddito delle famiglie che garantiscono popolamento, ambiente e preservazione dei valori culturali, alla base dell’identità dei popoli. ma ciò non va confuso con l’attuale Politica Agricola Comune, o con i sussidi statunitensi aumentati di recente. E’ intollerabile che il “reddito pro capite” del bestiame dell’UE sia superiore a quello di oltre un miliardo di donne, bambini e uomini del nostro Pianeta.
Ed ancora: la creazione di condizioni di effettivo accesso delle popolazioni più povere alle medicine indispensabili per prevenire o curare epidemie, il maggiore flagello dell’umanità; l’impegno deciso per porre fine alle piazze off shore, che sono non solo un’ingiustizia fiscale ma, soprattutto, per l’assenza di controlli e con l’anonimato, un fattore decisivo nel finanziamento di terrorismo, traffico di droga e criminalità organizzata; una forte pressione politica per un aumento significativo dell’aiuto pubblico allo sviluppo, oggi inaccettabilmente lontano dagli obiettivi internazionalmente fissati; infine, la piena assunzione, da parte della Comunità Internazionale, di ciò che rappresenta il grande scandalo di quest’epoca: la situazione dell’Africa subsahariana. Un Continente che non è la principale vittima degli effetti perversi della globalizzazione solo perché, sfortunatamente, è praticamente al di fuori di tale processo. Un Continente abbandonato alla guerra, alla povertà, alla fame, alla malattia e alla morte. L’iniziativa NEPAD, promossa da un gruppo di Paesi africani, che si propongono di rispettare le regole della democrazia e del buon governo, merita una risposta molto più forte della vaga simpatia che sinora ha ricevuto.
Queste sono cause concrete che ci devono impegnare e mobilitare in maniera attiva e solidale. Ma non cancellano la prospettiva di fondo. L’obiettivo centrale dell’IS è stato, negli ultimi anni, l’esigenza di un’Agenda di riforme per regolare la globalizzazione e per una nuova architettura delle relazioni internazionali più equilibrata e più giusta, garantendo un sistema efficace di governo mondiale (world governance).
Ricordo alcune delle proposte che abbiamo formulato, al di là della necessaria riforma del sistema delle Nazioni Unite: la creazione di un Consiglio di Sicurezza Economica e Sociale dell’ONU, capace di sostituire il G7-G8, dotato di legittimità internazionale, con il compito di coordinare lo sviluppo sostenibile su scala globale e promuovere risposte efficaci a squilibri e situazioni di crisi, come quella in cui stiamo vivendo, con i principali motori dell’economia mondiale inceppati e incapaci di uno sforzo congiunto per rilanciare la crescita e l’occupazione. La riforma del sistema di Bretton Woods e la revisione del “consenso di Washington”, con un maggior controllo democratico e con una condizionalità dei sostegni che non tenga solo in considerazione esigenze ragionevoli di solidità finanziaria dei Paesi o di liberalizzazione dei mercati, ma anche le necessità economiche e sociali dei popoli; la creazione di un’Organizzazione Mondiale dell’Ambiente, che promuova l’applicazione degli accordi e dei trattati esistenti, come il Protocollo di Kyoto, ne prepari di nuovi, produca dottrina e costruisca una base di dati credibile sulla realtà ambientale del Pianeta; il rafforzamento del ruolo e della capacità di intervento dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro; l’introduzione, in forma non protezionista, di clausole sociali e ambientali nei negoziati condotti sotto l’egida dell’OMC. Proposte come queste, associate all’approfondimento di processi di integrazione politica, economica e sociale a livello regionale, come il caso dell’UE, a una forte e aperta cooperazione interregionale ed una sempre più attiva partecipazione della società civile in uno spazio pubblico mondiale, sfortunatamente ancora solo abbozzato, contribuirebbero certamente ad una più grande giustizia nelle relazioni internazionali, vero fondamento di una pace durevole.
Questa agenda di riforme richiede una profonda ridistribuzione dei poteri, il ché può essere considerato utopistico in un momento in cui il potere pare concentrarsi sempre di più. Ma l’utopia di oggi deve essere la realtà di domani. Sempre è stato così in passato, quando i socialisti sono stati all’altezza delle loro responsabilità.
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