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15 Settembre, 2002
Ciclo di mostre e conferenze *L*arte in Italia dal 1945*
Mostra Informale italiano anni ’50 - 13 marzo-16 aprile 2008 - Inaugurazione mercoledì 12 marzo 2008, ore 18

Il progetto “L’arte in Italia dal 1945” è curato da Mariarosa Ferrari Romanini ed ha trovato grande interesse e consenso presso la Fondazione Città di Cremona, in particolare nella persona del suo Presidente Dott. Umberto Lonardi e di tutto il Consiglio di Amministrazione.

L’arte contemporanea nella seconda metà del Novecento ha subìto mutamenti così drastici da far dire a Giulio carlo Argan, uno dei massimi studiosi dell’epoca, “l’arte è morta”. ripercorrendo questo periodo, focalizzando i movimenti più importanti con relatori ed esposizioni, si cercherà di valorizzare l’importanza e la validità di quest’arte che ha accompagnato oltre cinquant’anni della nostra storia.

Il programma si sviluppa attraverso sette mostre. Ciascuna inaugurazione è preceduta dalla relazione di un critico i cui studi hanno particolarmente approfondito l’argomento trattato. Il ciclo, iniziato a maggio 2007, si concluderà nella primavera del 2009 secondo il seguente programma:

Fronte Nuovo delle arti, Neorealismo, Realismo esistenziale
Relatore Mauro Corradini, 9 maggio-8 giugno 2007

Astrattismi 1945-1955
Relatore Luciano Caramel, 11 ottobre-10 novembre 2007

Informale italiano anni ’50
Relatore Claudio Cerritelli, 13 marzo-16 aprile 2008

La svolta degli anni sessanta: Spazialismo, Pop Art, Arte Povera, Arte Concettuale
Relatrice Elena Pontiggia

Pittura-pittura e Astrazione
Relatore Flaminio Gualdoni

Transavanguardia e Citazionismo
Relatrice Martina Corgnati

Pittura oggi
Relatore Marco Goldin

Il 12 marzo si inaugura la terza mostra del ciclo, dedicata all’Informale italiano e introdotta da Claudio Cerritelli.

In mostra saranno presenti opere di: Bendini Brunori Burri Chighine Crippa Cuniberti De Luigi Fasce Ferrari Fontana Gallizio Mandelli Milani Moreni Morlotti Nanni Novelli Perilli Pulga Ruggeri Sartelli Scanavino Scialoja Tancredi Turcato Vedova.

Nel periodo di apertura della mostra sono inoltre previsti tre incontri aperti al pubblico:

18 marzo 2008
Enrico Pirondini presenta:
Giorgio Dell’Arti autore di Primo libro delle profezie (edizioni Marsilio)

28 marzo 2008
Paolo A. Rossini
Anni cinquanta. Una generazione di tenori. Anzi due

15 aprile 2008
Graziella Baldaro Camurri
Il malessere degli anni cinquanta: il cinema
di Michelangelo Antonioni

Le conferenze si terranno nella Sala del Consiglio della Fondazione Città di Cremona alle ore 17,30.

Testo dell’introduzione al catalogo delle opere della curatrice Mariarosa Ferrari Romanini:

La parola inform è usata, per la prima volta, dall’artista francese Jean Dubuffet nel 1945 per indicare una pittura che non rispetta nessuna delle regole proposte dalle avanguardie europee del Novecento. Niente figurazione e niente forme rigidamente costruite, ma immagini che prendono vita dalla realtà e che si trasformano disfacendosi nella materia, nel segno, nel gesto e nel cromatismo.

Nel 1951 il critico francese Michel Tapié allestisce la mostra Signifians de l’informel alla galleria Facchetti di Parigi alla quale prendono parte, tra gli altri, Jean Fautrier, Jean Dubuffet, Pierre Soulanges, Wols, Georges Mathieu e Hans Hartung. Nel 1952 Tapié pubblica il volume Un art autre con il quale storicizza il termine informale per questa corrente artistica che coinvolge: Europa, Stati Uniti e Giappone.

L’informale raccoglie artisti provenienti da esperienze diverse, ma riuniti da un intento comune, maturato nel secondo dopoguerra, quando un clima di profonda sfiducia nei valori conoscitivi e razionali induce a ripensare ad un’arte più libera, sia nella facoltà di creare sia nella possibilità di utilizzare materiali diversi.

L’informale, più che un movimento o una corrente, rappresenta uno stato d’animo, un profondo disagio esistenziale che ritrova, attraverso il rifiuto ad utilizzare stilemi prestabiliti, la libertà di rappresentare una immagine inedita della sola emotività. Sia che la ricerca dell’artista si svolga attraverso la materia pittorica fino a formare grumi o pesanti stesure di colore come nei lavori di Dubuffet o Fautrier, sia che debba essere il segno ad invadere lo spazio come in Wols e Mathieu restano comunque legati dagli stessi intenti.

In Giappone, intorno al 1950, l’influenza dell’informale induce gli artisti: Kazuo Shiraga, Yiro Yoshihara, Shozo Shimamoto e Sadamasa Motonaga, a fondare il gruppo Gutai. Oltre a trovare nell’informale la loro espressione artistica fondamentale sono da ritenersi i maggiori precursori dell’happening.

Negli Stati Uniti già dalla seconda metà degli anni quaranta, gli artisti rinunciano alle indicazioni delle avanguardie europee per arrivare ad una forma di pittura più libera e gestuale come quella di Jackson Pollock, per il quale la tela non è più un supporto per una riproduzione di un soggetto, ma uno spazio entro il quale agire con energia quasi frenetica. Nasce così quella che sarà chiamata l’action painting. Il gesto di Marc Rothko è più pacato, meno aggressivo; la pittura di Willem De Kooning risente invece della sua origine olandese e della sua formazione espressionista. Essendo l’artista giunto negli Stati Uniti nel 1926, rielabora la tradizione figurativa europea sostituendo l’espressionismo tradizionale con l’espressionismo astratto. La figura lascia spazio ad un linguaggio pittorico più crudo e violento esprimendo l’angoscia della condizione umana e della consapevolezza dell’esistere. Già nel 1946 altri artisti come Robert Motherwell, Sam Francis e Franz Kline lavorano a New York e se pure con tematiche ed esperienze diverse, è comune a tutti il nuovo modo di intendere la superficie pittorica ed il modo con cui intervenire su di essa.

Rispetto al panorama europeo, la critica italiana si è interessata abbastanza tardi della situazione proposta dall’informale. Le prime intuizioni sono di Emilio Villa per Burri e di Giuseppe Marchiori per Vedova nel 1953. Il panorama dell’informale italiano è molto vario. Ogni singolo artista trasferisce sulla tela la propria individualità concorrendo a creare vari indirizzi come: lo spazialismo e il nuclearismo, il naturalismo, il segno e la gestualità e le suggestioni legate alla materia.

Con il Manifesto dello spazialismo del 1951, Lucio Fontana, Roberto Crippa, Mario De Luigi, Gianni Dova, Virgilio Guidi e Cesare Peverelli fondano il Movimento spaziale. Fontana è sicuramente l’artista italiano meno tradizionalista. Questo movimento “non è una teoria né una poetica dello spazio, è soltanto l’affermazione lucida e ferma che qualsiasi cosa coscientemente si faccia è un fare lo spazio” (Giulio Carlo Argan). Lucio Fontana cambia completamente l’approccio alla pittura e alla scultura. La pittura diventa un piano colorato sul quale intervenire con grumi di materia, materiali vari, fino a perforare la tela per raggiungere una terza dimensione. La forma plastica della scultura, che è la sfera, viene da lui distrutta con buchi e tagli. I primi Concetti spaziali realizzati da Lucio Fontana, sono disegni dove la carta è invasa da piccole macchie di inchiostro colorato, da piccoli punti eseguiti a matita e dove la dimensione dello spazio è scandita dal vuoto del foglio. Più tardi l’Ambiente spaziale realizzato alla galleria Il Naviglio di Milano, con luci di Wood, tubi al neon che rappresentano forme imprecisate, colori fluorescenti sospesi nel vuoto come corpi astrali, sembrano anticipare il paesaggio extraterrestre. In alcuni manoscritti di Lucio Fontana si legge: “Si parla di spazio e di arte spaziale, ma di quest’arte si hanno dei concetti vaghi. Un volume non può essere mai spaziale: un sasso bucato, un elemento verso il cielo, una spirale, è la conquista illusoria dello spazio, sono forme contenute nello spazio. Si parlerà di arte spaziale solo con la conquista della quarta dimensione nello spazio: il volo… il volo crea la quarta dimensione, il distacco dell’uomo dalla terra, dalla linea d’orizzonte che per millenni fu la base della sua estetica e proporzione. Una nuova estetica afferma forme luminose attraverso gli spazi e dentro gli spazi. Tempo spazio”.

Il nuclearismo segue la propria contemporaneità legandosi alle ricerche sull’atomo. La disintegrazione e frammentazione della materia è il principale tema di indagine. La problematica nucleare, presente nella società di quegli anni, coinvolge a Milano nel 1950 artisti come Enrico Baj, Joe Colombo e Sergio Dangelo nell’interrogarsi sulle inquietudini del momento.

Fra il 1953 e il 1955 il critico bolognese Francesco Arcangeli si occupa in particolare di Ennio Morlotti, Pompilio Mandelli e Mattia Moreni che realizzano una pittura di matrice informale con la quale rielaborano scorci di paesaggio. Il naturalismo invade la pittura di questi artisti per i quali la materia stesa sulla tela rivela grande forza espressiva e forte tensione esistenziale.

I termini segno e gesto assumono grande importanza all’interno della cultura informale. Il segno, come impronta grafica, è simbolo del linguaggio pittorico dell’artista e spesso ne diviene il mezzo di ricerca ed espressione. Il gesto è portare sulla tela o altro supporto, il colore o la materia con un movimento istintivo ed immediato. Il segno è tutto ciò che va oltre il disegno, il gesto è tutto ciò che va oltre la forma: è qualche cosa di assolutamente personale ed irripetibile. Rappresentanti di questa nuova espressività sono tra gli altri Giuseppe Capogrossi, Gastone Novelli, Achille Perilli, Giulio Turcato e Tancredi per il loro segno inconfondibile ed Emilio Vedova, il più importante per la pittura gestuale.

Già nei disegni a carboncino, inchiostri, acquarelli del 1936-1938, Emilio Vedova trasferisce sulla carta una inquietante situazione psicologica. Il segno sconfessa il disegno, fende lo spazio con segni e grovigli. “Un impulso quasi organico”, “segni come struttura di coscienza”, questo dice del proprio lavoro l’artista.

Un caso a parte è quello di Tancredi. Dal 1950, superato il periodo nel quale il suo lavoro prende spunto dall’astrattismo geometrico, guarda a Pollock, a Wols, a Tobey e, attraverso questi stimoli, la sua pittura diventa un formicolio di segni, di virgole cromatiche, di sovrapposizioni di tasselli dai colori tenui e sfumati. Una pittura sempre irrequieta ma di straordinaria dolcezza spesso struggente, dai toni sempre più pacati, come guidati dalla tradizione veneta.

Ciò che accomuna tutti gli artisti, oltre alla poetica dell’azione e alla forza espressiva del gesto, è l’attenzione per i materiali più disparati, che vengono considerati capaci di straordinaria espressività emozionale e quindi strumenti di un nuovo linguaggio artistico. Le opere di Alberto Burri sono emblematiche della centralità dei materiali utilizzati. Burri costruisce le sue opere con sacchi di iuta, pezzi di legno, di carta o di plastica bruciati rendendo così i materiali protagonisti per le loro caratteristiche formali, cromatiche, emozionali.

Come scrive il critico Claudio Spadoni in Le poetiche del segno e della materia “La poetica della materia ha in Burri un punto di riferimento imprescindibile. Le materie prelevate da Burri, il sacco, la carta, il legno, il ferro, la plastica, non v’è dubbio che denuncino, senza possibilità di equivoco, la loro fisionomia e le loro specifiche proprietà fisiche. Era una acquisizione già messa a profitto dalle avanguardie del primo Novecento, ma ancora condotta ad una definizione formale corrispondente a coordinate storiche di tempo e di spazio. Con l’informale la materia tende ad essere frammento, brano essenziale, appunto. Mentre si libera dell’ambiguità della pittura, e in sua vece adotta la materia reale. Burri sospende la finzione ma non le implicazioni anche metaforiche che la materia stessa racchiude. Qui la materia induce ad una contemplazione della sua esistenza racchiusa nella fissità di uno spazio che non è virtuale ma appunto esistenziale”.

Fondazione Città di Cremona
Piazza Giovanni XXIII, 1
Tel. 0372 421011
e-mail: segreteria@fondazionecr.it
lunedì-venerdì: 9-12.30 15-19
sabato e festivi: 17-19
chiusura il 23 e 24 marzo
ingresso gratuito

 


       



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