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15 Settembre, 2002
Crisi della conoscenza, crisi della memoria! Che fare?
Le vacanze si stanno inesorabilmente consumando, per cui... Auguri per il prossimo autunno! (di Maurizio Tiriticco)

La società della conoscenza?

Quando si vuole sottolineare una delle caratteristiche di queste società ad alto sviluppo, tecnologicamente avanzate, terziarizzate, si ricorre spesso all’espressione “società della conoscenza”. E non è errato! In effetti, una delle ragioni per cui si è giunti a tale grado di sviluppo – e che procede con ulteriori accelerazioni – va ricercata nel fatto che le conoscenze hanno raggiunto livelli mai toccati nella storia dell’uomo. E’ quasi un tormentone constatare che negli ultimi trent’anni si sono raggiunti livelli tali di saperi a fronte dei quali è ben poca cosa ciò che l’uomo ha prodotto nelle migliaia di anni precedenti!

Ed è chiaro che al concetto di “società della conoscenza” si associano buone dosi di ottimismo per il nostro futuro: malattie debellate, lo spazio a portata di mano, beni prodotti a iosa e così via. Se poi più della metà del pianeta non fruisce di tali vantaggi, se il clima va degenerando, se nuove e sempre più massicce migrazioni rischiano di sconvolgere assetti culturali che nel corso dei secoli si sono venuti consolidando, l’ottimismo non manca: la “società della conoscenza” porrà rimedio a tutto! A meno che…

A meno che questi fenomeni negativi che registriamo quotidianamente non siano anch’essi l’esito di questo sviluppo, anzi a questo funzionali. Ed tali fenomeni non sarebbero allora lo scotto che tanta parte dell’umanità paga e continuerà a pagare, perché la “società della conoscenza”, o meglio un certo modo di produrre conoscenze in una certa parte del pianeta proceda senza porsi troppi interrogativi? Se così fosse, non dovremmo allora tanto fregarci le mani ed essere tanto ottimisti di fronte alla magnanime sorti che la “società della conoscenza” ci riserverà in un futuro forse neanche troppo lontano. Ma questi sono discorsi complessi che lasciamo ai professionisti delle analisi socioeconomiche e a quei pochi politici di buona volontà capaci di guardare al di là di una campagna elettorale e di un seggio al Parlamento. Ma c’è un altro aspetto, forse più inquietante, e che possiamo toccare con mano, che riguarda alcuni effetti perversi che la “società della conoscenza” produce, e che investe proprio coloro che dovrebbero essere i protagonisti e gli alfieri di questa crescita collettiva, ed individuale nel contempo, di una conoscenza che si dovrebbe fare sempre più diffusa. Alludo a quel fenomeno che negli ultimi anni si è andato sempre più diffondendo in tutte le società ad alto sviluppo e che assume connotazioni diverse da Paese a Paese: un fenomeno che contraddice con l’ottimismo che la “società della conoscenza”, appunto, dovrebbe invece sollecitare a iosa. E’ sotto gli occhi di tutti che migliaia di giovani – ed in diversa misura in tutti i Paesi ad alto sviluppo – sono di fatto esclusi dal poter incrementare le loro conoscenze, e competenze, per il semplice fatto che il mondo della ricerca e del lavoro non le richiede né è in grado di offrire prospettive certe di occupazione e di sviluppo professionale. Il precariato non è un fenomeno che riguarda solo l’occupabilità, ma invade anche e soprattutto l’area di quell’impegno di sviluppo cognitivo che ciascun giovane vorrebbe e dovrebbe perseguire.

Di qui una contraddizione profonda. Da un lato non c’è documento internazionale, non c’è ricerca sociologica, che non esaltino le opportunità che la “società della conoscenza” offre – o dovrebbe offrire – a piene mani. In tanti, dai Libri bianchi della Cresson a Delors e a Morin, ci hanno dipinto una sorta di nuova età dell’oro che la “società della conoscenza” avrebbe aperto a noi tutti. Dall’altro lato, però, vi sono milioni di giovani che dalle conoscenze sono esclusi di fatto. La precarietà aggredisce in primo luogo le loro menti, affievolisce la loro fiducia per il domani, li emargina da un impegno intellettuale e civile. Nella prospettiva ottimistica si sono venuti allungando negli ultimi anni i tempi e gli spazi degli studi, in tutta Europa: il tre più due ha origini lontane, dalla Dichiarazione della Sorbona e dal Processo di Bologna, e siamo alla fine degli anni Novanta. Ma al proliferare dei nuovi titoli non è corrisposta l’offerta del mondo del lavoro. Così, all’incremento delle conoscenze individuali non è corrisposto, né corrisponde tuttora, l’incremento di un loro impiego produttivo.

Di qui un quesito: serve l’impegno intellettuale? Alla domanda la risposta più ovvia è che il conoscere aumenta le opportunità di comprendere e di orientarsi nel mondo. Il ben dell’intelletto è sempre cosa pregevole! Si apprezza l’arte, la letteratura! Ma si tratta di una risposta generica, gratuita, se non falsificante! L’otium è una cosa meravigliosa… però solo dopo che si è atteso al negotium! Il fatto è che il conoscere serve anche, anzi in primo luogo, a garantire la sopravvivenza dell’individuo: così è essenzialmente, e così è sempre stato! La vera conoscenza nasce dall’impatto reale con un problema che occorre risolvere: così è stato per l’arco, l’aratro, la ruota, la leva!

Ma anche per quello zufolo che il pastore ha inventato per allietare la lunga giornata della custodia del gregge!

Il conoscere ha sempre una finalizzazione, non è un atto gratuito! Però, in questa “società della conoscenza”, è la conoscenza stessa che viene quotidianamente offesa! Per migliaia di giovani – e non solo nel nostro Paese – il conoscere non è un’opportunità, ma una falsa sollecitazione, se non una vera e propria presa in giro! Così, per molti di loro l’educazione permanente, l’apprendere per tutta la vita sono soltanto slogan lontani mille miglia dal loro quotidiano. E ciò che è più grave è che da alcuni anni a questa parte la legislazione non solo non tenti di ovviare a tale tendenza, ma anzi la favorisca: e sembra che tutti i provvedimenti sulla flessibilità non servano che a legittimare una precarietà che sempre più diventa sistema.

Ci si mettono anche le ricerche internazionali a dirci che i livelli di illetteratismo della popolazione adulta nelle “società della conoscenza” aumentano anno dopo anno. Per non dire delle indagini PISA che non dicono affatto cose migliori sui livelli di conoscenza dei quindicenni: e non solo di quelli del nostro Paese. Ed allora non sembra che la “società della conoscenza” sia una nuova utopia illuministica? E che dire dei professori con la pistola delle scuole degli Stati Uniti? Forse la “società della conoscenza” nei Paesi evoluti si accinge addirittura a produrre dei mostri?

L’affievolirsi della memoria

La lettera di Veltroni su “la Repubblica” del 18 agosto su un’Italia che sta cancellando la memoria e scivolando sempre più verso il pensiero unico induce ad ulteriori riflessioni. Il fatto è che le perdita della memoria non è un fenomeno soltanto italiano né un fenomeno di oggi né imputabile tout court alla contingenza della politica della destra. Conoscenza e memoria, sia a livello individuale che collettivo, procedono sempre contestualmente. La carenza dell’una provoca la carenza dell’altra. Ed è ovvio che il punto di arrivo di un simile processo comporta la crisi del pensare divergente e una contestuale ed inevitabile omologazione ad un pensiero unico: la morte del pensare!

Ma non dovrebbe essere così! In effetti, lo sviluppo della conoscenza e della memoria, sia nell’individuo singolo che in un determinato gruppo sociale, si realizza con continuità in una reciproca interazione tra più individui e tra questi e la realtà fenomenica.

Per dirla molto succintamente e ricorrere ad una simbologia grafica, possiamo dire che tale sviluppo si realizza nell’affrontare e risolvere situazioni concrete che sono sempre individuate e definite dalle coordinate ortogonali dello spazio e del tempo. Continuando con la rappresentazione grafica, possiamo dire che lo sviluppo/crescita di un individuo, dalla nascita alla maturità, si effettua a spirale, a partire dal punto di congiunzione delle due coordinate, sull’asse orizzontale dello spazio (l’espansione, la costruzione del sé corporeo) e sull’asse verticale del tempo (la comprensione, la costruzione del sé cognitivo). Ovviamente, lo sviluppo/crescita dell’individuo è sollecitato dagli stimoli esterni, fisici, simbolici, culturali, e l’apprendimento, in quanto processo di concettualizzazione e controllo del sé e della realtà circostante, si sviluppa dal meno al più in un processo a spirale. Più gli stimoli sono ricchi e positivi, più l’individuo si afferma e si consolida come persona autonoma (identità) e responsabile (socialità). E’ ovvio che alla carenza di stimoli corrisponde una difficoltà della crescita. Certamente si tratta di un modello e, come tale, non rappresenta la complessa realtà dello sviluppo/crescita di una persona con tutta le altre sue infinite variabili.

Lo sviluppo/crescita di un gruppo sociale non si differenzia di molto, quando veramente si costituisce come gruppo omogeneo, non come un insieme eterogeneo. Così, come una persona conquista progressivamente la sua identità personale, un gruppo – quando di gruppo si tratta – conquista la sua sintalità gruppale.

Pertanto, una persona o un gruppo umano sono sempre collocabili ed individuabili in una situazione in cui si incrociano le coordinate dello spazio e del tempo. Abbiamo assunto per convenzione che l’asse dello spazio sia orizzontale e quella del tempo verticale. Lungo il primo asse si estendono, a destra e a sinistra, l’al di qua e l’al di là, il sotto e il sopra; lungo il secondo asse, al di sotto dell’incrocio, il passato, la memoria la storia, al di sopra, invece, l’attesa, la speranza, il progetto.

Un piccolo gruppo di un tempo , viveva chiuso, ristretto, lontano da altri gruppi, separato da essi, e si ignoravano vicendevolmente. Oggi, invece, il piccolo gruppo, grazie allo sviluppo della rete della comunicazione, quella fisica (la facilità degli spostamenti) e quella simbolica (l’evoluzione dei media elettronici), si è incontrato con gli altri e ha dato luogo ad un mélange abbastanza indifferenziato. Jeans e cellulari sembrano caratterizzare i tratti comuni di questa sorta di macrogruppo planetario.

Dal punto di vista della fruizione dello spazio/tempo, il piccolo gruppo del passato traeva maggiore alimento culturale dall’asse del tempo che da quello dello spazio. Le informazioni viaggiavano sull’asse temporale, sul quale si trasmettevano conoscenze, tecniche, costumi, valori, attraverso la saggezza degli anziani, le tradizioni orali, i miti, le leggende, e così via. Dall’asse temporale il gruppo traeva forza per la sua identità e la sua sopravvivenza. Il macrogruppo di oggi, invece, fruisce delle informazioni soprattutto sull’asse spaziale, veicolate dai media.

In altri termini, il piccolo gruppo di ieri era schiacciato sull’asse temporale, il macrogruppo di oggi è schiacciato su quello spaziale. Questa diversità tra il gruppo di ieri e quello di oggi comporta serie ricadute e implicazioni sul piano culturale. Indichiamole sommariamente:

- nel piccolo gruppo del passato dominavano l’autorità della tradizione, l’accettazione di una organizzazione oligarchica e gerarchica, l’unicità o, per lo meno, un’ampia omogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche ai fini della sopravvivenza, la chiusura del gruppo in se stesso, da cui poi la conflittualità tra un gruppo ed un altro, considerato diverso e per questo ostile;

- nel macrogruppo del presente dominano la dissolvenza della tradizione e l’autorità delle mode, una organizzazione egalitaria e apparentemente democratica, la pluralità e la disomogeneità dei valori, l’utilizzazione di conoscenze e di tecniche che potremmo definire “gratuite”, che comportano soprattutto il consumismo e l’alienazione. Tensioni e conflitti si consumano all’interno di un indifferenziato macrogruppo.

Lo schiacciamento sull’asse dello spazio (quello di un’espansione all’infinito) è quindi tipico delle società affluenti, e ciò a danno dell’asse del tempo (quello della riflessine concettuale, della comprensione). L’indiscriminato macrogruppo dell’oggi non ha necessità di memoria e, conseguentemente, è anche incapace di progettare il futuro. Il qui ed ora è anche ben rappresentato da quel life is now di una nota casa produttrice di telefonini: che non è il carpe diem oraziano, un sano richiamo alle cose che contano, ma un perenne invito al consumo fine a se stesso di una comunicazione

interpersonale fatta di quegli sms, in cui è il mezzo a sovrapporsi a poco a poco il messaggio! Si sollecita la comunicazione del nulla!

La condizione adulta e soprattutto giovanile della “società della conoscenza” non è affatto né felice né proiettata verso il futuro. La scelta che questo neocapitalismo ha effettuato di non additare prospettive per il futuro – un’altra faccia aggiornata dello sfruttamento di un tempo – trova un alleato diretto in questa incapacità da esso stesso indotta nelle giovani generazioni di “coltivare” la memoria e di “progettare” il proprio domani. Il precariato non ha carattere temporaneo, è un modo nuovo che il neocapitalismo ha scientemente scelto di governare l’economia e la società. Ed il precariato rende precaria la vita stessa dei giovani, ne spegne le speranze del domani e rende inutile la conservazione della memoria.

Il “che fare?” del Sistema di educazione, istruzione, formazione

Mi piace sempre ricordare quel passaggio magistrale del comma 2 dell’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche:“L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Il che significa che il Sistema nazionale di istruzione – quello che una volta era genericamente la scuola – si è assunto un nuovo compito: oltre ad istruire in determinate materie, il compito della scuola si è ampliato, assumendo anche l’onere di educare e di formare: educare in quanto cittadini, formare in quanto persone. Ciò conduce noi tutti, “uomini di scuola” ad assumere responsabilità assolutamente nuove, rispetto ad un passato, peraltro neanche lontano. In altri termini, la scuola come edificio ben identificato sul territorio, deputato ad avviare bambini e adolescenti ad acquisire gli strumenti essenziali per accedere al mondo adulto, non è più tale. L’edificio va al di là delle sue mura, si apre al territorio e diventa – o dovrebbe diventare – scuola a tempo pieno e a spazio aperto. E non riguarda più solo bambini e adolescenti, ma i cittadini tutti, nella chiave di quell’apprendimento per tutta la vita cui ci richiamano tutti i documenti internazionali.

Così dovrebbe essere! Dalla scuola si passa – o si dovrebbe passare – ad un vero e proprio Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione. E, perché il Sistema funzioni, com’è noto, il novellato Titolo V della Costituzione attribuisce allo Stato, alle Regioni, agli Enti locali, alle Istituzioni scolastiche compiti ben precisi. Il che è più che corretto: a fronte di esigenze educative, istruttive, formative assolutamente nuove occorre apprestare strumenti assolutamente idonei e soprattutto rinnovati.

Da quanto esposto fin qui in ordine alle problematiche di fronte alle quali si trovano le nuove generazioni, viene da chiedersi se la politica scolastica – si chiama ancora così – dell’attuale gruppo dirigente sia in grado di dare risposte adeguate.

Le nuove generazioni, schiacciate sul qui ed ora di un eterno presente, sul tutto e subito delle suggestioni consumistiche, sollecitate giorno dopo giorno a non coltivare né la memoria del passato né la progettazione del futuro, fanno sempre più fatica ad accedere a repertori conoscitivi che, per altro, anche in forza di una ricerca specialistica sempre più avanzata, si fanno sempre più complessi. L’eterno presente viene per di più incentivato, notte dopo notte, dagli sballi di droghe sempre più a buon mercato. Il frastuono dei decibel e il lampeggiare delle psichedeliche danno il loro valido contributo! Il tutto contribuisce anche a quel progressivo deteriorarsi della coscienza civica, dalla guida in stato di ubriachezza, al bullismo, all’insulto costante all’arredo urbano e via dicendo.

Non è affatto un discorso moralistico! Mi limito soltanto ad indicare segnali emergenti che denunciano disagi profondi. E non occorre neanche tirare in ballo quel nichilismo che corrode i nostri giovani e che Nietzsche chiama "il più inquietante fra tutti gli ospiti". E’ Umberto Galimberti che ci descrive con grande perizia l’incapacità dei nostri giovani di trasformare le sensazioni in emozioni, perché siano compiutamente maturate e comprese: giovani condannati a non crescere e a vivere parcheggiati un una sorta di terra di nessuno: il limbo di un inquieto mondo giovanile la ricerca del nulla! A fronte di questo stato di cose, lo strumento dell’autonomia scolastica potrebbe fare cose egregie, ma è uno strumento che va incoraggiato, rafforzato, sostenuto con ogni tipo di risorsa, in primo luogo economica. E certo che, se abbiamo un ministro dell’economia che si sostituisce a quello dell’istruzione, che apre e chiude la borsa a suo piacimento e che si improvvisa anche docimologo (vedi la sua intervista a “La Padania” dello scorso 12 agosto), il rischio è che rimarremo sempre al palo! Ma quello che più mi preoccupa in questa difficilissima congiuntura sono il silenzio colpevole dei pedagogisti e dei docimologi. Dopo avere imperversato per tutti gli anni Settanta e successivi, sembra che i problemi della scuola – come si suol dire – non siano più cosa loro! Sembrano una razza aliena per il nostro Sistema di istruzione. E poi mi indigna quando è la “cultura” a scendere in campo: il livido stridore dei vari Pirani, Citati e di quella new entry di Alberini. Possibile che nessuno sia capaci di proporci uno spunto di analisi su di un problema così importante come quello dell’istruzione?

Ed allora, ben vengano i grembiuli, i voti in condotta – pardon! comportamento – la nuova disciplina Cittadinanza e Costituzione, ma… Esiste a monte un progetto consapevole di sostegno alle innovazioni attualmente in atto? Si raccoglieranno e si valuteranno gli esisti delle due sperimentazioni, quella delle Indicazioni per il curricolo e quella dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione? Si procederà nel sostenere, pur con gli opportuni aggiustamenti, ciò che le scuole stanno facendo tra tante difficoltà? A giorni avrà inizio il nuovo ano scolastico e non sarebbe male assicurare chi opera sul campo che può e deve procedere come ha operato fin ad ora e che sarà sostenuto come si conviene. E rassicurarlo che un’impresa così impegnativa come quella di ridare forze e credito all’istituzione scolastica non può essere sostenuta se l’unica scelta certa è quella dei tagli infiniti!

Non si tratta di raschiare le briciole dal barile del tesoro! Le risorse vanno stanziate a priori, se tutti concordiamo che quella dell’istruzione è la prima emergenza nazionale. Nell’arco di un quinquennio si potrebbe imporre una nuova rotta al nostro Sistema di istruzione! Ma occorre una volontà politica precisa e, soprattutto, un Proggetto! Sì, con la P maiuscola e con due G! Perché la buona volontà di un ministro che sa ascoltare e sa muoversi con eccessiva prudenza, pur se apprezzabile, forse non è sufficiente!

Roma, 20 agosto 2008

Maurizio Tiriticco

 


       



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