15 Settembre, 2002
Una ragione pubblica per la bioetica
Il Manifesto per la bioetica. Chi fosse d'accordo può sottoscrivilo inviando una e-mail con oggetto: *aderisco al manifesto della bioetica. Indirizzo: segr.redazione@europaquotidiano.it
In Italia le questioni bioetiche sono fonte di profondi conflitti culturali e politici. Esse vengono affrontate seguendo un rigido schema ideologico, che contrappone «cattolici» e «laici» senza possibilità di mediazione: ogni tentativo in tal senso è tacciato di infedeltà dalle rispettive culture di appartenenza. Questa
contrapposizione è documentata a livello culturale da diverse
pubblicazioni e a livello politico dallo scontro, spesso trasversale
rispetto agli schieramenti parlamentari, che caratterizza ogni
tentativo legislativo di affrontare i problemi etici. Trattate in
questo modo, le questioni bioetiche dividono costantemente le
coscienze e i problemi più gravi restano spesso irrisolti, anche
dopo la promulgazione di leggi apposite.
Questo documento intende proporre un diverso metodo per le
questioni bioetiche. La proposta è rivolta anzitutto al nascente
Partito Democratico, nel quale sembra oggi aprirsi lo spazio per una
fruttuosa elaborazione culturale su tali questioni. La definizione
di un metodo di discussione sui problemi inerenti la vita e la
scienza è, infatti, un elemento decisivo di un'identità politica che
intenda presentarsi come innovativa. Il documento si rivolge però
anche ad altre culture e forze politiche, nell'intento di
contribuire a superare contrapposizioni troppo rigide e costituire
la base per interventi legislativi più ampiamente condivisi.
Occorre elaborare un punto di vista in grado di sostenere le scelte
politiche e pubbliche sulle questioni bioetiche a partire da un
terreno comune. Questo può essere costituito dall'idea di «ragione
pubblica» e può trovare nel principio del rispetto per tutte le
persone in quanto libere ed egualmente degne il nucleo portante
delle argomentazioni.
Non si tratta di operare una difficile sintesi fra culture
diverse o di cercare un compromesso fra tradizioni, bensì di porre
le basi di una riflessione etica e politica sul bene che è la vita
umana, nei contesti in cui è oggetto delle tecnologie biomediche.
Un consenso fra modi diversi di fondare le proprie opinioni
morali può avvenire se si identificano gli scopi, il metodo e i
contenuti minimi di una bioetica adeguata a un Paese democratico e
avanzato.
Gli scopi della discussione bioetica
Lo scopo delle discussioni bioetiche nell'arena pubblica non è
l'affermazione di un'appartenenza ideologica o culturale. Né lo è il
tentativo di prevaricare le tesi altrui o di renderle minoritarie
per attuare politiche unilaterali o illiberali. Si assiste nel
nostro Paese alla costante rincorsa a «piantare una bandiera» sulle
principali questioni bioetiche allo scopo di ottenere l'adesione
emotiva e incondizionata di ampi settori dell'opinione pubblica.
Questo avviene spesso senza che si esibiscano le ragioni
pubblicamente rilevanti che dovrebbero sostenere le scelte che
valgono per tutti i cittadini; si cerca piuttosto di ottenere
una «vittoria» numerica sulle opinioni differenti.
Lo scopo appropriato della riflessione bioetica è, invece,
la delineazione di politiche sulla vita il più possibile condivise,
basate sul reciproco rispetto della libertà e integrità personali.
Le scienze biomediche e le biotecnologie impongono oggi un'ampia
revisione dei modi in cui si regola l'accesso alle cure e
l'esercizio dei diritti individuali nell'uso delle tecniche. Il
corpo personale costituisce una sfera di individualità inviolabile,
ma al tempo stesso è di primario interesse pubblico definire le
tutele e i diritti fondamentali che lo riguardano. L'equità delle
politiche sul corpo è una delle sfide più profonde di questi e dei
prossimi anni per le democrazie liberali ed è essenziale che si
formi un patrimonio di tutele riconosciute e opportunità equamente
accessibili per tutti i cittadini.
A tale scopo serve anzitutto una cultura della vita intesa come bene
pubblico e diritto individuale, una cultura che sia il luogo in cui
la libertà delle persone può esprimersi nel rispetto di sé e degli
altri.
Tracciare il profilo di questa cultura condivisa per la
tutela della vita personale e definire i confini dei suoi spazi di
libertà sono gli obiettivi primari della discussione bioetica. È
altresì necessario sviluppare una diversa dinamica della discussione
fra le ragioni pro o contro le diverse opzioni. Invece della
contrapposizione di tesi non confrontabili, perché basate su
premesse incompatibili, occorre adottare il metodo del confronto fra
argomentazioni fondate su criteri di ragionevolezza accessibili da
parte delle diverse tradizioni in vista di una convivenza
cooperativa.
Il metodo della ragione pubblica
Per uscire dalla situazione di stallo che caratterizza il dibattito
italiano, è utile riferirsi a quanto scrive John Rawls nel saggio
intitolato «Un riesame dell'idea di ragione pubblica» (1997). [1] La
ragione pubblica è quella di cui dovremmo far uso nel confronto e
nel dibattito civile e politico, quindi anche quando dobbiamo
affrontare problematiche di natura propriamente etica e bioetica.
L'intento pratico della ragione pubblica fa sì che essa si basi sui
criteri della ragionevolezza (cioè della razionalità in condizioni
limitate) e della reciprocità tra cittadini liberi ed eguali.
Soprattutto, la ragione pubblica non è equiparabile alla ragione
secolare e quindi non è una ragione radicalmente e pregiudizialmente
contrapposta alla religione. Vi è in Italia una radicalizzazione del
significato sia di «cattolico» sia di «laico», quando si parla di
bioetica. Quando queste due tradizioni sono intese nelle loro
accezioni più forti, si presentano così compatte e radicali da
rendere impossibile qualsiasi dialogo. In questa contrapposizione,
le categorie di «laico» e «cattolico» sono sottoposte a una torsione
che non corrisponde al loro significato originario. Per certi
aspetti, potremmo parlare, a proposito del dibattito bioetico in
Italia, di un esproprio delle categorie di «laico» e «religioso» da
parte di interpretazioni particolarmente rigide della laicità e
della religiosità. Il risultato è l'impossibilità di giungere a
decisioni condivise e l'instabilità del quadro legislativo sulle
questioni relative alla vita.
Di natura diversa è la ragione pubblica. Essa può utilmente
attingere alla ricchezza simbolica delle tradizioni religiose e ai
loro contenuti, nella misura in cui questi rispettino i criteri
della ragionevolezza e della reciprocità e possano poi tradursi
pubblicamente. La natura pubblica delle ragioni fa sì che attorno ad
esse si realizzi un consenso benché ciascuna delle parti muova da un
proprio punto di vista. Si può introdurre nella discussione pubblica
una dottrina comprensiva, anche religiosa, purché si sia disposti a
sostenerne le tesi sulle questioni relative al bene comune con
ragioni pubbliche, non esclusive di quella dottrina.
Proprio in un settore delicato e complesso come quello della
bioetica è di primaria importanza avere come obiettivo un «consenso
per intersezione», nel quale un metodo comune di discussione (non
una comune dottrina presupposta) conduce a soluzioni condivise.
Una cultura liberale e democratica si esprime anzitutto
attraverso questo metodo della discussione ragionevole in vista
della giustizia. Non si tratta di far prevalere una certa concezione
dell'assetto sociale ottimale o della più perfetta forma di vita,
bensì di definire le basi essenziali del rispetto di ciascuna
persona nei differenti ambiti.
Le basi della bioetica pubblica risiedono nel modo in cui si
affrontano i problemi urgenti e complessi posti dalla biomedicina
contemporanea. Il criterio essenziale è costituito dall'impegno a
offrire ragioni che non si sottraggano allo scrutinio razionale. In
tal senso, anche se la radice di alcune opinioni si trova in
determinate tradizioni culturali o religiose, nell'arena pubblica
non si fonda una tesi principalmente sulle premesse rivelate o
proprie di una sola tradizione, ma la si argomenta in base a
premesse ragionevolmente condivisibili da tutti. La fiducia in
questa capacità critica della ragione umana è essenziale alla
costruzione di un Paese democratico.
I contenuti minimi della ragione pubblica in bioetica
Un criterio generale che deriva dal metodo della ragione pubblica e
che può costituire un primo elemento del consenso per intersezione è
il principio del rispetto. Esso consiste nel riconoscere ad ogni
persona un'eguale dignità e libertà. Ciascuna persona è un fine in
sé e nessuno può essere ridotto a un semplice mezzo; al tempo
stesso, ogni persona porta la responsabilità ultima delle proprie
scelte. Questo principio è di fatto incorporato in diversi articoli
della prima parte della Costituzione italiana (artt. 2, 3, 13, ecc.)
e può costituire un primo elemento del consenso per intersezione.
Questo principio in ambito bioetico si può tradurre in alcuni
diritti fondamentali: il diritto all'integrità, il diritto alle cure
e il diritto al rifiuto delle cure. Di qui si possono ricavare
alcune propensioni generali, che si offrono alla discussione
pubblica e all'approfondimento sul piano sia culturale sia
applicativo.
Il «diritto all'integrità» consiste nel rispetto dell'integrità
personale di ciascun individuo nell'arco della sua vita. Tale
diritto riguarda tanto la corporeità, che non può essere oggetto di
commercializzazione, quanto i tratti che definiscono l'identità
personale del singolo attraverso le sue scelte e la sua storia.
Rispettare le persone come libere ed eguali significa non violarne
l'integrità fisica e psicologica e non minare la fondamentale
uguaglianza fra gli individui. Tale rispetto passa anche attraverso
un'appropriata cura del dolore e della sofferenza, soprattutto nelle
fasi conclusive della vita.
Il «diritto alle cure» fonda l'equo accesso di tutti i cittadini
alle possibilità di cura oggi disponibili, ivi inclusi i trattamenti
che consentono di difendere la propria salute e integrità. Una
cultura autenticamente democratica non può che considerare la salute
delle persone come un bene che merita l'impegno solidale di tutti i
cittadini; ciò vale in modo particolare per le persone meno
avvantaggiate che, a motivo di patologie croniche, sono costrette a
ricorrere in maniera stabile e prolungata alle competenze della
scienza medica.
Il «diritto al rifiuto delle cure» esprime la difesa essenziale
della libertà personale di fronte alla medicina, per cui, come si
afferma nella Costituzione italiana, «nessuno può essere obbligato a
un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge» (art. 32). Questo diritto è confermato anche dalla
Convenzione europea di Bioetica (Oviedo) quando afferma che «Un
intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non
dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e
informato» (art. 5). La dignità delle persone è violata
dall'impossibilità di opporsi a trattamenti giudicati sproporzionati
o futili. Tale diritto andrebbe peraltro garantito anche alle
persone non più in grado di prendere decisioni autonomamente,
attraverso una appropriata legislazione sulle direttive anticipate.
Questi diritti di carattere generale offrono una base ragionevole
per la discussione pubblica su questioni bioetiche più determinate.
In tali questioni la condizione essenziale è che, per sostenere una
determinata scelta politica o legislativa, si ricorra a ragioni non
esclusive e si accetti l'obiettivo di un consenso ragionevole in
vista del bene comune.
20 settembre 2007
Proponenti (in ordine alfabetico)
Enrico Berti
Laura Boella
Antonio Da Re
Roberta de Monticelli
Alessandro Ferrara
Sebastiano Maffettone
Claudia Mancina
Roberto Mordacci
Massimo Reichlin
Roberta Sala
Salvatore Veca
Corrado Viafora
Carmelo Vigna  
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