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15 Settembre, 2002
Egitto: non c*è sviluppo senza ricambio politico
Amr Hashem Rabie, analista politico del Centro Ahram per gli studi politici e strategici del Cairo, intervistato da Federica Zoja in resetdoc.org

Punte di inflazione anche superiori al 25% mese su mese, incremento dei prezzi dei beni alimentari essenziali pari al 60% nel primo semestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2007, più del 40% della popolazione costretta a vivere con meno di un dollaro al giorno, un milione di nuovi nati all’anno. La grave crisi economica si abbatte sui paesi in via di sviluppo come l’Egitto facendo strage e mettendo in luce i limiti delle democrazie incompiute. Come spiega a ResetDoc Amr Hashem Rabie, analista politico del Centro Ahram per gli studi politici e strategici del Cairo.

“Non c’è alcun dubbio, in qualsiasi società il legame fra economia e politica è strettissimo, ma purtroppo l’influenza dell’una sull’altra si fa sentire soprattutto quando le cose vanno male. Questo è il caso dell’Egitto, però non solo. Penso alla Libia e agli altri paesi del Nord Africa in forte sofferenza, ma la crisi economica di oggi interessa tutto il mondo, Europa e Stati Uniti in testa”. Secondo Amr Hashem Rabie, analista politico del Centro Ahram del Cairo, per l’Egitto quella attuale è una impasse economica che ha radici lunghe e robuste, risalenti agli inizi dell’era Mubarak: “Le strategie economiche del governo Nazif (Ahmed Nazif è premier dal 2004, ndr) non sono sufficienti a riequilibrare una serie di fattori negativi accumulatisi negli anni. Mi riferisco ai conflitti con Israele, all’influenza schiacciante da parte di Washington sulla politica egiziana e su quella dell’intero Medio Oriente. E poi gli investimenti esteri, così come il denaro derivante dal turismo di massa, non servono a niente se non c’è uno Stato davvero organizzato”.

Organizzazione, è questa la parola che il politologo ripete più volte, evidenziando l’abisso esistente fra Il Cairo e il resto del paese: “Non c’è organizzazione”, immense aree del Medio e Alto Egitto sono abbandonate a loro stesse o alla buona volontà di semplici cittadini e organizzazioni non governative, egiziane o internazionali. Fra cittadino e potere centrale la distanza non potrebbe essere maggiore: milioni di egiziani non sono registrati all’anagrafe, semplicemente non esistono per Il Cairo. “Come può esserci sviluppo senza un ricambio della classe politica? – si chiede allora lo studioso – Noi abbiamo un regime vecchio di trent’anni, con lo stesso presidente dal 1981 (Hosni Mubarak guida la Repubblica araba d’Egitto dall’ottobre di 27 anni fa, all’indomani della scomparsa del suo predecessore, Anwar Sadat, assassinato da islamisti radicali, ndr). Non c’è democrazia, le riforme sono bloccate, i soldi vanno sempre ai soliti”.

Dopo lo slancio riformista di tre anni fa – o almeno percepito come tale dagli osservatori esterni – quando Mubarak aprì il processo elettorale presidenziale ad altri candidati, “non c’è stato nessun cambiamento, i diritti politici e umani sono violati come e più di prima e la tensione fra la gente cresce”. Nessuna rivoluzione in vista, però, secondo Amr Rabie: “Piuttosto aumenterà la violenza fra cittadini – riferisce – come già verificatosi di recente. Gli scontri fra musulmani e cristiani non fanno parte della tradizione egiziana, abbiamo sempre vissuto insieme in pace. Gli ultimi episodi dimostrano che la fame, la miseria, la mancanza di un futuro portano alla violenza. Così come l’uso delle droghe, in forte crescita anche negli strati più bassi della società, riflette la disperazione”. Un quadro a tinte fosche in cui il ricercatore del Centro Ahram vede pochi spiragli, soprattutto finché il potere politico non combatterà contro “la piaga della corruzione”, continuando a nutrirsene avidamente.

 


       CommentoFonte resetdoc.org



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