15 Settembre, 2002
Festival Terre d*Acqua
Rassegna di musica, teatro e danza contemporanei - Party, Lunedì 8 settembre ore 21
FESTIVAL TERRE D'ACQUA
Rassegna di musica, teatro e danza contemporanei
Lunedì 08 settembre 2008 - ore 21.00
San Giovanni in Croce (Cr), Villa Medici del Vascello
Compagnia Teatrale della Luna Crescente
Associazione La Giostra Onlus - Laboratorio Integrato La Kengah
Teatro Comunale di Imola - Assessorato alla Cultura del Comune di Imola
Party
teatro e regia Marina Mazzolani e Corrado Gambi
con
Roberto Alfano, Stefano Betti, Laura Bittoni, Serena Camaggi, Annalisa Cantoni, Lisa Cenosi, Alberto Dal Prato, Paolo Facchini, Gianmarco Falzoni, Stefano Farolfi, Corrado Gambi, Carla Ghini, Francesca Lama, Marina Mazzolani, Piero Minghetti, Irene Pierluca, Raffaella Romiti, Aristide Rontini, Sabrina Santandrea, Marco Silvestri
e la partecipazione di Alfonso Cuccurullo
costumi Paolo “Polpa” Poli
musiche
Roberto Bartoli (contrabbasso), Gaspare De Vito (sax), Simone Pareschi (pianoforte), Maurizio Piancastelli (tromba)
Progetto Speciale
Sesta produzione del Laboratorio Integrato “La Kengah”, che riunisce persone in situazione di handicap e non, PARTY, rende omaggio a molte persone offese ed oppresse, specialmente a quelle che hanno trascorso gran parte della loro esistenza tra i muri degli ospedali psichiatrici. Lo spettacolo è nato in un luogo, l’ex ospedale Psichiatrico Osservanza di Imola. Lo spettacolo è anche dedicato ai muri fuori e dentro di noi, al profondo significato, e funzione, delle strutture psichiatriche; quell’essere confine, limite e raccolta di ogni “diversità”, specie quelle che più turbano l’ordine consolatorio della “normalità”. Questi muri si ritrovano, in altre forme e con altre definizioni anche laddove non esistono fisicamente; nelle parole, nei pensieri, nelle azioni… Questi muri, quelli dell’oppressione o, “semplicemente”, quelli delle classificazioni, dei giudizi (o dei pre-giudizi) sono ovunque. Occorre riconoscerli e cercare di abbatterli. Lo spettacolo è indefinibile, come lo sono i sogni più inquietanti, che ci portano in viaggio da una situazione all’altra e attraverso le metamorfosi dei personaggi e dei luoghi, e che, quando diventano intollerabili, ci permettono di svegliarci. Così come nei sogni, ogni cosa si trasforma mentre sta accadendo. Appena il tempo di “acquietarsi” in una situazione comprensibile, e già il pubblico viene portato altrove, anche fisicamente, perché si attraversano spazi diversi. La musica di un pianoforte non è che il preludio di un’avventura di cui tutti, gli attori, i musicisti e le persone del pubblico, saranno protagonisti. Non ci sono che pezzi di storie più lunghe, frammenti di esistenze, che si deformano incontrandosi, o scontrandosi, finendo con l’appartenere a nessuno, e quindi a tutti. In questi frammenti, in qualche istante, in qualche parola, in qualche suono, possiamo riconoscerci. Personaggi improbabili, inquietanti, comici oppure tristi, addolorati, irrompono, si agitano, declamano, ammiccano, seducono, confortano, ballano, conversano, raccontano, ripopolando uno spazio abbandonato: a loro volta cercano inquieti le relazioni, l’ordine e la logica che li giustifichino, li esaltino, li spieghino. Ma nel frattempo incontrano e incrociano il pubblico. Le cose accadono, nell’immediato, con una loro credibilità, esattamente come nei sogni. E hanno del sogno la stessa innocenza. Gli invitati siamo noi. Ognuno diverso, ognuno complesso, ognuno fuori posto, ognuno al centro del mondo. Il vortice coinvolge tutti. In questo psichedelico giro di giostra il pubblico gira assieme agli attori: tutti a bordo di questo strano mezzo di trasporto, che, presentatosi come una prigione, si rivela poi traghetto, capace di attraversare con apparente leggerezza le profondità della notte, per indurci il desiderio della luce – la festa del cuore -, per suggerirci un volo oltre tutte le porte, i cancelli, le sbarre, oltre tutti i muri.
 
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