15 Settembre, 2002
Veltroni *da soli si può*. E senza sinistra
Intervistona di Gabriele Polo su Il Manifesto del 27 marzo 2008
Ha ripetuto «si può fare» per 71 volte in 71 piazze, cantato
altrettanti inni di Mameli e poi ascoltando «Mi fido di te» di
Jovanotti, stretto migliaia di mani. E continuerà così, fino a quota
110. Per nulla turbato dai sondaggi che continuano a darlo «sotto».
Anzi convinto di poter risalire la corrente fino a palazzo Chigi.
Per poi fare cosa? «Nulla di straordinario», «nessuna rivoluzione»,
come ripete efficacemente Anna Finocchiaro che lo accompagna nei
comizi siciliani.
Ma anche qualcosa di non ordinario, perché Walter Veltroni sta
rivoluzionando il quadro politico, sta costruendo un partito -
«leggero» quanto sì vuole - in campagna elettorale. E ciò che
impressiona è il copione che si ripete identico in ogni piazza, con
la forza dell'allegro tormentone: non tanto nelle parole, ma nei
gesti di chi accorre e ascolta, invocando il suo nome, agitando
l'obamiano «si può fare» in perfetta sincronia, come un sol uomo,
senza bisogno di una regia. E' questa la sua forza, quella che lo
convince della rimonta possibile.
Saliamo sul pullman dopo la tappa palermitana, verso quella
agrigentina.
Sicilia profonda e cuffariana, la più difficile. Setto/otto persone -
leader compreso sempre insieme, che in un clima da gita scolastica
(manca solo la chitarra) raccordano l'una all'altra le tappe del
lungo tour. Sui finestrini la filosofia da non dimeticare («lasciare
l'odio, scegliere la speranza», «lasciare la paura, scegliere il
nuovo»), attraverso i computer il monitoraggio delle cronache della
tappa precedente («Quel titolo non va bene.. questa dichiarazione va
precisata»), ai telefonini il programma dei minuti successivi («La
piazza è piena, ha smesso di piovere... Si, apre una ragazza... con
una ragazza viene meglio»). La «rivoluzione pragamatica» del Pd è in
marcia, l'effetto-immagine sembra funzionare, il nuovo soggetto
s'incarna piazza dopo piazza e il futuro sorride ai viaggiatori.
Per il risultato elettorale si vedrà, quello dipende da quanto
consenso riusciranno ancora a strappare all'innominato sempre
presente, al «principale esponente dello schieramento a noi
avvérso». Berlusconi, ancora lui. Veltroni lo esorcizza.
Ma non lo nomini mai?
Mai, da quando mi sono candidato alla leadership del Pd, non l'ho
mai nominato. E non lo nomino perché voglio dare la sensazione che
noi abbiamo superato quel tempo della storia, che siamo in un'altra
fase, non più ispirata al voto «contro» ma al voto «per».
Una scelta comunicativa. Come dire «non ci misuriamo con lui»...
Ci misuriamo soprattutto con noi stessi e con il paese. Poi
elettoralmente con «il principale sponente dello schieramento a noi
avverso»..
Con un Inedito partito-contenitore che ha l'ambizione di temere
assieme soggetti anche conflittuali tra loro. Possibile?
Certo. E' l'idea tipica delle grandi forze riformiste, dai laburisti
inglesi ai socialdemocratici tedeschi ai democratici americani, che
fanno convivere la dimensione del conflitto con quella
dell'interesse generale del paese. La storia dei grandi partiti
riformisti è questa: ogni volta che, queste forze si sono presentate
come la rappresentanza di una serie di minoranze, hanno perso anche
se avevano «ragione»: l'ambizione è tenere insieme coerenze di
valori con la capacità di muovere maggioranze nel paese. Così il
riformismo diventa realtà e vince. Pensa a Obama.
Obama mobilita, chiede alla sua gente di agire attivamente. Vedi
quest'energia nel paese depresso e fermo dì cui parla Il Censis?
Ho fatto 71 manifestazioni, anche nei posti più difficili e non ho
mai visto così tanta gente muoversi. I teatri e i palasport non sono
bastati, erano stracolmi. C'è un cambio generazionale interessante,
pieno di ragazzi tra i 14 e i 20 anni. Questo in uno schema
tradizionale della politica è inedito; strano: nel momento in cui
noi chiudiamo con la sinistra radicale spuntano fuori i giovani, la
partecipazione entusiasta e convinta dei giovani, Soprattutto
sull'autonomia della nostra scelta, lì raccolgo più consenso.
Qualcosa vorrà dire.
Magari cercano rassicurazione in un paese un po' allo sbando e duro
da vivere. In sintesi proponi una ricetta semplice é nemmeno
inedita: più pil, stato più semplificato...
E più giustizia sociale. Noi abbiamo affrontato un tema come la
precarietà con una proposta radicale.
Come ho preso quella posizione su Bolzaneto perché è del tutto
fisiologica per il Pd...
Facendo passare sette giorni dalle richieste del pm per prenderla...
No, ho semplicemente ribadito quel che avevo già scritto
pubblicamente al sindaco di Genova, Marta Vincenzi. Era la
prosecuzione di un discorso. Il nostro è un partito nuovo che, come
tale, applica schemi nuovi, più ampi, nei quali riformismo,
pragmatismo e radicalità possono e devono coesistere. Per essere
chiari, ci sono delle cose - penso ad esempio ai diritti - su cui
sarò magari più radicale di una sinistra radicale, che qualche
problema di prudenza la deve avere. Per me la coesistenza di
crescita, e lotta alla povertà e sussidiarietà dello stato
è .essenziale ed è la formula vincente del riformismo nelle sue
esperienze più alte.
La lotta di classe consegnata al passato. II ministro Fioroni ha
dichiarato che il modello del Pd è preso dall'interclassismo della
vecchia Dc. E' così?
No, il ragionamento è più strutturale.
Come è composta la società italiana: divisa in padroni e operai? O
non è fatta di milioni di persone gran parte delle quali ex operai
diventati imprenditori che ora lavorano comunemente con i loro
attuali dipendenti. E chi conosce la realtà, non l'ideologia, sa che
il rapporto che c'è tra datori di lavoro e lavoratori nelle piccole
imprese è un rapporto tra fratelli, una comunanza di destini
assoluta, anche nelle condizioni materiali, spesso persino nel
reddito.
Per questo la crescita del pil può andare di pari passo con il
miglioramento dei diritti delle persone e della loro condizione.
Nelle liste del Pd ci sono i Calearo, i Colaninno e molti
sindacalisti. Culture diverse e interessi che dovrebbero essere
contrapposti. In caso di conflitto nel mondo del lavoro con chi si
schiera il Pd?
Ma questi conflitti di punti di vista ci sono in tutti i grandi
partiti riforniisti occidentali, perché tra lesse jackson e Hillary
Clinton c'è la stessa posizione? No. Ed è così anche nella sinistra
italiana: forse che tra Pecoraro Scanio e Cesare Salvi - per fare
due nomi a caso - c'è identità totale?
E allora perché quella parte di sinistra non sta dentro il Pd, a
fare la sua ala sinistra? Forse perché la cultura del Pd non è di
sinistra, non è alternativa al liberismo?
C'è una ragione istituzionale, perché non essendo il nostro un
sistema bipartitico non c'è una simile costrizione. Ma a monte c'è
una scelta ideologica, di cui l'episodio più grave è stata la
posizione presa sul pacchetto-welfare, del tutto astratta, del tutto
interna a una concezione minoritaria, che ha creato un'imbarazzante
perdita di contatto con la grande parte della società, soprattutto
di quella parte dinamica di giovani che vuole il cambiamento, non la
conservazione dell'esistente.
E' chiaro che non potevate più stare assieme, c'è stata separazione
consensuale. Ma è ipotizzabile una futura alleanza con questa
sinistra nella prossima legislatura. Sia nel caso di vittoria che di
sconfitta: se si crea una situazione di stallo con un «pareggio» al
senato, ti allei con Bertinotti o con Casini?
Il pareggio al Senato apre una situazione di ingovernabilità che
nessuna alleanza può risolvere. Ma io non mi pongo il problema, il
mio unico obiettivo è vincere e dare al paese un governo saldo e
riformista.
Nel caso di sconfitta, con la sinistra arcobaleno c'è possibilità di
accordo comune all'opposizione?
No, io credo che ognuno deve fare l'opposizione sulla base del
proprio programma e il nostro è diverso dal loro: dopodiché ci
saranno temi sui quali potremo lavorare comunemente.
Ma l'idea che lo stare insieme sia il fine non è più praticabile e
lo dico nell'interesse reciproco, perché la sinistra radicale viveva
una sofferenza indicibile dentro l'ultimo governo.
Quando poi sento evocare la «lotta di classe», mi sento di
chiedere: «Scusa tu vuoi far la lotta di classe ma com'è che avevi
Mastella ministro della giustizia? Come facevi la lotta di classe
con Mastella?» E, poi, in una società che è così tanto cambiata,
come si fa a riprodurre quegli schemi? In questo modo anche le
proposte di programma rischiano di essere un po' vaghe e poco
credibili...
Magari sarà che vedete due società diverse... Ma tornando ai
rapporti - futuri - con «il principale esponente dello schieramento
avverso», lo stallo al senato è possibile. Hai più volte parlato di
riforme fatte insieme.
Fino a che punto arriva questo insieme? Il mio schema è tipico delle
democrazie anglosassoni: chi vince governa, anche con un seggio in
più. Quindi nessun governo di larghe intese.
Per le riforme è diverso. Con qualunque maggioranza si vinca, le
riforme si fanno insieme. E le riforme da fare sono quelle su cui
già c'è largo accordo tra le forze politiche: una sola camera, meno
deputati...
Ma sulla legge elettorale insisti sul modello francese?
Per me è il migliore: collegio uninominale con primarie obbligatorie.
Torniamo al «rapporto» con la sinistra radicale. Alle amministrative
invece marciate assieme. Bertinotti spiega che gli enti locali sono
più permeabili al conflitti sociali. E' così anche per voi o è solo
una scelta di opportunità?
L'ambito dei problemi di cui ci si occupa è diverso e un accordo
programmatico su scelte amministrative è più facile di un accordo
politico nazionale che tira in ballo, ad esempio, la politica
internazionale. L'abito più ristretto aiuta, è sempre stato così
nella storia italiana, con Psi e Pci al governo insieme in molte
città e divisi a livello nazionale.
Almeno su questo siete d'accordo.
Si, dopodiché loro nutrono un antagonismo a volta esagerato nei
nostri confronti.
Anche tu non li tratti benissimo, hai rotto decisamente a sinistra.
Non tratto benissimo certi argomenti che mi sembrano fuori dalla
storia, ma questa competizione a sinistra mi sembra sia stata
contenuta e se c'è una possibilità che il Pd vada bene e che anche
la Sinistra abbia un buon risultato, sta proprio nella possibilità
di recupero della reciproca autonomia. Fossimo andati insieme alle
elezioni non avremmo potuto fare la campagna elettorale, nessuno
avrebbe potuto dire niente dipreciso. Sarebbe stata solo una
scelta «contro» l'avversario, non «per».
Veniamo ad argomenti specifici: In politica estera, è chiaro che
scomettete su Obama per poter rinsaldare quello che nel programma
definite «rapporto di amicizia e alleanza con gli Usa». Ma se
vincono i repubblicani quell'amicizia è ancora possibile con governi
che esercitano le alleanze come egemonia e sostanzialmente trattano
l'Italia e l'Europa come «subalterni»? Per fare solo due esempi
estremi, pensa alla vicenda del Cermis e a quella di Nicola Calipari.
Qualunque sia il risultato, le elezioni Usa segnano una svolta.
Anche McCain segna una svolta, i suoi indirizzi in politica estera
sono molto diversi da quelli di Bush. L'amministrazione Bush ha
rappresentato il momento più duro degli ultimi 50 anni e la
recessione in corso testimonia il fallimento della sua politica. Una
recessione molto preoccupante, con cui ci dovremo misurare anche
qui.
Anche per questo serve un comune lavoro delle forze più vive del
paese. Se poi vincessero i democratici sarebbe davvero una svolta.
Dopodiché, chiunque governi in Usa, alcune quesioni che riguardano
l'identità e la sovranità nazionale, come quelle cui hai fatto
riferimento, devono essere presidiate e salvaguardate.
E allora che ne facciamo del progetto sulla nuova base di Vicenza?
Credo che dovremo, insieme all'amministrazione comunale di quella
città, trovare il modo dì limitare al massimo ogni impatto negativo
di quella base, anche consultando i cittadini. Sapendo però che gli
impegni presi a livello internazionale da un governo - di cui faceva
parte anche la Sinistra - vanno rispettati.
Su alcune questioni - come l'abrogazione della legge 40 - il Pd non
decide e per te va bene che ci sia il «confronto» tra laici e
teodem. Vi proponete o no di cancellare quelle norme sulla
fecondazione che fanno dell'Italia un'eccezione in Europa?
La mia è un'operazione che ha un significato etico. Mi spaventa
l'idea di un partito confessionale o ideologico.
La questione si discute solo in Italia, non c'è nessun paese in
Europa in cui si ipotizzi un partito laico o uno cattolico. E' uno
dei segni della nostra arretratezza. Contro la quale mi batto.
Naturalmente in un grande partito possono coesistere differenze
culturali, di valori. E' ovvio. Ma un punto di sintesi lo cercherò,
sia dentro sia fuori il partito. E' un errore da matita blu l'idea
che le questioni etiche si regolino a colpi di maggioranza. Si
regolano creando una consapevolezza nell'opinione pubblica, quella
che poi portato alla legge sul divorzio, a quella sull'aborto. E
sulla 194 abbiamo preso una posizione inequivoca in difesa di una
legge positiva. Dopodiché se mi chiedi se le conquiste della scienza
possono essere applicate in toto alla vita pubblica, la mia risposta
è no. Era no per la bomba atomica, che pure veniva da una grande
scoperta, è no per la donazione della vita umana. La discussione
etica deve misurarsi con le conquiste scientifiche, non annullarsi.
Televisione. Al di là del faccia a faccia elettorale che non ti
fanno fare, come pensate di superare il duopolio che ci affligge?
Il fatto che si eviti un faccia a faccia tra i candidati alla
presidenza del consiglio è uno scandalo che non trova riscontro in
nessun altro paese civile.
Per il resto credo che dobbiamo molto affidarci più che alla
politica alla tecnologia, credo che il passaggio al digitale sia una
grande leva per moltiplicare l'offerta. E penso che il parlamento
debba affrontare e risolvere al più presto le questioni aperte: dal
conflitto di interessi all'approvazione della riforma Gentiloni.
Pensioni. Dove li trovate i soldi per coprire la proposta di aumento
delle minime con una quattordicesima di 400 euro, che Implica un
costo di un miliardo e mezzo l'anno?
La copertura è già prevista dal programma: lotta all'evasione e
riduzione della spesa pubblica. Compenso minimo per i precari.
Come lo si matura, a chi spetta?
A tutte le persone che fanno un lavoro precario e atipico, ai
Co.Co.Pro. Con copertura previdenziale. E, poi, c'è l'allungamento
del periodo di prova e incentivi alle imprese che stabilizzano
l'occupazione.
Il partito nuovo. Insisti molto sul rinnovamento, sul superamento
delle logiche di spartizione interna. Ma, per fare solo un esempio, l'ex ministro Cardinale non si candida più, ma «al suo posto» c'è la figlia in lista...
Non lo nascondo: è una candidatura che ho trovato alla fine della
fase concitata della presentazione delle liste. Poi mi sono
informato, è una ragazza intelligente, brava... L'ho detto che non
era una candidatura che ritenevo in sintonia con l'immagine che
vogliamo dare di noi. Ma non voglio nemmeno buttare la croce su una
ragazza che si affaccia alla politica e che magari farà benissimo.
Era solo per dire che la strada del rinnovamento è lunga e
tortuosa...
Indubbiamente. Però abbiamo fatto dei passi da gigante. Pensa alle
liste di partito del passato. Potrà piacere o meno questo o quello,
ma il fatto di portare in parlamento Umberto Veronesi, i prefetti
Serra e De Sena, Gian Enrico Carofiglio, operai come Antonio
Boccuzzi, tanti giovani...
Ma una volta arrivate lì, non è che queste persone diventeranno ceto
politico, perdipiù senza i legami sociali e gli strumenti che i
partiti bene o male davano?
Non vedo alternative, certo la formazione di una classe politica
dirigente è questione complessa. Ma rispetto al passato è cambiato
tutto.
Prima ci si formava nei partiti, ora non può essere più così e credo
che un'esperienza parlamentare per persone che nei loro ambiti hanno
grandi competenze e sono mossi da un grande entusiasmo, sia
positiva, serva al rinnovamento del paese portando nelle istituzioni
un po' di sapere diffuso. Abbiamo fatto molto: raddoppiato il numero
delle donne, abbassato l'età media dei candidati, messo dei
trentenni a capolista.
Gli apparati dei partiti, o quel che ne resta, come hanno reagito?
Bene, tutto sommato. Una delle cose belle di questo tour elettorale
è che nelle 71 piazze viste finora non ho mai trovato una bandiera
dei Ds o della Margherita. E' questa campagna elettorale che ha
fatto il partito democratico, gli ha dato identità e orgoglio. Una
cosa assolutamente inedita. Non ho mai trovato resistenze «di base»
a quest'avventura. C'è un po' nei gruppi dirigenti, ma piano piano
si scioglie.
Torno alla centralità del Pil. In uno dei suoi ultimi discorsi, Bob
Kennedy, uno dei tuoi punti di riferimento, ricordava con insistenza
che «non tutto è misurabile in prodotto interno lordo». Sei in
contraddizione con il tuo mito?
No, quella frase la cito ovunque: non tutto è pil. Ci sono dei
valori, primo dei quali è la lotta alla povertà.
Noi non stiamo costruendo un soggetto moderato, questa non è la
versione edulcorata o moderata della vecchia sinistra. E' l'idea di
un partito molto radicale sulle grandi questioni sociali, radicale
nell'affrontarle.
E però anche il partito della crescita, dell'innovazione, dello
sviluppo, della modernità. Punti che non possiamo accettare siano
messi in contrapposizione con la giustizia sociale.
Ti faccio un piccolo esempio sul PII per capire meglio la
contraddizione che implica. Aeroporto di Ciampino, quantità di voli
e passeggeri decuplicati in pochi anni, massimo beneficio per il PII
di Roma, massimo disagio ambientale e per la salute dei cittadini
che vivono a ridosso dell'aeroporto. Che si fa?
Ma io sono stato quello che ha aperto il tavolo su Ciampino per
cercare una soluzione alternativa ispirata alla salvaguardia della
vivibilità di quei cittadini. Esattamente la traduzione più concreta
del kennedismo.
Alcuni sondaggi dicono che poveri e operai votano più a destra...
Spesso i sondaggi vengono smentiti.
D'accordo, è quello che cercate di fare proprio In questa campagna
elettorale. Però i1 problema dello spostamento a destra delle fasce
più deboli della popolazione resta. Paradossalmente a sinistra vota
più il ceto medio. O no?
Non lo so. E' certo che la televisione è entrata molto nel formarsi
di un sistema di valori, cambiando molto la mentalità e lo spirito
del tempo. Non ha fatto un buon servizio non tanto a noi, quanto al paese.
Se va male che fai? La mia impressione è che tu stia lavorando molto
di più per il futuro che per queste elezioni, magari anche perdendo,
ma con un buon risultato, per poi puntare tutto sul dopo. Sbaglio?
Siamo partiti da meno 22 punti, questa era la differenza tra noi e
la destra. Eravamo a pezzi e abbiamo rimontato, adesso stiamo
discutendo se pareggiamo o vinciamo. So solo questo e vado avanti
per vincere.
In conclusione: fine della lotta di classe, archiviato il 1900 con i
suoi conflitti e le sue Ideologie. Ma se tu diventassi - e non è un
augurio - direttore del manifesto, cosa ci scriveresti al posto
di «quotidiano comunista»?
Dipende da cosa vuole essere il manifesto... A me piacerebbe una
definizione più di contenuto che ideologica....
«Quotidiano delle libertà e della giustizia sociale».
E' l'ultima risposta, che arriva ormai alle porte di Agrigento (72ma
tappa) e dopo qualche secondo di esitazione: oltre che a farsi, la
semplicità è cosa difficile a dirsi.
 
Fonte Il Manifesto
|